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Il Cinque maggio

Manzoni legge la notizia della morte di Napoleone sulla "Gazzetta di Milano" del 17 luglio e subito, preso da un improvviso turbamento, compone di getto l'ode. La censura austriaca ne vieta la pubblicazione, ma il componimento comincia a circolare manoscritto e diviene molto popolare.
Manzoni ha tenuto sino ad allora un atteggiamento di riserbo verso Napoleone: non ha scritto una riga nè a favore nè contro il condottiero che ha diviso i poeti (come Monti e Foscolo).

D'altra parte egli, essendo un liberale, non nutre certo simpatie politiche per l'uomo che aveva instaurato un potere personale e autoritario. Ma la morte avvenuta sull'isola di Sant'Elena, dove Napoleone era relegato da sei anni, e le notizie che parlavano della sua conversione cristiana inducono Manzoni a rivedere la vicenda napoleonica in una nuova prospettiva.

L'ode è composta da diciotto strofe di sei settenari ciascuna. Le prime quattro pongono il tema; la parte centrale racconta l'episodio storico; la parte finale, altre quattro strofe, trae le conseguenze, e cioè l'insegnamento religioso. Ancora, la parte narrativa centrale è suddivisibile in due momenti di cinque strofe ciascuna, dedicati alle imprese del condottiero e all'esilio a Sant'Elena.

Il passato remoto impiegato scandisce una dimensione temporale ormai trascorsa ma ne valorizza le imprese. Dal punto di vista ideologico e religioso, l'autore sottolinea il ruolo salvifico della Grazia. La figura di Napoleone è iscritta nel disegno storico voluto da Dio.

Al centro dell'ode è il motivo dell'autorità. Qui, la grandezza di Napoleone ha qualcosa della grandezza divina, vi è come un nascosto parallelismo tra le due forme di potere. E se dal punto di vista ideologico, l'autore non ha dubbi nel mostrare la nullità della vita terrena rispetto a quella divi-na, la parte epica mostra il fascino che sulla psicologia dell'autore esercitano le grandi personalità.

Il tema in Manzoni è troppo ricorrente, e troppo violentemente represso per non pensare a una dimensione inconscia da collegare a una figura paterna fortemente superegotica (portatore cioè di una dura legge morale). La stessa figura di Dio, che atterra e suscita, è quella di un Dio-padre.

Tratto da LA SCRITTURA E L'INTERPRETAZIONE I di Domenico Valenza
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Dettagli appunto:

  • Autore: Domenico Valenza
  • Università: Università degli Studi di Catania
  • Facoltà: Lettere e Filosofia
  • Corso: Lettere
  • Esame: Letteratura italiana
  • Titolo del libro: La scrittura e l'interpretazione: storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civilta europea, Volumi 1-5
  • Autore del libro: Luperini Romano, Cataldi Pietro, Marchiani Lidia
  • Editore: Palumbo, Palermo
  • Anno pubblicazione: 1998

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