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Gli accordi di Brioni

7 luglio - 8 luglio 1991

Una volta ripresi gli scontri in Croazia, i ministri europei decidono di riunire nell'isola di Brioni i protagonisti della crisi jugoslava, nel disperato tentativo di trovare un compromesso.
Al centro della discussione vi sono quattro punti. Primo, immediato cessate il fuoco. Secondo, riaffermazione delle competenze della presidenza federale sull'esercito, i cui vertici sono chiaramente disposti a risolvere la questione jugoslava manu militari, non tenendo conto delle indicazioni della presidenza federale – orientata verso una soluzione che non mette in conto l'intervento dei militari – e delle attività diplomatiche in atto. Terzo, avvio del negoziato sul futuro della Jugoslavia, cui parteciperanno i rappresentanti di tutte le repubbliche. Quarto, risolvere la questione delle frontiere, legata all'avvio della moratoria: si tratta di stabilire se questa debba partire prima o dopo il 25 giugno, giorno in cui Sloveni e Croati hanno dichiarato la propria indipendenza da Belgrado.
Il testo degli accordi proposto – di fatto imposto – dalla Cee, dà per scontata l'accettazione dei primi tre punti, mentre più problematica è la discussione sulle frontiere e sull'avvio della moratoria; alla fine, la troika riconosce alla Slovenia il controllo dei confini, nonché quello delle dogane – purchè amministrate in base a leggi federali -, mentre le concede tre mesi di moratoria per rilevare dall'esercito il controllo e la difesa delle frontiere.
Tale accordo è debole innanzitutto nella forma, poiché non reca in calce le firme dei contraenti, ma è debole soprattutto nella sostanza per le molte ambiguità sollevate e per i problemi cui non dà risposta.
Innanzitutto parte da una valutazione sbagliata, poiché considera largamente la contingente questione serbo-slovena, senza tenere in alcun conto la degenerazione della situazione in Croazia, come fa notare il presidente croato Tudjman appena giunto a Brioni. Inoltre, nel lasciare agli sloveni il controllo dei confini e delle frontiere chiedendo in cambio di amministrarle secondo la legislazione federale, si crea una situazione di grande ambiguità, poiché si chiede alla Slovenia di rispettare ancora le leggi di quello Stato da cui chiede di staccarsi; va poi sottolineato che la dirigenza serba ha dichiarato di voler sfruttare a proprio vantaggio – per rivendicare il possesso delle aree abitate dai serbi in Croazia, in Bosnia ed in Kosovo – le clausole dell'accordo in cui si parla di autodeterminazione dei popoli.
L'altra questione affrontata con troppa leggerezza dalla troika europea è quella relativa al ritiro dell'esercito: infatti, ciò è valido soltanto per la Slovenia, ma non per le terre croate in mano ai ribelli serbi – nella Krajina e in Slavonia -; unica speranza dei croati, al riguardo, rimangono gli osservatori europei – tra trenta e cinquanta – che la Conferenza per la sicurezza in Europa (CSCE) invierà in Jugoslavia nei giorni successivi, per vigilare sull'applicazione degli accordi.
In fin dei conti, quelle prese a Brioni sono solo misure che, di fatto, non stabiliscono né cambiano nulla, ma si limitano a rimandare di tre mesi quello che dovrà essere un approccio "serio" alla crisi jugoslava.

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