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La ricezione critica della "Trilogia dell'incomunicabilità" di Michelangelo Antonioni

La “Trilogia dell'incomunicabilità”

Tra il '59 e il '62 Antonioni scrive e dirige tre film destinati a diventare un vero punto di riferimento per critici, intellettuali e registi d'Europa e non solo; tre film che segnano il punto più alto raggiunto fino a quel momento dalla sua opera. Si tratta de L'Avventura (1960), La Notte (1961) e L'Eclisse (1962), che costituiscono i tre capitoli di una non dichiarata trilogia, in seguito denominata in vari modi quali “Trilogia dei sentimenti” o “dell'incomunicabilità”. La scelta di concentrare la ricerca proprio su questo ciclo di opere deriva dal fatto che esse costituiscono un caso unico nel lavoro dell'autore, non necessariamente migliore o peggiore ma sicuramente differente da tutto il resto e dunque passibile di una critica specifica ed approfondita.

Si tratta di tre lavori che, per alcuni aspetti che gli sono peculiari, possono agevolmente essere isolati dal resto dell'opera antonioniana, sia dal “prima” che dal “dopo”, ovvero costituiscono sia un punto d'arrivo che un punto di partenza. Punto di arrivo perché in questi tre film si concretizzano pienamente alcuni elementi che fino ad allora erano ancora abbozzati e limitati più che altro al piano dei contenuti. Se é vero infatti che nel Grido già si trovano alcuni tratti fondamentali della poetica di Antonioni (l'impossibilità di comunicare, l'interesse non per la collettività ma per l'individuo, la ricerca sul paesaggio come espressione dell'interiorità), é altresì vero che sul piano narrativo, ad esempio, non é stata ancora compiuta una ricerca approfondita: la struttura é abbastanza classica, si assiste ad una storia che procede in un crescendo drammatico, un intreccio composto di vicende che ne scatenano altre.

Manca ancora quella 'de-drammatizzazione' di cui poi così tanto si parlerà per il cinema di Antonioni, ossia quel meccanismo tanto che non fa procedere la trama, che non porta i personaggi in nessun luogo. Sarà di fatto con i tre film della “Trilogia” che la riflessione di Antonioni diverrà esplicita, manifestandosi in modo totale, investendo trasversalmente tutti i piani della rappresentazione: non riguarderà più solo le tematiche, ma coinvolgerà la tecnica narrativa, l'uso del mezzo, la suggestione scenografica e soprattutto la caratterizzazione dei personaggi.

La “Trilogia” come punto di arrivo, si diceva, e come punto di partenza. Questo perché, nonostante la piena e felice riuscita dei suoi intenti nei tre film, la ricerca del regista non si é ancora esaurita. Antonioni, da cineasta mutevole e innovativo quale si é dimostrato, subito dopo la “Trilogia” inizia a muovere in direzioni ancora diverse, caratterizzate in maniera ancor più forte dal suo desiderio di perlustrare da cima a fondo le possibilità che il mezzo può fornirgli. Con Deserto Rosso (1964) e ancor più da Blow-Up (1966) in poi, la sua poetica sarà modificata da vari fattori quali l'uso del colore, un carattere più maturo e “internazionale” e soprattutto un nuovo tipo di indagine sullo sguardo e una riflessione metalinguistica. Spesso Deserto Rosso é stato assimilato ai tre film precedenti, andando a formare quindi una “Tetralogia”; di fatto vi sono molti aspetti coincidenti, molti altri differenti, per cui é difficile stabilire in modo univoco ed assoluto se si tratti di un quarto capitolo o di un'opera di svolta, a sé stante. Sebbene non sia questa la sede adatta a discuterne approfonditamente, accennare alcune riflessioni in merito é comunque proficuo per delineare ancor più distintamente la “Trilogia”. La prima, evidente e sostanziale differenza caratterizzante Deserto Rosso é l'uso del colore.

Questo non costituisce di certo un motivo necessario di cambiamento, ma lo é se si tratta come in questo caso di un regista che ha fatto dell'immagine e della forma un pilastro della sua cifra stilistica; é naturale che il colore, con le possibilità che offre di esplicitare l'interiorità dell'individuo e la sua percezione del mondo (possibilità sicuramente maggiori di quelle offerte dal bianco e nero), abbia spinto Antonioni ad una revisione radicale della sua tecnica.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La ricezione critica della "Trilogia dell'incomunicabilità" di Michelangelo Antonioni

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Gentile
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Claudio Bisoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 45

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