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Licenziamento collettivo in caso di datori di lavoro privati non imprenditori

Licenziamento collettivo in caso di datori di lavoro privati non imprenditori 

Si è già accennato al fatto che l'Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia per mancato ottemperamento alle direttive comunitaria, in quanto con la L.223/1991 non aveva incluso nella disciplina i datori di lavoro NON imprenditori. Ovviamente il legislatore italiano si è conformato alla scelta della Corte nel 2004, integrando la L.223. Oggi, quindi, la disciplina contenuta nell'art.24, inerente il licenziamento collettivo per riduzione del personale, si applica anche ai datori di lavoro non imprenditori, fermo restando che essi non debbano corrispondere il contributo di mobilità (e quindi neanche l'anticipo in sede durante l'avvio della procedura) e che i propri lavoratori licenziati non abbiano diritto all'indennità di mobilità (in quanto non rientranti nel campo della CIGS), ma solo all'iscrizione nelle liste di mobilità con i diritti che ne conseguono. Le sanzioni per licenziamento illegittimo sono le medesime previste per gli imprenditori, ossia inefficacia in taluni casi ed annullabilità in altri, con conseguente tutela reale a favore dei lavoratori prevista dall'art.18 dello Statuto. Una sola eccezione è prevista per le organizzazioni di tendenza (datori di lavoro non imprenditori che svolgono attività di natura politica, culturale, sindacale, d'istruzione o religione, senza fini di lucro): in caso di inefficacia o annullabilità del licenziamento opera solo e soltanto una tutela obbligatoria e non reale. 

Tratto da DIRITTO DEL LAVORO di Alessandra Infante
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