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Scienza e media


Un primo aspetto dei rapporti tra scienza e media riguarda il modo in cui vengono presentate le notizie a carattere scientifico. In quest'ambito una delle maggiori difficoltà risiede nella specificità del linguaggio della scienza. Per il lettore e per il giornalista che deve tradurre un concetto o un'informazione in termini comprensibili, la situazione non è semplice, anche perché nel mondo della scienza si è progressivamente affermata una tendenza alla parcellizzazione e specializzazione dei campi di ricerca che ha portato a una estrema sinteticità del linguaggio, difficilmente comprensibile per i non addetti ai lavori, ciò porta a linguaggi sempre più concentrati e specifici rispetto a un secolo fa quando erano ancora in uno saggi di grande leggibilità in grado di coinvolgere a più livelli la mente del lettore.
 
Le ultime generazioni di scienziati hanno avuto un'educazione qualitativamente e quantitativamente diversa rispetto ai loro predecessori: sino agli anni ‘20 o ‘30 del secolo scorso uno scienziato riceveva una preparazione più vasta e globale, non estremamente limitata a un problema. Oggi l'addestramento specifico costituisce una regola e una necessità, la produttività di uno scienziato è concentrata sin dall'inizio della sua carriera su quello che sarà il suo futuro campo di ricerca fondamentale. Gran parte di queste trasformazioni sono legate oltre che a forme di competizione estremamente spinte anche all'aumentare delle specializzazioni e degli specialismi. Ad esempio c'è la tendenza a fornire notizie fortemente canalizzate e selezionate che tramite gli uffici stampa creano un evento indipendentemente dalla sua reale significatività: in tal modo si crea un circolo vizioso in quanto diviene importante ciò di cui parlano i giornali che sollecitano commenti di addetti ai lavori, sociologi, opinion makers, sull'importanza di quel fatto specifico.

La selezione scientifica è dura, la competitività forte cosi che la dimensione mediatica contribuisce a dare rilievo a un particolare fatto e a far si che un raggiungimento venga caricato di pesanti significati, spesso anche al di là della volontà degli stessi scienziati che possono in certi casi perdere il controllo della loro produzione. Questa perdita di ruolo da parte degli scienziati fa parte dei numerosi cambiamenti di tipo soggettivo e oggettivo che stanno trasformando la comunità scientifica. Tra questi vi è la percezione di una diminuita autonomia che deriva dalla crescente necessità di giustificare le proprie scelte di fronte l'opinione pubblica e alla committenza che finanzia la ricerca; vi è poi un eccessivo livello di specializzazione che porta a una alienazione nei riguardi dei problemi reali e della comprensione del proprio ruolo; e infine vi è l'eccessiva competitività, quest'ultimo è forse il fattore più significativo: il mondo della scienza ha  generalmente attratto personalità proiettate più all'interno del loro mondo che all'esterno, più riflessive e prudenti che interattive e manageriali, mentre invece oggi viene richiesta allo scienziato una buona dose di aggressività da mettere in atto in ambiti competitivi compreso il livello mediatico. Partendo da queste premesse, il filosofo John Ziman ha sottolineato come sia sempre più importante che gli scienziati siano consapevoli delle proprie azioni e del modo in cui la scienza viene percepita dall'opinione pubblica, in altre parole la scienza ha ormai complessi risvolti sociologici, politici ed economici. Ziman guarda gli aspetti sociali dell'innovazione scientifico-tecnologica, altri scienziati sottolineano invece piuttosto l'importanza dell'aspetto e della dimensione etica: il problema è che l'etica non ha vita facile in un'impresa scientifica frammentata in cui la visione d'insieme è pressoché assente. Sarebbe quindi essenziale che il processo di formazione scientifica comportasse anche l'acquisizione di un'ottica meta scientifica che andasse oltre la filosofia e l'etica tradizionale e guardasse alla dimensione umanistica e sociale della scienza. A questi problemi se ne aggiungono degli altri: il fatto che il passaggio da una scoperta alla sua applicazione pratica si sia accorciato drasticamente nel giro di pochi anni, il fatto che il sistema dei finanziamenti per la ricerca favorisca una dura competitività, il fatto che la crescita scientifico-tecnologica si sia verificata in concomitanza con il crescente e d esplosivo ruolo dei media, facendo si che anche l'impresa scientifica non sfugga ai rischi della visibilità mediatica. Quest'ultimo punto ha importanti risvolti etici: una scienza mediatica assicura visibilità ai suoi responsabili e impatti di tipo economico potendo far salire o scendere i titoli di un casa farmaceutica ad esempio o di una qualsiasi impresa coinvolta nel mercato scientifico-tecnologico, come può inoltre favorire e facilitare la raccolta di fondi per un gruppo di ricerca.

Esistono poi altri aspetti problematici relativi alla tendenza ad anticipare o ad ingigantire il significato di un particolare raggiungimento prima che questo abbia in effetti una dimensione definitiva: tali sono le distorsioni indotte dalla corsa mediatica.

Il processo di selezione delle notizie e la loro amplificazione dipende in gran parte anche dal processo di specializzazione cui è andata incontro la scienza e di conseguenza dalla crescita di difficoltà di poterne decifrare le dinamiche, fatti e rapporti. Da quando la ricerca scientifica è diventata un mestiere essa è divenuta appannaggio di professionisti qualificati e outsider (curiosi e dilettanti che gravitano attorno al mondo della scienza), i quali sono stati estromessi in modo pressochè totale. Questo processo di specializzazione e frammentazione della scienza in una miriade di discipline scientifiche ha fatto si che anche nell'ambito di una singola disciplina si siano formati sottogruppi che trattano problemi diversi e che usano terminologie e linguaggi specialistici. La prosa scientifica rappresenta ormai una sorta di fossile, è quindi ben difficile introdurre i lettori al linguaggio della scienza se non ricorrendo alla mediazione del giornalista scientifico, a metafore che traducano la complessità di un concetto in un'immagine più familiare. Così il codice della vita si limita ad essere una doppia elica, o meglio una scala a chiocciola, le origine dell'universo non sono altro che un big bang, ma questo tipo di conoscenza rudimentale ha una qualche utilità? Può realmente rappresentare una forma di allitterazione alla scienza?

Tratto da BIOETICA E MASS MEDIA di Marianna Tesoriero
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