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AZIONE SOCIALE DOTATA DI SENSO

Azione sociale dotata di senso


In quanto l’agire di consumo assume precisi significati in relazione a due dimensioni cardine:
- alle caratteristiche della struttura sociale in cui si consuma (cioè la gerarchia, l’insieme di relazioni su cui si fonda la convivenza sociale);
- al sistema di atteggiamenti e di valori che connotano la cultura: difatti ogni luogo, ogni società è depositaria di una certa cultura, e sono proprio i valori su cui poggia la cultura a guidare i significati del nostro consumare.
Noi riteniamo erroneamente che il nostro comportamento sia libero, fortemente personale; ciò non è vero, in quanto gran parte del nostro comportamento è appreso e sedimentato nella cultura di riferimento (ad esempio il camminare e il parlare, oppure la sfera sessuale e l’atto sessuale, che in contesti differenti denotano comportamenti differenti).
Da dove nasce il senso dell’azione sociale, e quindi anche dell’azione di consumo?
Il senso dell’agire sociale nasce dalla condivisione di un sistema di norme: sono norme culturali, sociali, che vedono una condivisione di orientamenti, principi che definiscono il significato simbolico tanto degli oggetti quanto delle pratiche d’uso (ad esempio l’anello, a cui si uniscono una serie di significati legati ad aspetti culturali).
Il sistema di norme è “situato”, cioè parte integrante di una comunità o di un contesto (ad esempio le mimose e la festa dell’8 marzo, che rappresentano un codice di consumo culturalmente situato, ma che in Polonia invece sono un simbolo della prostituzione).
Gli oggetti, i beni non sono neutri, ma assumono significati in base alla condivisione di norme e orientamenti tramandate oralmente, non scritte: noi veniamo a conoscenza del significato dei beni, imparando a decodificare il linguaggio degli oggetti.
Il problema sorge quando cambiamo gruppo di riferimento, rischiando di commettere un errore perché non abbiamo quell’apprendimento culturale sui valori e sui significati di determinate scelte di consumo (esempio anche dei grisantemi che in Giappone sono simbolo di rispetto e onorabilità o che in Romania si utilizzano per fare il bouquet di nozze, mentre da noi si usa nei funerali).

Cambiando quindi il contesto, è necessario elaborare un apprendimento chiamato socializzazione, che altro non è che il processo di apprendimento che consente di interagire con le persone che ci circondano.
C’è un primo nucleo di socializzazione che viene definito primario, e prende corpo nei primi anni di vita a cura della famiglia e che dà origine a quelle che vengono chiamate disposizioni durature, cioè quella sensibilità, con gli atteggiamenti preferenziali che ci accompagneranno per tutta la vita e che quindi risulteranno per un certo senso preferibili (ad esempio se ho fame e sono stato allevato in una famiglia italiana, è più probabile che preferirò determinati alimenti per eliminare questa sensazione, o quanto meno per concedermi una gratificazione, mentre se sono stato allevato in un altro contesto preferirò altri alimenti).
Il secondo tipo di socializzazione che ci accompagna per il resto dell’esistenza viene denominata socializzazione secondaria, ed è basata sull’apprendimento di codici che maturano nel percorso esistenziale e andranno ad arricchire la nostra esperienza (esempio dell’esperienza delle mimose in Polonia come meccanismo di socializzazione secondaria e disposizione variabile utile ad adattarsi al contesto).
In un viaggio in un Paese diverso dal mio si elaborano delle disposizioni variabili, perché sperimento il contatto con beni diversi da quelli della mia esperienza: è difficile però che si vadano a sostituire all’esperienza duratura (ad esempio difficilmente sostituirò i miei alimenti con quelli che avrò sperimentato in un certo Paese che ho visitato).
La socializzazione al consumo nasce da condotte di tipo partecipativo, cioè dal coinvolgimento completo nel compiere azioni, nel vedere concretamente applicati determinati comportamenti.
Questo coinvolgimento dovrà riguardare un coinvolgimento attivo emozionale con una certa durata tale da determinare un quantum di azioni sociali significative (non è ad esempio sufficiente che io passi davanti ad un kebab perché io elabori una disposizione variabile al kebab, ma occorre che io sia sottoposto ad un coinvolgimento emotivo polisensoriale per un certo lasso di tempo).
Questo apprendimento è rilevante in due occasioni:
 - EFFETTO DIMOSTRATIVO (Duesenberry): sostiene che apprendiamo l’uso legittimo dei beni ed impariamo a desiderarli attraverso il contatto visivo, in particolare vedendo l’uso che ne fa una persona a noi vicina (ad esempio io ho un computer vecchio, incontro un amico con un computer di ultima generazione: comincerò allora a desiderare di cambiare computer, e a cercare di informarmi sulle sue capacità tramite questo mio amico).
Questo è un effetto molto forte, in quanto ci induce a violare la nostra propensione al risparmio; le persone difatti sono orientate al risparmio, ma siccome ci sono molti effetti dimostrativi nella giornata, si è portati a spendere il proprio reddito. 
Questa è una strategia utilizzata anche delle imprese, e denominata marketing non convenzionale che, fornendo anche gratuitamente di certi beni gli opinion leader di alcuni gruppi, attraverso la visibilità del bene incentivino i loro amici ad acquistarli, determinando così un effetto domino.
 - RAPPRESENTAZIONE PER IMMAGINI: cioè apprendo attraverso un flusso di immagini (tramite tv, giornali, Internet…) che non riguarda però tanto la comunicazione commerciale (cioè la pubblicità), ma che riguarda un fenomeno più sotterraneo e trasversale denominato product placement, cioè l’inserimento di prodotti commerciali all’interno di un prodotto culturale come ad esempio un film, una mostra, un documentario: cioè si prendono oggetti e li si inseriscono ad esempio nei film diffondendone l’uso in maniera subliminale, sfruttando così il fatto che i consumatori hanno barriere molto più basse.
E’ questa la strategia che ha diffuso il consumismo in Italia aggirando regimi contrari quali il cattolicesimo e il comunismo.

Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI ECONOMICI di Andrea Balla
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