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L’attività bancaria

L’attività bancaria si inserisce attualmente (a differenza del passato) nell’ambito di un sistema molto più ampio che è il sistema finanziario. Ci si chiede se sia quindi ancora necessario uno statuto speciale per la regolazione dell’attività bancaria. La risposta è positiva in quanto l’attività bancaria ha una propria specificità che la distingue da tutte le altre attività finanziarie. Tale specificità è data da una serie di fattori: prima di tutte le banche sono gli unici intermediari a poter emettere moneta bancaria; in secondo luogo l’attività bancaria è l’unica per la quale il legislatore ha previsto una funzione assicurativa che serve per garantire la restituzione del risparmio ai propri clienti.
La legge bancaria del 1936 non offriva una definizione di attività bancaria, ma si limitava a dire che la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito erano funzioni di pubblico interesse. In tal modo alle banche era attribuita una funzione pubblicistica.
Il codice civile allo stesso tempo non presenta una definizione di attività bancaria; è presente invece una definizione di contratto bancario, che nulla ha a che fare con questa.
Prima della nascita del testo unico bancario si potevano individuare due diverse dottrine per la definizione di attività bancaria.
Secondo la prima dottrina, la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito per riconoscersi come attività bancaria dovevano riconoscersi in quelli che il codice civile definisce “contratti bancari”. Questa impostazione veniva considerata molto restrittiva in quanto i contratti bancari non sono solo quelli previsti dal codice civile, in quanto esistono tutta una serie di contratti stipulati dalle banche che non rientrano in questa definizione (es. mutuo).
La seconda dottrina affermava che l’attività bancaria non era altro che un’attività di interposizione del credito; la banca si interpone cioè tra i soggetti con un saldo finanziario positivo e quelli con un saldo finanziario negativo favorendo lo scambio monetario. Questa impostazione partiva dalla definizione dell’art. 2195 del codice civile che riguarda gli imprenditori soggetti a registrazione.
Anche questa definizione è un po’ restrittiva in quanto vengono trascurate tutta una serie di attività svolte dalle banche definite dal codice civile (es. locazione di cassette di sicurezza, gestione di patrimoni etc.).
L’attività bancaria (art. 10 t.u.b.) si compone di due parti: raccolta del risparmio tra il pubblico ed esercizio del credito. Il testo unico si sofferma principalmente sulla raccolta del risparmio tra il pubblico in quanto è proprio in questa attività che è prevista la copertura assicurativa. Tale attività è definita dall’art. 11 t.u.b.
Questo articolo stabilisce che “è raccolta del risparmio l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”.
È importante anche il concetto di “pubblico”; la banca infatti non può predeterminare a monte quelli che saranno i propri clienti, ma deve garantire i propri servizi indiscriminatamente a tutti.
Dopo aver definito l’attività bancaria, l’art. 10 stabilisce un’altra cosa molto importante, cioè che l’attività bancaria è riservata alle banche. Inoltre, l’attività di banca ha carattere d’impresa.
Oltre all’attività bancaria, le banche possono svolgere “ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali”. Queste ulteriori attività finanziarie sono quelle previste dall’art. 1 comma f. che coincidono con le attività ammesse al mutuo riconoscimento.
Oltre all’attività bancaria e alle attività finanziarie, le banche possono svolgere anche altre attività (connesse o strumentali), qualora queste siano previste nel proprio statuto.
Esiste una differenza a seconda che la raccolta del risparmio avvenga tramite deposito o tramite emissione di obbligazioni. È solo nel primo caso, infatti, che è prevista la copertura assicurativa in quanto il cliente non ha nessuna informazione su quello che sarà l’utilizzo del suo danaro. Con la sottoscrizione delle obbligazioni invece il cliente è perfettamente informato su come questo sarà utilizzato.
Il secondo comma dell’art. 11 stabilisce che la raccolta di risparmio tra il pubblico è riservata alle banche. Tuttavia nei commi successivi sono previste due eccezioni. La prima stabilisce che ad alcuni soggetti non si applichi questo divieto (stati comunitari, organismi internazionali, enti pubblici territoriali, stati extracomunitari, alle società per la raccolta effettuata ai sensi del codice civile mediante obbligazioni, titoli di debito od altri strumenti finanziari). La seconda stabilisce delle situazioni che sebbene rappresentino raccolta di risparmio tra il pubblico, legislativamente non vengono trattate come tali (es. ricezione dei fondi connessa ad istituti di moneta elettronica, raccolta effettuata presso specifiche categorie individuate in ragione di rapporti societari o di lavoro qualora stabilita dal CICR).
Una norma interessante introdotta al comma 4quinquies è quella che stabilisce che gli investitori professionali (ossia quei soggetti che distribuiscono presso il pubblico i titoli presenti nel proprio portafoglio) devono possedere una serie di requisiti patrimoniali stabiliti dall’autorità di vigilanza.
Per quanto riguardo la funzione di esercizio del credito il legislatore non da una definizione. L’esercizio del credito non è altro che quell’insieme di operazioni attive per la banca (al contrario della raccolta del risparmio che da luogo ad operazioni passive per la quale la banca diventa debitrice).  Nonostante non ci sia una norma che lo prevede, è necessario che anche l’esercizio del credito sia rivolto al pubblico.
Oltre alle operazioni che rendono la banca creditrice nei confronti del cliente (definite come contratti bancari dal codice civile), ci sono molte altre attività (dette accessorie) considerate esercizio del credito (es. crediti di firma, locazione cassette di sicurezza etc.).
Si può ricavare un’idea di esercizio del credito unendo l’art. 1 comma f e l’art. 10 comma 3.
Sicuramente rientrano nelle operazioni di esercizio del credito le operazioni di prestito, nelle quali rientra il credito al consumo (che può essere massimo di 30.000 euro).
Molte operazioni che rientrano nell’ambito di quelle elencate dall’art. 1 possono essere svolte in modo vincolato da soggetti che non sono banche. Il t.u.b. si occupa infatti oltre che delle banche di altri enti finanziari non bancari i quali sono disciplinati dagli articoli 106 e 107.
Questi soggetti esercitano solo una parte delle attività svolte dalle banche. In particolare, o esercitano la raccolta di risparmio tra il pubblico o esercitano l’esercizio del credito.
Questi intermediari finanziari non bancari sono stati definiti in origine dalla direttiva CEE 646/1989 come le imprese diverse dagli enti creditizi la cui attività consiste nell’acquisizione di partecipazioni o nell’esercizio di una o più attività di cui ai commi 2 e ss. dell’art. 1 del testo unico.
Le attività incluse nell’art. 1 comma 2 sono le attività che delimitano il mutuo riconoscimento. Ciò significa che questo principio è limitato ai soggetti che svolgono le attività previste da questo articolo. Lo svolgimento di attività che non rientrano in questo elenco non sono soggette al principio del mutuo riconoscimento, pertanto, il soggetto che volesse effettuare un’attività non prevista in questo elenco in uno stato straniero dovrà richiedere l’autorizzazione all’autorità di vigilanza del paese straniero.
Oltre al principio del mutuo riconoscimento, che consente ai soggetti che hanno già ottenuto un’autorizzazione ad esercitare le attività di cui all’art. 1 comma 2 dall’autorità del proprio paese di origine di operare le stesse attività nei paesi comunitari senza richiedere una nuova autorizzazione, la seconda direttiva CEE 646/1989 ha introdotto il principio dell’home country control, in base al quale il soggetto che sulla base dell’autorizzazione rilasciata dall’autorità del proprio paese d’origine esercita l’attività in uno stato europeo diverso, è sottoposto alla vigilanza dell’autorità del proprio paese d’origine. Tuttavia, l’autorità d’origine può delegare all’autorità ospitante alcune funzioni di vigilanza.
Per quanto riguarda gli enti bancari non finanziari la norma di riferimento è l’art. 106 del t.u.b.
Questo articolo individua gli intermediari finanziari sulla base di criteri soggettivi e oggettivi.
Il criterio oggettivo è definito dal primo comma che prevede “l’esercizio nei confronti del pubblico di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi”.
Il criterio soggettivo è definito dal terzo comma che prevede:
- La forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa;
- Oggetto sociale conforme all’attività finanziaria svolta;
- Capitale sociale versato non inferiore a cinque volte il capitale minimo previsto per la costituzione di società per azioni;
- Possesso, da parte dei titolari di partecipazioni e dei responsabili dell’attività, dei requisiti di onorabilità e professionalità previsti dagli artt. 108 e 109.
I soggetti che rispettano i requisiti sopra elencati ed intendano svolgere le attività previste nei confronti del pubblico devono richiedere l’iscrizione nell’elenco tenuto dall’UIC e una volta che vengono iscritti in questo elenco possono svolgere l’attività finanziaria.
Qualora un soggetto operasse tali attività senza la necessaria autorizzazione sarà perseguibile sia in sede amministrativa sia in sede penale.
Se invece l’attività non è svolta nei confronti del pubblico l’iscrizione nell’elenco UIC non è necessaria.
Il sistema di vigilanza per gli intermediari finanziari si esaurisce nella verifica delle condizioni necessarie per ottenere l’iscrizione nell’elenco dell’UIC.
Se l’attività svolta assume dimensioni rilevanti, il soggetto è tenuto all’iscrizione anche presso un elenco speciale tenuto dalla Banca d’Italia. I requisiti per l’iscrizione nell’albo speciale sono specificati nell’art. 107 e sono riferiti all’attività svolta, alla dimensione e al rapporto tra indebitamento e patrimonio.
L’iscrizione nell’elenco speciale comporta la sottoposizione di questi organismi alla vigilanza della Banca d’Italia, la quale può effettuare ispezioni, richiedere informazioni o addirittura vietare di intraprendere determinate operazioni o disporre la riduzione delle attività.
Questi controlli sono fatti perché qualora un intermediario di grandi dimensioni avesse una crisi questa potrebbe avere conseguenze sull’intero sistema.
L’autorizzazione e la revoca all’esercizio dell’attività bancaria risultano oggi regolati dagli articoli 14 e seguenti del t.u.b.
Tali norme stabiliscono la legittimità del potere regolamentare in materia in capo alla Banca d’Italia, sia in ordine all’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, che alla sua revoca.
Il provvedimento di autorizzazione deve essere concesso, a mente dell’art. 14, comma 1, nel rispetto delle seguenti condizioni:
- “Sia adottata la forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata” (nella forma della banca popolare o nella forma della banca di credito cooperativo); la prima forma è stata adottata per venire incontro a quelli che sono i modelli di banca presenti negli altri paesi europei, la seconda per  rendere omaggio alle peculiarità dell’ordinamento italiano (nei quali in passato tale forma era molto diffusa);
- “La sede legale e la direzione generale della banca siano situate nel territorio della Repubblica”; questo requisito è stato introdotto sei anni dopo l’emanazione del t.u.b. a causa di alcune banche, che per ottenere vantaggi normativi spostavano la propria sede legale in un paese estero continuando ad operare in Italia;
- “Il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia”. La Banca d’Italia, esercitando il proprio potere regolamentare, potrà così fissare livelli di capitale diversi per le banche società per azioni e per le banche società cooperative ed ulteriori differenziazioni tra Banche popolari e Banche di credito cooperativo;
- “Venga presentato un programma concernente l’attività iniziale, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto”; in questo modo la Banca d’Italia è a conoscenza della politica imprenditoriale della banca ed è in grado di stabilire se questa è in grado di garantire la sana e prudente gestione;
- “I titolari di partecipazioni rilevanti devono avere i requisiti di onorabilità stabiliti dall’art. 25 e sussistano i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 19”; partecipazioni rilevanti sono quelle che danno diritto di voto in assemblea e che superino il 5% del capitale sociale. Tali requisiti sono stabiliti dal ministro dell’economia e delle finanze e sono essenzialmente requisiti che riportano alla condotta del soggetto (non deve avere riportato reati penali previsti da decreto ministeriale);
- “I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo, devono avere i requisiti di professionalità, di onorabilità e di indipendenza indicati nell’art. 26”; i requisiti di onorabilità coincidono con quelli previsti per i possessori di partecipazioni rilevanti. I requisiti di professionalità sono dati dall’esperienza maturata nei settori bancari e finanziari; si richiede che questi soggetti abbiano maturato esperienze nella direzione, nell’amministrazione o nel controllo di altre società. Il requisito di indipendenza è stato introdotto in seguito alla riforma delle società di capitali;
- “Non devono sussistere tra la banca o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza”; questo requisito è stato introdotto nel 1989 e serve per garantire l’assoluta trasparenza della banca nei confronti dell’autorità di vigilanza;
- “Deve essere prevista l’adesione ad un sistema di garanzia dei depositi”.
A garanzia del rispetto delle norme, l’art. 14, comma 3, prevede che “non si può dare corso al procedimento per l’iscrizione nel registro delle imprese se non consti l’autorizzazione del comma 1”.
La Banca d’Italia nega l’autorizzazione anche quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulti garantita la sana e prudente gestione. Ciò di fatto concede alla Banca d’Italia un potere molto ampio, in quanto è essa stessa a stabilire i requisiti in base alla quale la sana e prudente gestione è garantita.
Le banche autorizzate, ai sensi dell’art. 13, vengono iscritte in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.
La banca che esercita l’attività bancaria senza aver ricevuto l’autorizzazione della Banca d’Italia viene classificata come “banca di fatto”. Tale esercizio non autorizzato dell’attività bancaria non comporta l’invalidità degli atti compiuti, né comporta l’esclusione del carattere imprenditoriale della attività. Saremo così in presenza di una attività illecita, in contrasto con norme imperative, e per le quali sono previste sanzioni anche di carattere penale. Tuttavia, qualora tale soggetto andasse in crisi, incorrerà nei procedimenti previsti per le banche (amministrazione straordinaria e liquidazione coatta amministrativa).
In merito alla revoca competente è il Ministro dell’Economia e delle finanze, che, ai sensi dell’art. 80, comma 1, t.u.b., su proposta della Banca d’Italia, può disporre con decreto – pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale – la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e la liquidazione coatta amministrativa delle banche, anche quando ne sia in corso l’amministrazione straordinaria, ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie.

Tratto da DIRITTO BANCARIO di Fabio Muzzolu
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