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Disciplina relativa ai reati fallimentari

Il nostro ordinamento disciplina le norme penali in tema di fallimento negli art.216 e seguenti della legge fallimentare. La legge fallimentare è il regio decreto n.267/1942. La legge fallimentare mostrava tutti i segni dell’età, tant’è che si è a lungo discusso dell’opportunità di riformarla e di riformare anche le disposizioni penali di questa. Si è riusciti a riformare solo le disposizioni civilistiche della legge fallimentare. Questa è stata per molti aspetti rivisitata in tempi recenti, in particolare con il decreto legislativo n.5/2006, che ha riformato ampi aspetti della legge fallimentare e molti istituti, come la revocatoria fallimentare, ha abolito l’amministrazione controllata. Mentre per una serie di disaccordi non si è riusciti a modificare le disposizioni penali.
Le fattispecie di bancarotta si distinguono in varie sottospecie:
- BANCAROTTA FRAUDOLENTA
* bancarotta fraudolenta patrimoniale
* bancarotta fraudolenta documentale
- BANCAROTTA SEMPLICE
* bancarotta fraudolenta patrimoniale
* bancarotta fraudolenta documentale
C’è un’ulteriore distinzione dal punto di vista cronologico:
- BANCAROTTA FRAUDOLENTA E SEMPLICE, PATRIMONIALE E DOCUMENTALE PREFALLIMENTARE
- BANCAROTTA FRAUDOLENTA E SEMPLICE, PATRIMONIALE E DOCUMENTALE POSTFALLIMENTARE
Queste ipotesi se hanno come soggetto l’imprenditore persona fisica danno vita alla BANCAROTTA PROPRIA. Se invece l’imprenditore dichiarato fallito è una società, allora queste ipotesi diventano ipotesi di BANCAROTTA IMPROPRIA.
La casistica in tema di bancarotta occupa la gran parte dello spazio dedicato a al diritto penale dell’economia. Inoltre i processi per bancarotta sono molto più numerosi rispetto a quelli riferiti agli altri reati economici. Sono i reati più severamente puniti e più ampiamente applicati. Sono molto perseguiti perché il modo attraverso il quale la notizia di reato arriva al magistrato è un modo più agevole: quando viene dichiarato il fallimento di una società o di un’impresa, viene nominato un curatore fallimentare, ossia un esperto (di solito un dottore commercialista) che viene delegato dal giudice fallimentare (colui che constata l’insolvenza e dichiara il fallimento) allo scopo di chiudere l’esistenza dell’impresa, di liquidarne i beni, soddisfarne i creditori e per redigere una relazione nella quale vengono spiegati i motivi dell’insolvenza e descritto ciò che viene trovato. Una volta dichiarato il fallimento, l’impresa è morta. Il curatore assume il ruolo dell’esecutore testamentario, deve presiedere a questa attività di liquidazione. La relazione del curatore è, secondo la legge, trasmessa d’ufficio per conoscenza al Procuratore della Repubblica, cioè all’organo che esercita l’azione penale. Il Procuratore della Repubblica legge queste relazioni e tutte le volte in cui ci trova degli estremi di possibili reati iscrive dei procedimenti, apre dei fascicoli d’indagine per ipotesi di reati fallimentari. Attraverso questo meccanismo il Pubblico Ministero si trova delle notizie di reato che gli vengono trasmesse senza doverle andare a cercare, mentre ad esempio per scoprire i falsi in bilancio il Pubblico Ministero deve andare a cercare le notizie, almeno che qualcuno non faccia una denuncia. Ecco perché dal punto di vista numerico la casistica di bancarotta è molto cospicua.
Il sistema dei reati fallimentari è il frutto di una consapevolezza giuridica più evoluta rispetto ai secoli passati. Questo vuol dire che il legislatore oggi non ritiene meritevole di sanzione penale il fallito solo perché è stato dichiarato fallito. Nel Medioevo in tutte le legislazioni italiane chi esercitava un’attività commerciale e falliva e non era più in grado di onorare i propri crediti, veniva punito solo per questo fatto. C’era una equivalenza tra il non essere riuscito a far fronte ai propri impegni e la sanzione penale. Il principio che vigeva si definiva “decoctor ergo (perciò) fraudator (truffatore)”, ossia per il solo fatto di aver decotto l’attività commerciale, si è un truffatore, e quindi bisogna essere puniti. Questo reato si chiama bancarotta perché quando il soggetto falliva veniva rotto il suo banco davanti a tutti.
Il nostro legislatore ha preso atto che in un’economia moderna non è detto che chi fallisce lo fa perché è un truffatore, il fallimento oggi è visto come un esisto negativo certo, ma fisiologico dell’impresa. Oggi ci vuole qualcosa di ben più significativo affinché al soggetto possa essere contestato uno dei reati fallimentari. La legge fallimentare oggi non è più quella del 1942, ci sono state molte modifiche, prima nel 2005 e successivamente nel 2007. Infine è stata poi introdotta una modifica nell’ambito penale nel 2010 con l’inserimento dell’art.217 bis della legge fallimentare. Questo articolo la cui versione ultima è contenuta nella legge 222 del 31 luglio 2010 è servito a chiarire alcuni dubbi interpretativi che erano sorti a seguito del difetto di coordinamento tra le nuove norme di tipo civilistico introdotte con le riforme del 2005 innanzitutto e del 2007 poi, e le norme penali che sono rimaste quelle del 1942. Questo perché una delle caratteristiche della riforma del 2005 è stata quella di introdurre il più possibile strumenti volti a evitare la fine dell’impresa, volti a gestire la crisi dell’impresa per rilanciare l’attività e non chiuderla. In questi strumenti è importante il ruolo del dottore commercialista e prendono il nome di:
- piani di risanamento attestati (da un dottore commercialista);
- accordi di ristrutturazione del debito;
- piano attestato di risanamento previsto nel contesto dell’art.67 della legge fallimentare.
Tutti questi strumenti puntano a far si che l’impresa tecnicamente insolvente possa essere rilanciata e non fallire. Il dubbio riguardava la possibilità che atti adottati per eseguire questi piani e autorizzati dalla legge fallimentare potessero assumere rilievo ai sensi delle norme penali, che invece sono rimaste invariate. Il legislatore ha risolto questo problema introducendo l’art.217 bis.

Tratto da DIRITTO PENALE COMMERCIALE di Valentina Minerva
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