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La coscienza e cosa, ovvero trascendente ed empirico in Husserl


Intenzione è il termine scolastico con cui s’intendeva il riferimento di una rappresentazione, di un concetto o di un atto di volontà all’oggetto rappresentato o pensato o voluto. Per Husserl, la coscienza è intenzione verso l’oggetto che si presenta ad essa tramite le esperienze vissute. In essa bisogna distinguere la direzione verso l’oggetto (per es. il percepire, il ricordare, l’immaginare) che è detto da Husserl noesi e l’oggetto considerato dalla riflessione nei suoi vari modi di esser dato (ad es. il percepito, il ricordato, l’immaginato) che è detto noema.

Il noema è l’elemento oggettivo dell’esperienza vissuta, ma non è l’oggetto stesso, la cosa. L’oggetto della percezione è l’albero, ma il noema di questa percezione è il complesso dei predicati e dei modi d’essere nell’esperienza soggettiva: l’albero verde, illuminato, ecc.

Dunque, la differenza tra il modo d’essere della coscienza e della cosa è radicale. La cosa si dà alla coscienza attraverso i fenomeni soggettivi (del percepire, del ricordare, ecc.), la coscienza invece si dà a se stessa direttamente. Husserl riprende qui la tesi cartesiana, per la quale la realtà dell’oggetto è problematica, mentre è fuori dubbio la realtà dell’atto di coscienza col quale si pensa l’oggetto stesso.

Nelle opere posteriori, a partire dalle Meditazioni Cartesiane del 1931, Husserl distingue fra l’io empirico o naturale (che risulta in rapporto al mondo e agli altri io), e l’io trascendentale, che si pone il problema della costituzione dell’io empirico. Esso è quindi una coscienza che non ha vera e propria intenzionalità, in quanto l’intenzionalità è sempre il rapporto con un oggetto trascendente; e non c’è alcun oggetto che sia trascendente rispetto all’io trascendentale. Il pensiero di Husserl sembra in tal modo passare da una forma di realismo a un radicale idealismo.
La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale è l’ultima opera di Husserl. In essa egli denuncia la decadenza che la cultura europea ha subito per il prevalere del punto di vista oggettivistico proprio delle scienze naturali. Infatti il mondo della scienza è un mondo simbolico, che cela ciò che Husserl chiama mondo della vita, ossia la dimensione del vissuto e del concreto.

La crisi delle scienze europee di cui parla Husserl non consiste tanto in una crisi della loro scientificità, quanto nell’aver perso i contatti con la dimensione dei bisogni, delle emozioni, degli scopi, dimenticando che l’origine e il fine delle attività umane è l’uomo stesso. Il mondo della vita è il mondo al quale la scienza deve ritornare dopo esserne partita. I filosofi diventano così funzionari dell’umanità, responsabili di fronte a se stessi e al destino della specie.

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