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Il Leopardi maturo : A Silvia


In una lettera del 2 maggio 1828 da Pisa alla diletta sorella Paolina, Giacomo scriveva soddisfatto del suo esser riuscito, dopo due anni, a comporre dei versi veramente all'antica. Si trattava delle poesie Il Risorgimento e A Silvia. Il riferimento all'antichità può sia significare un ritorno allo stato d'animo degli anni precedenti, sia un poetare come gli antichi; non sono infatti rari i riferimenti del componimento a Giobbe, Orazio e soprattutto Omero.
A Silvia è il testo che inaugura la forma, caratteristica del Leopardi maturo e tardo, della cosiddetta canzone libera, cioè con strofe non uguali ma di differente dimensione e struttura, con rime abbondanti ma non sistematiche né esaustive, eventualmente surrogate da assonanze, consonanze, rime in mezzo e interne.
Occorre però non sottovalutare la continuità con le antecedenti canzoni vere e proprie, che nei fatti realizzano una liberazione sempre più spinta dagli schemi tradizionali. Infatti vediamo come già in Alla sua donna, del 1823, le strofe abbiano lo stesso numero di versi (undici) ma non la stessa configurazione né rime esaurienti, così che della canzone tradizionale si conservi solo la rima baciata nel finale di ogni strofa.
Ciò che è più rilevante in A Silvia è il ruolo dei settenari, che sono più frequenti degli endecasillabi e iniziano tutte le strofe fuorché una, qui con effetto di intensa gravità, chiudendole poi tutte: e non per nulla il motivo del canto della fanciulla è mirabilmente detto con tre settenari di seguito (7 – 9). Sembra come se entro la canzone libera fervesse lo spirito della canzonetta, che del resto Leopardi aveva testato poco prima nel Risorgimento. D'altra parte A Silvia offre lo schema – base per le canzoni libere a venire. Di più: la materia dolorosa e luttuosa è espressa in forma di “canto” o di cantabile cioè secondo quella vitalità che in Leopardi e per Leopardi non è soltanto la meraviglia e l'affetto per le cose e le creature della vita ma promana dalla forma poetica stessa. Tuttavia il poeta evita pur sempre l'eccesso di cantabilità ponendo le rime baciate o fra due endecasillabi o fra endecasillabo e settenario, mai fra due settenari ed evitando la rima baciata in chiusa di strofa.
Già la struttura metrica regala quindi al Canto la sua precisa individualità, che è tutt'uno col ritorno alla poesia che fa nascere di conseguenza una forma nuova, una forma senza forma come ebbe a dire Carducci. Altrettanto evidente è l'individuazione lessicale, ottenuta sin da subito o attraverso correzioni, tramite voci appartenenti a questo solo Canto: il più sensuale e fresco odoroso contro al latinismo e foscolismo odorato di altri componimenti leopardiani; veroni, più nobile di balconi; percorrea, che è splendida correzione sempre nel senso del moto e della vivacità del precedente solo percussivo percotea.
Altrove la novità è data da un processo di risemantizzazione: gli stupendi occhi ridenti e fuggitivi di Silvia recuperano in una diversa e ineffabile accezione due aggettivi usati ancora da Leopardi, ma il primo come attributo paesistico, il secondo in senso proprio.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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