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La pericolosità sociale - Qualità indizianti e prognosi criminale connessa all'applicazione delle misure di prevenzione

Al di là delle antiche dispute, che appaiono infine superate, sull’autonomia delle scienze criminologiche, non è ragionevolmente negabile l’esigenza che ogni seria politica criminale si fondi sull’informazione scientifica e sulle risultanze degli studi che hanno ad oggetto il fenomeno dell’uomo che entra in conflitto con la società.
Se la fondamentale nozione dell’imputabilità è sufficiente nel nostro sistema di diritto positivo ad individuare i delinquenti punibili, essa non esaurisce la funzione del diritto criminale, che è anche, se non soprattutto quella di difendere la società da imputabili e non imputabili e di prevenire ed impedire fatti costituenti reato.
E’ così che è andata ad affiorare nelle più avanzate legislazioni la figura della pericolosità sociale che si sostanzia nella prognosi di probabili futuri reati e costituisce l’elemento fondamentale per l’applicazione delle misure di sicurezza nonché delle misure di prevenzione - oggetto della presente indagine - di cui tratterò diffusamente nella seconda parte. Sorge, dunque, la necessità di studiare la pericolosità sociale e di conseguenza la capacità a delinquere (che viene in esame per proporzionare la pena alla commissione di un reato) in rapporto alla personalità del delinquente e di cogliere gli elementi differenziali della stessa.
Ne scaturisce pertanto che la tranquillità sociale, non deve e non può essere affidata esclusivamente alla risposta di tipo repressivo – penalistico, ma deve trovare svolgimento anche attraverso lo spostamento in avanti del fronte, con l’apprestamento di una mirata attività di prevenzione, che abbia la capacità di incidere sul singolo e di garantire, al contempo, la eliminazione della cause criminogene presenti all’interno della società: su quest’ultimo aspetto, il compito dello Stato si traduce negli interventi intesi a rimuovere le cause sociali che favoriscono la commissione dei reati.
La garanzia di un ordine generalizzato e di condizioni di vita accettabili costituiscono, quindi, una legittima pretesa da parte del cittadino, pur titolare, in questo contesto, di analoghi diritti in tema di libertà personale.
La politica della prevenzione si pone, quindi, come dimensione essenziale del continuo processo di modernizzazione dello Stato e come una rassicurazione formale offerta ai cittadini: si tratta di una politica in cui pragmatismo, consenso politico, collaborazione interistituzionale, collegamento col territorio, equilibrio fra centro e periferia, trasparenza istituzionale, valutazione dei dispositivi, mobilitazione della ricerca al servizio dell’azione diventano le categorie che strutturano il quadro generale degli interventi.
In effetti, lo Stato, qualunque sia la sua forma e sotto qualsiasi tipo di regime, non può accontentarsi della giustizia punitiva, ma deve necessariamente preoccuparsi di evitare, innanzitutto, e al meglio possibile, che i reati vengano commessi.
Si tratta di un’esigenza insita nella natura stessa della società, ribadita dalla dottrina, che ha individuato nella prevenzione del crimine una componente ontologicamente necessaria di ogni società organizzata. La sola repressione non ha mai risolto il problema dell’insicurezza, che si può ridurre solo con iniziative di prevenzione, basate sulla responsabilizzazione e il coinvolgimento di tutti, ed attività repressive motivate e specifiche.
La ricerca di utili ed efficaci procedimenti di prevenzione è stata oggetto di interesse recente anche da parte della criminologia, che ha elaborato, in proposito, diversi modelli applicativi. In particolare, nell’ambito della prevenzione sociale, anche in Italia hanno ricevuto forte impulso i programmi alternativi al sistema penale; hanno concorso a tale spinta la riscoperta della centralità della vittima, la crisi del paradigma risocializzativo e dell’efficacia preventiva del sistema penale nel suo complesso, lo scossone recato dalle teorie abolizioniste, l’affermarsi del modello di giustizia riparativa e, secondo alcuni, l’asserita incapacità del sistema giudiziario a soddisfare, in taluni casi, le legittime aspettative di tutela del singolo e della collettività.

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1 INTRODUZIONE Al di là delle antiche dispute, che appaiono infine superate, sull’autonomia delle scienze criminologiche, non è ragionevolmente negabile l’esigenza che ogni seria politica criminale si fondi sull’informazione scientifica e sulle risultanze degli studi che hanno ad oggetto il fenomeno dell’uomo che entra in conflitto con la società. Se la fondamentale nozione dell’imputabilità è sufficiente nel nostro sistema di diritto positivo ad individuare i delinquenti punibili, essa non esaurisce la funzione del diritto criminale, che è anche, se non soprattutto quella di difendere la società da imputabili e non imputabili e di prevenire ed impedire fatti costituenti reato. E’ così che è andata ad affiorare nelle più avanzate legislazioni la figura della pericolosità sociale che si sostanzia nella prognosi di probabili futuri reati e costituisce l’elemento fondamentale per l’applicazione delle misure di sicurezza nonché delle misure di prevenzione - oggetto della presente indagine - di cui tratterò diffusamente nella seconda parte. Sorge, dunque, la necessità di studiare la pericolosità sociale e di conseguenza la capacità a delinquere (che viene in esame per proporzionare la pena alla commissione di un reato) in rapporto alla personalità del delinquente e di cogliere gli elementi differenziali della stessa. Ne scaturisce pertanto che la tranquillità sociale, non deve e non può essere affidata esclusivamente alla risposta di tipo repressivo – penalistico, ma deve trovare svolgimento anche attraverso lo spostamento in avanti del fronte, con l’apprestamento di una mirata attività di prevenzione, che abbia la capacità di incidere sul singolo e di garantire, al contempo, la

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Informazioni tesi

  Autore: Pasquale Striano
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Relatore: Ugo Terracciano
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 124

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Parole chiave

attività di prevenzione
camorra
controllo sociale
criminalità organizzata
crimine
criminologia
mafia
misure di prevenzione
pericolosità sociale
polizia

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