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L’appello


L’appello è il secondo grado del giudizio. Per la sua generalità e per l’ampiezza della cognizione, può considerarsi il più importante dei mezzi di impugnazione. E’ regolato con un certo dettaglio, soggiacendo cmq ad una norma di chiusura: l’art 359, clausola generale che rinvia alle norme relative al procedimento di primo grado di fronte al tribunale “in quanto applicabili”.
L’appello è caratterizzato da alcuno effetti particolari: il c.d. effetto devolutivo e il c.d. effetto sostitutivo.
Effetto devolutivo significa trasporto della controversia in appello.
La materia del contendere non è trasportata automaticamente in virtù di qualunque proposizione di appello. Per far si che tutto ciò che è stato oggetto del giudizio di primo grado formi oggetto di cognizione e decisione in appello, è anche necessario che l’appellante abbia manifestato la propria volontà di devolvere la materia del contendere nella sua globalità: la parte soccombente potrebbe infatti decidere di impugnare solo una parte della sentenza.
L’espressione “effetto devolutivo” va quindi presa nel senso che di “effetto potenzialmente devolutivo”, poiché talora il soccombente in primo grado sceglie la via dell’appello parziale, cioè dell’impugnazione solo di una parte della sentenza.
All’effetto devolutivo si aggiunge l’effetto sostitutivo. Questa formula indica il potere del giudice d’appello di decidere di nuovo del merito della causa, senza cioè limitarsi alla censura di vizi del procedimento o di errori della decisione di primo grado, con la conseguenza che la sentenza d’appello si sostituirà alla sentenza impugnata, in caso di sua riforma e in caso di sua conferma.
Quando una parte decide di appellare una sentenza?
Per osservarne il funzionamento nell’appello, riprendiamo la fondamentale norma sull’acquiescenza parziale (art 329).
Tutte le volte in cui possiamo suddividere la sentenza in più parti, l’appello di uno di questi capi fa si che automaticamente si debbano intendere rinunciati gli altri capi. Se la sentenza ha un capo A e un capo B, il fatto che abbia appellato il capo A (= nell’atto si citazione in appello mi sia limitato a dichiarare di volere impugnare il capo A), automaticamente comporta che io abbia rinunciato ad impugnare il capo B.  Non sarà possibile per il giudice d’appello rigiudicare su di esso.

ART 346.
Secondo l’art 346 “Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”. La norma vuol dire che le eccezioni sollevate in primo grado, per poter essere di nuovo esaminate in appello, debbono essere riprese in appello; occorre cioè che la parte interessata al nuovo esame si dolga espressamente del loro rigetto.
Con l’art 346 abbiamo a che fare con momenti della decisione che configurano veri e propri rigetti di domanda. Immaginiamo che l’attore risulti soccombente all’esito della sentenza di primo grado: è stata rigettata la sua domanda di condanna in quanto è stata accolta l’eccezione di nullità del contratto.
Al convenuto – vincitore – era stata però a sua volta rigettata un’eccezione di prescrizione dell’obbligazione.
Qui la sentenza consta di un rigetto secco della domanda, fondato sulla nullità. Sicchè l’attore è il solo soccombente reale, solo lui può impugnare.
Entra in gioco l’art 346: se l’attore soccombente appella sul punto della nullità, è necessario che il convenuto appellato – vincitore sulla domanda – se vuole che il giudice conosca e decida anche della questione di prescrizione sulla quale era restato soccombente nel giudizio di primo grado, riproponga di nuovo espressamente la stessa questione di prescrizione.

L’ART 346 E L’APPELLO INCIDENTALE
L’appello incidentale è la vera e propria impugnazione incidentale che merita una forma separata, che ha dei termini propri, distinguendoli dalla semplice riproposizione dell’eccezione.

LE SENTENZE APPELLABILI
L’art 339 stabilisce che possono essere appellate “le sentenze pronunciate in primo grado, purchè l’appello non sia escluso dalla legge ovvero dall’accordo delle parti a norma dell’art 360 secondo comma.
L’accordo delle parti è regolato dall’art 360 secondo comma, norma relativa al giudizio di cassazione secondo cui “può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d’accordo per omettere l’appello; ma in tal caso l’impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma.”.
Oltre che dall’accordo delle parti, l’appello può talora essere escluso dalla legge.
Non è ammesso l’appello per le sentenze del giudice di primo grado che pronunciano solo sulla competenza perché contro esse è ammesso esclusivamente quel mezzo particolare di impugnazione che è il regolamento di competenza.
Ci sono altre sentenze per cui l’appello è si escluso dalla legge, ma contro di esse non è escluso invece il ricorso per cassazione ai sensi dell’art 111cost. Esempio tipico sono le sentenze rese all’esito di quel particolare procedimento di cognizione, che può sorgere nel corso dell’esecuzione forzata, detto opposizione agli atti esecutivi.
Invece, “le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’art 113 2c, sono appellabili esclusivamente per violazione di norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.
L’art 341 individua il giudice competente a conoscere e decidere dell’appello.
La regola è che, nei confronti delle sentenze del Tribunale, l’appello si propone alla Corte d’appello. La Corte d’appello giudica sempre nella stessa formazione collegiale indipendentemente dal fatto che in primo grado la sentenza sia stata pronunciata dal collegio del Tribunale, ovvero dal giudice istruttore in funzione di giudice monocratico.
Per le sentenze del Giudice di pace invece è competente quale giudice d’appello il tribunale in formazione monocratica.
L’appello di fronte alla Corte d’appello ha sempre trattazione collegiale; il tribunale giudica in formazione monocratica.

FORMA DELL’APPELLO
L’appello nel rito ordinario si propone con atto di citazione. Prescrive l’art 343 che: “l’appello si propone con citazione contenente l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione, nonché le indicazioni prescritte nell’art 163”.
Per il rispetto dei termini minimi a comparire si applica l’art 163 bis. Le forme e i termini della costituzione sono ricalcati su quelli della costituzione in primo grado in tribunale.
L’appellante deve inoltre “inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza appellata. Il cancelliere provvede a norma dell’art 168 e richiede la trasmissione del fascicolo d’ufficio al cancelliere del giudice di primo grado”.
Per il resto, il cancelliere del giudice d’appello fa le stesse cose che fai il cancelliere del giudice di primo grado, cioè iscrive a ruolo e sottopone il fascicolo d’ufficio al Presidente per la designazione.
Importante è l’art 348: “l’appello è dichiarato improcedibile anche d’ufficio se l’appellante non si costituisce in termini”. C’è una differenza netta rispetto al primo grado. In primo grado l’attore ha l’onere di costituirsi ma ne non lo fa è sempre possibile che il convenuto si costituisca fino al termine della sua costituzione tempestiva: il processo può quindi proseguire in contumacia dall’attore.
Dopo la riforma del 1990, una volta notificata la citazione, l’appellante deve costituirsi nel termine assegnatogli dalla legge. Non è possibile la quiescenza temporanea del procedimento come in primo grado.
L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine fissato dalla legge”. Viene quindi bloccata la possibilità di fare un secondo appello nei termini.
L’art 348 prevede l’ipotesi che l’appellante che si è costituito non compaia alla prima udienza; in questo caso “il giudice con ordinanza non impugnabile rinvia la causa ad una prossima udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’appellante”.
Se anche alla nuova udienza l’appellante non compare, l’appello è dichiarato improcedibile anche d’ufficio.

L’APPELLO INCIDENTALE
L’appello può proporre il c.d. appello incidentale, cioè l’impugnazione incidentale dell’appellato, anch’esso soccombente.
Per proporre appello incidentale, l’appellato ha termini e modalità da rispettare: “l’appello incidentale si propone, a penda di decadenza, nella comparsa di risposta all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’art 166”. Essi si propone con la comparsa di risposta tempestivamente depositata; il termine è perentorio: o si sfrutta la costituzione tempestiva o l’appello incidentale è improponibile, con la conseguenza che il capo di sentenza rispetto al quale l’appellato è soccombente passa in giudicato.

APPELLABILITA’ DELLE SENTENZE NON DEFINITIVE
Sono appellabili tanto le sentenze definitive o eventualmente non conclusive del processo ma definitive del giudizio, cioè conclusive di una parte del processo, quanto quelle non definitive in senso proprio.
La particolarità dell’appello sta in una possibilità in + rispetto alle regole degli art 325 ss.
Si può non impugnare la sentenza ed evitare, nello stesso tempo, che essa passi in giudicato. Ciò avviene con il meccanismo della c.d. riserva di appello, il quale consiste in un differimento dell’impugnazione: la sentenza non si impugna subito, ma ci si riserva di impugnarla in un secondo momento e quindi si impedisce che passi in giudicato.
Il legislatore ha lasciato la parte soccombente libera di impugnare in un secondo momento: essa potrebbe valutare più conveniente dolersi della sentenza solo dopo la pronuncia definitiva, mente per l’intanto potrebbe essere più conveniente proseguire il processo.
La scelta della riserva di impugnazione è meramente facoltativa. Rispetto alle sentenze appellabili indicate dall’art 340, la parte soccombente ha tre scelte:
1)appellare immediatamente la sentenza. In questo caso si avrà un processo d’appello su questa sentenza ed una prosecuzione del processo di primo grado su ciò che resta ancora da decidere.
2)non fare nulla. In tal caso la sentenza non definitiva passa in giudicato e quella questione è chiusa.
3)fare riserva di appello: la parte soccombente non impugna nei termini, ma la sentenza non passa in giudicato poiché essa si riserva di impugnare successivamente quando giungerà la sentenza finale.

Tratto da PROCEDURA CIVILE di Alessandro Remigio
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