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Lo svolgimento del giudizio di ottemperanza


Il ricorso deve essere preceduto dalla notifica all’Amministrazione di un atto di messa in mora, costituito da una diffida a provvedere: il ricorso può essere presentato solo decorsi 30 giorni dalla notifica dell’atto di messa in mora.
Per il ricorso non era richiesta la previa notificazione all’Amministrazione: era previsto invece che, una volta depositato il ricorso presso il giudice competente, la segreteria ne desse comunicazione d’ufficio al Ministero competente.
Questa soluzione sembrava adeguata alla minore importanza che avrebbe la garanzia del contraddittorio in un giudizio di esecuzione e alla circostanza che comunque l’Amministrazione aveva già avuto preavviso dell’iniziativa giudiziale attraverso la notifica dell’atto di messa in mora.
Non si trattava però di una conclusione soddisfacente, specie se si considerava l’ampiezza delle questioni che potevano emergere nel giudizio di ottemperanza e degli interessi che risultavano conseguentemente coinvolti.
Alcuni giudici amministrativi si erano pertanto orientati nel senso di richiedere che il ricorrente notificasse il ricorso all’Amministrazione e ai controinteressati, come era previsto per il giudizio ordinario.
Sul punto è intervenuta di recente la Corte Costituzionale, la quale ha affermato che, se il ricorso per l’ottemperanza non sia stato notificato dal ricorrente alla parte resistente, il giudice amministrativo, d’ufficio, deve disporne la comunicazione, in modo che la parte resistente possa adeguatamente difendersi.
Presupposto del ricorso è l’inottemperanza al giudicato.
L’inottemperanza non si esprime però solo attraverso un comportamento del tutto omissivo, ma può configurarsi anche nell’adozione di atti diretti a rinviare o ad eludere l’esecuzione del giudicato.
La giurisprudenza ha affermato che l’adozione di atti soprassessori o elusivi non comporterebbe l’onere di nuove impugnazioni, ma che il sindacato su tali atti si dovrebbe compiere davanti al giudice per l’ottemperanza.
Questa tesi, elaborata per esigenze tipicamente processuali, per giustificare l’insussistenza di un onere di impugnazione entro termini decadenziali, di recente è stata sancita anche dal legislatore: è nullo “il provvedimento amministrativo che è stato adottato in violazione o in elusione del giudicato”; di questa ipotesi di nullità conosce direttamente il giudice amministrativo (ossia il giudice dell’ottemperanza).
Pertanto, in questi casi, la controversia è devoluta alla giurisdizione esclusiva (la disposizione ha il valore di evitare, in questo caso di nullità, la devoluzione al giudice ordinario).
Il giudice amministrativo provvede sul ricorso per ottemperanza in camera di consiglio.
Prima di dar corso a interventi sostitutivi può fissare un termine all’Amministrazione perché provveda; in questo caso, si ritiene che l0nutile decorrenza del temine sancisca il venir meno del potere dell’Amministrazione di provvedere all’esecuzione del giudicato, con la conseguente irrilevanza di atti assunti tardivamente.
Nei confronti delle decisioni assunte dal Tar in sede di ottemperanza è ammesso l’appello al Consiglio di Stato: il Consiglio di Stato tende ad escludere l’ammissibilità del gravame rispetto alle pronunce che siano meramente attuative del giudicato, mentre le ammette per le pronunce sulle condizioni per il giudizio di ottemperanza, per le questioni inerenti alla regolarità del giudizio, e con riguardo alle statuizioni su profili non disciplinati puntualmente nella sentenza passata in giudicato.
La decisione del Consiglio di Stato assunta in sede di ottemperanza, come ogni altra decisione del Consiglio di Stato, è impugnabile avanti alla Corte di Cassazione, per violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa.
Si tenga presente, però, che trattandosi di ipotesi di giurisdizione di merito risulta difficile prospettare in concreto una violazione ai limiti imposti al giudice amministrativo nei confronti della Pubblica Amministrazione.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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