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Neocapitalismo e metacapitalismo – B. Rosier e P. Dockès


Si avrà così la nascita di un ordine produttivo nuovo, incompiuto e particolarmente instabile, che disegna i tratti di un neocapitalismo. Così, per quanto concerne la base tecnica, è una vera rivoluzione comparabile alle due passate rivoluzioni industriali, quella alla quale si è assistito alla fine del secolo XX, in modo tutto particolare nella sfera dell’informazione e della comunicazione.

Nonostante l’importanza di queste rivoluzioni scientifiche e tecniche, è necessario concentrarsi sulla mutazione del modo di accumulazione. In primo luogo, al livello dei rapporti capitale-lavoro, il mercato del lavoro che era stato inquadrato ritorna in forze col contratto individuale. La flessibilità dentro l’impresa è in primo luogo sociale, s’appoggia alla flessibilità esterna all’impresa, ovvero su condizioni economiche (disoccupazione) o legali (contratto di lavoro).

Il nuovo modo di accumulazione ha generato ineguaglianze massicce in seno agli stessi paesi ricchi. Esse sono particolarmente palesi negli Stati Uniti ove si ritrova la situazione dell’inizio del secolo XX e ciò tanto tra i redditi del lavoro (stabilizzati) e del capitale (letteralmente esplosi), quanto tra i poveri e i ricchi. All’ineguaglianza si aggiunge la crescita della disoccupazione, particolarmente in Europa, del precariato e dell’esclusione.

In secondo luogo, tra imprese, la logica oligopolistica degli accordi resta fondamentale. Il mercato domina l’economia dall’alto, a partire dalla sfera finanziaria. Una delle trasformazioni maggiori del capitalismo è in effetti l’importanza presa dalla finanza. Mentre il potere nelle imprese è largamente ripassato tra le mani dei proprietari del capitale, la finanza domina e rende contemporaneamente parassitarie le attività produttive.

Sebbene la Borsa giocasse già un ruolo importante al tempo del capitalismo liberale, il ritorno del finanziere si realizza a un livello superiore: il capitale non trae più l’essenziale dei suoi profitti dallo scambio e dalla produzione di merci, ma dallo scambio e dalla ristrutturazione perpetua del capitale stesso: un metacapitalismo.

Abbiamo visto svilupparsi, dagli anni sessanta, il fenomeno della transnazionalizzazione. Il processo ha condotto alla libertà assoluta di spostamento di capitali, quasi assoluta delle merci, alla globalizzazione, all’ubiquità istantanea dell’informazione e all’aumento delle migrazioni. Inoltre, oggi il ruolo della regolazione intenzionale da parte dello Stato si è ridotto e la sua logica non è più al servizio degli interessi della società, ma degli interessi economici dei proprietari del capitale. Certo, gli interventi dello Stato non sono scomparsi, ma sono subordinati alla logica globale.

Il crack della primavera 2000 e la caduta durevole dei corsi borsistico sono stati il prodotto di un processo classico di sovrainvestimento spinto agli estremi da un ottimismo irrazionale che produceva una bolla finanziaria e se ne alimentava. La prima crisi del secolo XXI somiglia alle crisi del vecchio capitalismo liberale, ed è una manifestazione normale del nuovo regime economico.

Tratto da STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Domenico Valenza
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