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Storia della liturgia e forma di celebrazione del matrimonio

Nel XV secolo il matrimonio diviene un sacramento. Dal momento che l'accesso all'istituto era libero, libera ne doveva risultare la forma, affidata alla spontaneità degli sposi. Però la forma libera di celebrazione rappresentava un vulnus mortale, perché attraverso di essa sarebbe stato possibile la contaminazione tra cattolici e protestanti. La Chiesa, quindi, introdusse con il DECRETO TAMETSI, la forza pubblica di celebrazione sanzionandola con l'invalidità del matrimonio medesimo. Per il futuro si disponeva che il matrimonio dovesse essere obbligatoriamente celebrato alla presenza di un sacerdote e di almeno due testimoni, dichiarandosi invalido o nullo quel matrimonio che non avesse osservato nella celebrazione del consenso questa forma pubblica. Secondo il Tametsi chiunque optasse per una forma diversa da quella pubblica nel celebrare il proprio matrimonio diventava ipso iure inabile a contrarre un matrimonio valido. La mancanza di forma si traduce in una mancanza di presupposto soggettivo. Il notaio aveva competenza di carattere personale e non territoriale, essendo parroco di uno dei nubendi poteva celebrare il matrimonio anche fuori dai confini della sua parrocchia.
Nella LITURGIA NUZIALE nel corso dei secoli, il consenso era espresso per formule semplici o per gesti concludenti quali lo sfioramento della mano alla presenza dei parenti, il bacio pubblico sul sagrato della chiesa e lo scambio degli anelli. Al di là di ciò, l'usanza diffusa comportava la diacronicità di fasi distinte della formazione della volontà matrimoniale, segnata dalle tappe del corteggiamento, della trattativa tra l'uomo e il padre della sposa, della promessa di matrimonio e della esplicitazione definitiva della volontà. La promessa di matrimonio ha valore formale, in cui l'uomo e la donna si impegnano a sposarsi. La liturgia post tridentina ha agito su due fronti: il primo di essi concerneva la concentrazione dell'espressione del consenso al momento della sua celebrazione eliminando progressivamente le fasi intermedie; il secondo mirava ad espungere tutti gli elementi profani che si erano inseriti nel contesto della celebrazione che si svolgeva in chiesa alla presenza del parroco, che poco si addicevano al carattere sacro del luogo. Il RITUALE ROMANUM si dispiega su altri appuntamenti liturgici, il primo riguarda la benedizione della moglie incinta, il secondo concerne la cerimonia di solenne accoglienza in chiesa della donna che ha partorito, infine il terzo contempla la messa e la benedizione per coloro che hanno raggiunto i 25 e poi i 50 anni di nozze.
Per la codificazione pio-benedettina la forma ordinaria di celebrazione è la forma pubblica che prevede la presenza degli sposi, l'assistenza di un ministro di culto e la presenza di almeno due testimoni. Il ministro di culto deve essere stato legittimamente consacrato. I testimoni devono essere in grado di assistere e testimoniare circa l'atto che si sta per concludere. La celebrazione del consenso deve essere preceduta dalle pubblicazioni. La codificazione del 1917 prescriveva che dall'avvenuto matrimonio si redigesse apposito verbale da conservare presso l'archivio parrocchiale e in copia, presso l'archivio diocesano. Il codice del 1917 prevedeva tre possibili deroghe alla forma di celebrazione pubblica: la prima riguardava il matrimonio di coscienza (no clandestino) e si riferiva a quell'atto che il vescovo poteva decidere dovesse essere celebrato segretamente e con l'omissione delle pubblicazioni per causa grave ed urgente, questo matrimonio doveva vedere comunque la presenza del parroco e di due testimoni. La seconda forma straordinaria di celebrazione va individuata nel matrimonio in articulo mortis: può essere celebrato dal vescovo o dal parroco, senza la presenza dei testimoni, omettendo le formalità previste dalla forma pubblica e con dispensa dagli impedimenti direttamente connessi alla sua sfera di giurisdizione. La terza tipologia che fa eccezione alla forma di celebrazione ordinaria è il matrimonio coram solis testibus, che si presenta come una necessità urgente quando o un pericolo di morte o la previsione dell'impossibilità per motivi non imputabili alla volontà umana, di poter contare sulla presenza del vescovo, e il matrimonio potrà essere celebrato alla presenza dei soli testimoni.

Tratto da DIRITTO CANONICO di Alexandra Bozzanca
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