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L'intervento di Ermocrate

Il primo ad intervenire è Ermocrate, il cui discorso è così strutturato: 
− ulteriore denuncia dei veri motivi dell’arrivo ateniese: un’armata immensa, di navi e fanterie: formalmente per onorare l’alleanza con Segesta e restituire a quelli di Leontini la loro sede, ma il movente originale è la passione per la Sicilia, in particolare la nostra città, poiché s’aspettano, se la riducono sotto di sé, d’aver via libera per nuove conquiste (cap.33); 
− Ermocrate espone il suo timore per l’arrivo degli Ateniesi, perché questo spingerà le altre città della Sicilia a unirsi a loro: nella storia greca o del mondo barbaro è rarissimo il caso di un’offensiva numerosa che, giunta a gran distanza dai propri porti, abbia felicemente coronato la missione. Poiché gli aggressori non possono soverchiare in numero le genti del luogo e i loro confinanti (cap.33) ⇒ Ermocrate cerca di delineare l’aspetto positivo dell’arrivo degli Ateniesi, perché questo conferirà a Siracusa uno status di leader ancora più solido dato che, storicamente, le missioni così distanti dalla patria si sono sempre rivelate disastrose per chi le ha intraprese; 
− del resto, la storia di Atene può essere imitata da Siracusa: proprio come la grandezza di Atene è iniziata con il fallimento delle invasioni persiane, così la grandezza di Siracusa potrà iniziare con il fallimento dell’invasione ateniese: il cui nome (degli Ateniesi) echeggiò celebre nel mondo, quando l’offensiva dei Persiani, che aveva scelto a bersaglio, pareva, precisamente Atene, crollò sotto quell’insperata catena di disfatte. Chi ci proibisce di sperare in un successo altrettanto lieto? (cap.33). 

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Spediamo ambascerie in tutti gli altri centri della Sicilia, ammonendo che si corre tutti l’identico rischio, e verso l’Italia, con l’intento di farcela amica, o almeno ostile ad Atene (cap.34) ⇒ il risvolto pratico immediato proposto da Ermocrate consiste nel cercare più alleati possibili. 
− elenca tutti gli svantaggi strategici cui gli Ateniesi dovranno far fronte; 
− “inganno” psicologico, legato alla dinamica tra chi aggredisce e chi viene aggredito, ulteriore motivo per cui Siracusa e tutte le altre città devono reagire in modo determinato e deciso: è un formidabile vantaggio assumere con piglio risoluto l’iniziativa o, in caso di aggressione, lasciar intender chiaro che si è pronti a respingere chiunque; il loro assalto si fonda su una presunzione, che noi non prenderemo le nostre misure ⇒ se osservano in noi questo temperamento insospettabile, più della nostra reale potenza d’urto li sconcerterebbe la reazione imprevista (cap.34). 

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Ermocrate è molto ottimista sulle possibilità che ha Siracusa di respingere l’assalto e, anzi, di farsi addirittura carico di una futura leadership sull’intera Sicilia e, magari, sul mondo greco. 
Gli risponde Atenagora, il quale ritiene che sia poco probabile che Atene sia disposta ad aprire un secondo fronte di guerra (cap.36, è inconcepibile che lasciandosi alle spalle i nemici del Peloponneso e quel teatro di operazioni, con un conflitto non ancora giunto a una svolta risolutiva, costoro si dispongano spontaneamente ad aprire un secondo fronte non meno ampio e infuocato) e giustifica l’insistenza di Ermocrate su una possibile invasione ateniese come copertura di un complotto politico da parte degli oligarchi, gente che sul proprio conto ha la coscienza poco limpida e preferisce seminare in città lo sgomento per occultare meglio il proprio all’ombra del pubblico spavento (cap.36). 
Anche Atenagora è comunque abbastanza ottimista sulle possibilità che ha Siracusa di vincere: e se proprio venissero, e le novità fossero vere, ritengo che la Sicilia sia, più del Peloponneso, adatta a sgominarli del tutto (cap.37). 
Intanto, gli Ateniesi iniziavano la traversata alla Sicilia (cap.43). Ma iniziano quasi subito i problemi, perché Atene si accorge che le promesse fatte da Segesta di finanziare l’operazione non sono realmente fondate, dato che Segesta non ha a disposizione tante risorse: in fatto di tesori le promesse risultavano totalmente infondate: di solido restavano sì e no trenta talenti. Quel colpo avvilì subito gli strateghi: l’impresa s’era avviata appena, ed ecco il primo intralcio (cap.46). 
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I 3 strateghi cominciano a discutere sul da farsi: 
− Nicia propone una politica di basso profilo, basata sul minimo indispensabile (= l’appoggio a Segesta): sarebbero sfilati in parata negli specchi di mare prospicienti le altre città: a far sfoggio della potenza ateniese, a testimoniare la sua sollecitudine nel rispondere all’appello di amici e di alleati. Poi via, sulla rotta di ritorno (cap.47). 
− Alcibiade negò il consenso: era impensabile una umiliante ritirata a mani vuote; perché escludere i Siculi da questi tentativi diplomatici? (cap.48) ⇒ propone di cercare nuovi alleati e con questi portare a compimento l’operazione. 
− Lamaco sostiene che era necessario puntare subito a Siracusa (cap.49); tuttavia, in fatto di decisioni concrete, aderiva anch’egli all’idea di Alcibiade (cap.50). 

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Si cercano nuovi alleati, ma il risultato è assai modesto: 
− Messina nega l’appoggio 
− Nasso si offre di aiutare l’esercito ateniese 
− Catania rifiutò di accogliere gli Ateniesi; tuttavia le sparute forze del partito filo-siracusano di Catania, notato il movimento di truppe dentro la città, caddero preda del panico e sparirono: gli altri cittadini si decisero a un’alleanza con Atene (cap.51). 

In questo frangente, Alcibiade viene richiamato in patria per chiarire la sua posizione nei reati che la città gli contestava (= la vicenda delle Erme sfigurate) (cap.53). 
A questo proposito, Tucidide riporta la storia di Aristogitone e Armodio della fine del VI secolo a.C. 
Che senso ha questa digressione all’interno delle vicende siciliane? 
Questi 2 personaggi, 2 amanti, abbatterono la tirannia ateniese. Tucidide vuole smascherare questa vicenda, proprio nel mezzo della narrazione dei complotti contro Alcibiade. Tucidide riporta come i 2 amanti uccisero Ipparco, il fratello del tiranno Ippia, contrariamente da quanto sostenuto dalla tradizione, che voleva Ipparco a capo della tirannide ⇒ i 2 amanti uccisero Ipparco non per motivi politici, ma per motivi del tutto personali (Ipparco infastidiva Armodio). 
L’importanza di questo episodio sta nel fatto di essere narrato in un momento in cui i meccanismi democratici di Atene sono messi fortemente in discussione ⇒ Tucidide vuole in qualche modo denunciare i difetti della democrazia, la quale si poggia puramente sul mito dei 2 “martiri per la libertà” ⇒ la riflessione su questi eventi del passato, il ricordo che la tradizione popolare ne conservava vivo, alimentavano tra le forze democratiche in Atene l’insofferenza e il sospetto contro gli incriminati di sacrilegio per lo scandalo dei misteri. Ogni particolare sembrava un tassello nel quadro di un’organizzazione sovversiva manovrata da ambienti oligarchici e votati a un rilancio della tirannide (cap.60). 
Tra l’altro, Tucidide, riportando tutta la montatura di eventi che viene organizzata per incastrare Alcibiade, condanna anche il sistema giudiziario ateniese, dove esistevano già allora i pentiti, cui si prestava fede, i quali confessavano – anche il falso – perché era più sicuro confessare e ottenere l’impunità che negare e affrontare un incerto processo (cap.60). 
In seguito al richiamo, Alcibiade e i suoi colleghi preferiscono fuggire: l’idea di un processo, sostenuto da un’accusa sleale li atterriva ⇒ Alcibiade ufficialmente era bandito, lasciò correre qualche giorno, poi passò da Turi nel Peloponneso a bordo di un battello mercantile. Agli Ateniesi non restò che condannare a morte in contumacia lui e i suoi seguaci (cap.61). 
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La spedizione subisce un ulteriore colpo: dopo le difficoltà finanziare, le difficoltà a trovare nuovi alleati, ora perde quello che tra i 3 era sicuramente il miglior stratega. 
Dopo la cacciata di Alcibiade, da un punto di vista strettamente militare gli eventi sono abbastanza favorevoli agli Ateniesi: essi vincono il primo scontro con i Siracusani, ma non riescono a sfruttare a pieno il loro successo, perché mancano della cavalleria ⇒ gli Ateniesi non insistettero nella caccia ai fuggiaschi (gli squadroni di cavalieri siracusani, potenti e invitti, facevano barriera e rovesciandosi sugli opliti nemici, quando avvistavano un tentativo d’inseguimento, li costringevano ad indietreggiare) (cap.70). 
I Siracusani non si fecero abbattere da questa sconfitta, dato che il loro ardimento era uscito indomito dalla prova: piuttosto la carenza di disciplina li aveva perduti. Inoltre, un elemento di grave intralcio s’era mostrato il numero eccessivo di strateghi ⇒ disponendo di pochi strateghi, ma valenti, Ermocrate fidava per Siracusa in una pronta riscossa sul nemico (cap.72). 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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