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Le possibili trappole relazionali nel lavoro al centro diurno


Accade spesso che l’educatore perda di vista il proprio ruolo e viva il conflitto in modo sempre più personale (senso di tradimento di fiducia, egocentrismo interpretativo ecc.). Un’altra insidia è connessa al rischio di trascurare un componente periferico. In questo caso la relazione di rete (educatore-rete dei servizi-famiglia) tende a schiacciarsi su una dimensione diadica (educatore/caregiver). Chi opera sul campo riconosce, ad esempio, la tendenza diffusa a lasciare da parte, nel tempo, la figura del padre  o dei fratelli.
In ogni caso, l’alleanza viene creata con un solo ed esclusivo componente della famiglia, fatto che comporta, nel tempo, rischi importanti di tenuta del progetto: difficoltà a sostituire il caregiver in caso di assenze temporanee o definitive.

Nei centri diurni possono essere tentati approcci differenti, anche a seconda delle tipologie di famiglia con cui si entra in relazione: dal coinvolgimento leggero (con il pretesto di tenere informati i genitori, si possono scambiare significative interazioni che contribuiscono a mantenere salda l’alleanza di lavoro instaurata), al coinvolgimento diretto.
Possiamo considerare come esempio emblematico gli interventi centrati sulla riabilitazione, che costituiscono un’offerta presente nella maggior parte dei centri diurni per disabili. Si tratta di laboratori, come la psicomotricità o l’acquaticità, o di attività formative connesse allo svolgimento di azioni del quotidiano, quali l’igiene e il rilassamento del corpo o, ancora, di interventi individuali specifici, che vanno dal bagno nella vasca a farfalla alla fisioterapia.
Fare insieme significa provare, sperimentare, adottare un atteggiamento di natura collaborativamente esplorativa; talvolta, può trattarsi di non fare ma fermarsi a parlare, all’interno di un contesto che consenta di condividere aspetti anche molto importanti dell’esperienza personale con il disabile, senza che questi vengano troppo velocemente assorbiti da una cornice terapeutico-riabilitativa.

Tratto da L'EDUCAZIONE DIFFICILE di Anna Bosetti
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