Riassunto del testo "Signori del Mondo". Nel riassunto viene trattato il concetto di impero, le sue origini, la nascita del termine e la sua evouzione nel corso della storia. Viene proposta poi una descrizione della nascita degli imperi dei paesi Europei, oltre che il loro rapporto con le colonie, fino alla nuova concezione del termine impero che nasce nel '700.
Storia moderna
di Gherardo Fabretti
Riassunto del testo "Signori del Mondo". Nel riassunto viene trattato il concetto
di impero, le sue origini, la nascita del termine e la sua evouzione nel corso
della storia. Viene proposta poi una descrizione della nascita degli imperi dei
paesi Europei, oltre che il loro rapporto con le colonie, fino alla nuova
concezione del termine impero che nasce nel '700.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Storia moderna
Docente: Gino Longhitano
Titolo del libro: Signori del Mondo
Autore del libro: Anthony Pagden
Editore: Il Mulino
Anno pubblicazione: 19951. Il quadro coloniale del tardo 400
Le colonie fondate dagli stati nazionali nel tardo Quattrocento erano certamente un fatto nuovo, eppure non
così nuovo. Sebbene spinti apparentemente da un nuovo insaziabile bisogno di metalli preziosi, sebbene le
colonie fossero territori per la prima volta estremamente lontani dal centro di governo, le radici
dell'espansione coloniale sono molto antiche e risalgono a Roma. Roma infatti presta infatti agli ideologi di
Spagna, Francia e Inghilterra il linguaggio e i modelli politici di cui avevano bisogno, poiché l'impero
romano aveva da sempre avuto una posizione di preminenza assoluta nell'immaginario politico dell'Europa
Occidentale. Roma infatti era vista come il più vasto e potente organismo politico del mondo e una serie di
scrittori le aveva attribuito una speciale finalità, e talvolta a tale finalità non era estranea nemmeno la
volontà divina.
Iniziamo quindi il nostro discorso enucleando i tratti principali dell'Impero Romano nel modo in cui esso
venne interpretato dagli osservatori di età medievale e moderna, o più propriamente gli aspetti sui quali si
concentrò la discussione fra tutti coloro che si domandavano cosa fosse un impero, cosa avrebbe dovuto
essere, e se la sua esistenza fosse o meno giustificabile.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 2. Il significato del termine Impero
La parola IMPERO è di per sé elusiva e sia il suo senso sia i suoi contesti di utilizzo mutarono
costantemente fino al Settecento. Il latino imperium indicava la sfera dell'autorità esecutiva, propria dei
magistrati romani. L'autorità magistrativa aveva marcate connotazioni sacrali che perdureranno fino all'età
moderna inoltrata. Il termine imperium era utilizzato nei vari trattati umanistici tra XV e XVI secolo nel
senso piuttosto indeterminato che sarebbe poi stato assorbito dalla parola sovranità. Ad esempio Machiavelli
nel Principe dice che
Tutti gli stati, tutti e domini che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono stati e sono repubbliche
o principati.
Altro significato era quello di potere non subordinato in una comunità perfetta. Il famoso detto dei canonisti
francesi rex imperator in regno suo. Una frase che indica che i medesimi poteri che la coscienza dell'epoca
riconosceva all'imperatore sull'impero universale, dovevano essere riconosciuti a ciascun re libero
nell'ambito del proprio regno (cfr. codice di leggi di Alfonso X il Savio).
Alla fine del Cinquecento impero diventa sinonimo di Stato, nei primi significati assunti da questo termine.
In questo senso statale o imperiale voleva significare
Sovrano e non subordinato o dipendente da altri poteri mondani.
Quadro di relazioni politiche che teneva insieme gruppi di persone in un sistema ampliato in cui i criteri di
associazione non erano stabiliti in modo permanente. Un esempio ne è l'Inghilterra con le sue colonie.
Sono significati magari lontani dal nostro modo moderno di vedere ma già nel I secolo d.C. possiamo
trovare nel termine qualcosa che ci risulti più familiare.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 3. Il termine Imperium
Sallustio. Parla di imperium Romanum nel senso di area geografica su cui il popolo romano esercitava la
propria autorità.
Tacito. Parla dell'immenso corpo dell'Impero per descrivere l'unità politico – culturale risultante da una
pluralità di Stati posti a grande distanza gli uni dagli altri. Burke riferendosi a Spagna e Inghilterra definì
quella medesima unità come impero esteso ed articolato.
Il potere degli Stati dunque sembrava, in questo senso, che derivasse dal numero di nazioni di cui si
componevano. Sir William Temple, nel Saggio sull'originale natura del governo, disse che “una nazione che
si estende su ampie regioni e comprende numerosi popoli arriva ad un certo punto ad acquisire l'antico nome
di regno o quello moderno di impero. In questo senso parlava ad esempio Carlo il Calvo nell'869, Duca di
Borgogna, quando invase la Lorena e si diede il titolo di Imperatore ed Augusto. Anche la dichiarazione di
Alfonso VI di Castiglia nel 1077, che si proclama Imperatore di tutta la Spagna, presuppone lo stesso
ragionamento.
Dunque tutti questi significati di Imperium sopravvivono e talvolta convivono fino all'ottocento. Poi con
l'ascesa degli imperi ottocenteschi e il fallimento della colonizzazione europea in America, l'uso del termine
si specializzò per indicare, come avviene ancora oggi, l'impero esteso di Burke.
Imperium aveva anche altri significati dotati di sfumature più ricche. La valenza di base è ordine o comando.
All'inizio dunque l'imperium doveva essere nelle mani di una sola persona, una sola tra molti, che possedeva
il diritto di esercitare l'imperium. Sotto la Repubblica romana l'imperium era esercitato dal Senato, che
operava per conto del popolo romano. Sotto il Principato l'imperium venne riservato ad un gruppo di
comandanti militari il cui comando non derivava dalla sfera civile ma da quella militare (e ciò, dice Gibbon,
fu la causa del decadimento dell'impero). Augusto pur rispettando l'imperium populi Romani voleva
comunque che gli onori spettanti al popolo andassero a lui. Sempre nel I secolo i giuristi Gaio e Ulpiano
dissero che l'imperium del principe imperatore assorbiva l'imperium del popolo romano.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 4. L'evoluzione del termine impero
Detto tutto ciò è chiaro come tutti gli imperi ebbero origine da una conquista e che l'associazione tra i
concetti di impero come dominio territoriale ampio e come controllo militare è durata tanto quanto
l'imperialismo stesso. Facciamo anche presente che gli imperatori romani non erano solo generali: ad un
certo punto diventarono anche giudici. Se nel Digesto l'ab legibus solutus indicava certamente un principe
non vincolato dalle leggi, ma solo da certe, finì per assumere il significato di principe come suprema autorità
legislativa, e in tale senso fu intesa dagli interpreti medievali dei testi di diritto romano. Ad un certo punto
l'imperium giunse a conferire il supremo potere militare e legislativo sopra territori sparsi e diversi. Augusto
divenne quindi sinonimo di assolutismo in senso più ampio. L'imperator era diventato un uomo che
esercitava un potere che era precluso a chi fosse solo rex. Con Augusto infine l'imperator assume una
valenza teocratica che sarà poi intensificata dagli imperatori cristiani. La trasformazione dello status
imperiale tra Augusto e Costantino I il Grande implicava, in effetti, il passaggio del modello da princeps
romano a monarca teocratico ellenistico. Tra Augusto e Costantino quindi l'imperator sembra rispondere a
queste caratteristiche:
potere totale in senso legislativo
potere totale in senso militare
potere teocratico
dominio territoriale su ampi e diversi territori.
Questa nomenclatura del potere fu materia di profondo interesse esegetico, e tale rimase fino al 1700.
Rainald von Dassel, cancelliere dell'impero degli Hohenstaufen, nel definire i re europei come reguli, negò
le caratteristiche sopra elencate. Petrarca parla con disprezzo del re Carlo Magno.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 5. Il rapporto impero – monarchia
Parliamo adesso del rapporto tra il termine monarchia e il termine impero. Il termine monarchia finì per
essere impiegato come sinonimo di impero. Entrambi indicavano un dominio costituito da diversi Stati in
cui la volontà legislativa di un singolo governante non era messa in discussione: in un impero non solo il
principe era svincolato dalle leggi ma le leggi erano espressione della volontà del principe. In questo
contesto non è senza significato che Dante scegliesse di intitolare la propria difesa della funzione imperiale
nell'Europa del 1200 De Monarchia e non De Imperio. La monarchia temporale, comunemente detta impero,
è il solo principato che stia al di sopra di tutti gli altri principati che hanno a che fare con le varie questioni
dell'ordine temporale. Imperium invece poteva invece anche essere esercitato dal papa nelle questioni di
ordine spirituale, quindi non era adatto. L'identificazione tra monarchia e impero, quest'ultimo inteso come
pluralità di territori sotto una singola autorità legislativa, giustifica il conflitto medievale e protomoderno tra
impero e repubblica. Una repubblica può anche essere un impero ma non può essere una monarchia (almeno
fino a Montesquieu). Atene e Roma erano stati degli imperi repubblicani, perchè sussisteva un'associazione
di stati o una confederazione. Il conflitto tra Impero e Repubblica si fonda su un assunto: tutti gli imperi si
basano sulla conquista, quindi nessuno di essi è in grado di compiere davvero la transizione da un'assemblea
allargata ad una vera confederazione di Stati. Alla fine tutti gli imperi sono destinati ad essere governati da
singoli individui che esercitano un potere supremo se non arbitrario. Dunque sono tutti destinati a mutarsi in
monarchie. Se Sparta e Venezia sono le uniche che sono riuscite a rimanere repubblicane è grazie alle loro
limitatissime conquiste. Per molto tempo si dibatterà sul perchè l'ampliamento dovesse portare senza
scampo a una qualche forma di assolutismo, quasi che ogni confederazione nell'estendere i loro confini
lavorava per la sua stessa fine perchè ogni grande impero fa capo ad una singola persona.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 6. La civitas come fonte dell'Impero
Connesso all'imperium non c'è solo l'ordinamento politico ma anche un modello sociale, incarnato dalla
civitas. La civitas è la fonte stessa dell'Impero perchè la città fornisce sia gli uomini per l'esercito sia la
fonte dell'autorità necessaria per mantenere le province una volta che sono state conquistate. La grandezza di
una città è misura della grandezza dei suoi governanti. Idee romane che sopravviveranno, a volte
riformulate, nel mondo moderno. Dai romani deriva anche il problema della legge. Per i pensatori romani la
civitas coincide con la comunità politica romana. Nell'Impero romano cittadino e persona coincidevano e
l'identità della civitas dipendeva dalla supremazia della legge. Anchise esorta il nuovo popolo romano a
ricordare che il suo compito sarà di reggere i popoli con l'imperium, dare regole alla pace, perdonare i vinti e
sconfiggere i ribelli. Giustiniano dice che la maestà imperiale dovrebbe armarsi di leggi e, insieme,
perseguire la gloria con le armi. La legge era la grande forgiatrice della vita romana. Essa creò non solo un
ordine politico e sociale ma diede anche un fine etico alla comunità. L'imperium diventa una formula
giuridica che fondendosi con l'ideale stoico di universalità umana crea la formula di una universale comunità
retta dalla stessa legge, la legge comune (la koinòs nòmos di Aristotele) che il principe dirigeva ed
esportava. La legge civile, cioè la legge della civitas, era stata creata dalla ragione umana sul fondamento
della comprensione della legge naturale, era quindi la legge umana. Coloro che vivevano rispettandola erano
dunque “umani”, chi non la rispettava no. Ma poiché in un certo senso creatori della legge erano stati i
romani, solo i romani in qualche modo erano umani. Gli esseri umani dunque erano coloro che vivevano
entro i confini dell'Impero Romano. Il pensiero sociale e politico dei romani, e quindi quello cristiano, era e
rimarrà legato alla semantica del diritto romano. Anche per Cicerone il mondo è diviso tra romani e
provinciali, che sono i barbari, incapaci di creare forme politiche o culturali indipendenti. La sua asserzione
secondo la quale gli uomini si possono dividere tra coloro la cui natura è il dominio e coloro che sono buoni
solo a servire è destinata a esercitare un profondo influsso. La più estrema espressione è alla base di quanto
dice lo stesso Cicerone: la teoria aristotelica della schiavitù per natura a cui Cicerone chiaramente allude
quando parla di provinciali. I provinciali, i barbari, mancavano delle qualità necessarie per prendere parte
alla civitas. Chi non prendeva parte al modo romano e greco di vivere era un emarginato e il suo rapporto
con coloro che vivevano nella comunità civile non poteva che essere quello di uno schiavo, che per Cicerone
sembra quasi una cosa obbligata.
La civitas per i Romani, tra l'altro, era una cosa assolutamente da esportare e i barbari potevano assumere la
civitas, tramite l'atto giuridico della manomissio. Era inevitabile la tensione fra un forte senso di
inclusività,derivato dalla speciale importanza assegnata dai Greci alla funzione dela comunità nella vita
umana, e la insistenza romana sul fatto che la comunità, per rispondere al fine per cui era stata progettata,
doveva in qualche modo comprendere tutti gli uomini in vita. Questa tensione persisterà in tutte le
concezioni dell'Impero che l'Europa avrebbe poi rielaborate prima di liquidarle intorno alla metà del
Novecento. La civitas doveva realizzare la persona e fin quando si era al di fuori di essa si era meno umani.
Se il mondo è fatto di umani, tutto ciò che non è fatto da umani non è mondo. Non è che i Romani non
conoscessero il resto del mondo ma questi altri mondi, come quelli cinese, non avevano una identità
specifica in quanto comunità o in quanto potenza politica, quindi inevitabilmente sarebbero stati assorbiti
prima o poi nell'imperium, il mondo per eccellenza. Su queste basi, almeno de iure, Augusto e i suoi
successori erano diventati dominatori del mondo e la lex Rhodia di Antonino Pio legiferò infine che
l'imperator era il dominus totius urbis.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 7. Il rapporto tra impero e cristianità
Dopo il trionfo della cristianità la concomitanza dei concetti di singolare e di esclusivo fu rafforzata
dall'insistenza cristiana sull'unicità sua della verità evangelica sia della Chiesa come fonte di autorità
interpretativa. Anche se l'autorità secolare e sacra erano state divise da Gelasio I nel V secolo, l'estensione
del cristianesimo rimase assai legata a quello che seguitava ad essere, anche se crollato, l'impero romano. La
cristianità era vista come spazialmente coestensiva all'imperium Romanum e l'orbis terrarum diventa l'orbis
christianum secondo Leone Magno. Dietro ciò c'era un sottinteso difficile da ricostruire con precisione: se la
civitas coincideva con la cristianità, essere civis significa essere cristiano. I pagani e i barbari, come per la
civitas, ora rischiavano di essere collocati ai margini della umanità per non professare il cristianesimo.
Alberto Magno diceva che erano loro a portare confusione nelle relazioni all'interno della società e
distruggevano i principi di giustizia che le reggono. Quindi come prima erano spinti ad entrare a far parte
dell'imperium, ora lo erano ad entrare nella congregatio fidelium, lanciando il pericoloso messaggio che
tutto ciò che non era cristiano, non era mondo, onde per cui era liberamente conquistabile.
Il monoteismo cristiano contribuì ad accrescere il senso di unicità dei cristiani. Liberi dal peso della nozione
di un dio creatore unico, i romani invece non avevano alcuna ragione di confondere osservazione di leggi e
osservazioni di credi. Per i nuovi cristiani invece la diversità culturale e religiosa tipica dell'impero pagano
non era che un sintomo della povertà spirituale che aveva sempre minato, secondo loro, il concetto romano
di virtus, militare e secolare nella sua sostanza.
Se è vero che i cristiani permisero una grande varietà di forme di governo, costumi locali e leggi, perchè la
varietas rerum era garantità dall'infinita creatività di Dio, nondimeno tutte le forme di associazione civile
dovevano essere rese intelligibili entro un solo sistema di credenze. Un Dio Unico contrastava con una
moltitudine di culture e, per esteso, ad una pluralità di Stati all'interno dell'impero. Se il corpo politico aveva
una sola testa, avrebbe potuto parimenti avere una sola voce e, cosa più importante, un solo insieme di
credenze. Se così era, l'impero doveva essere unico, universale e dal punto di vista cristiano, sacro.
Nel medioevo occidentale l'impero non fece uso del termine sacro fino a Federico I nel 1157 ma è chiaro
come nel rimodellamento immaginario della sua storia era stato una sacra continuità da Costantino e ancora
prima da Roma. Secondo Baldo degli Ubaldi, giurista del 1300, Cristo aveva offerto all'autorità imperiale un
forte sostegno (date a Cesare quel che è di Cesare). Il sostegno, nella fantasiosa ma potente immaginazione
politica del papato dell'VII secolo, era passato poi a Costantino che l'aveva passato al papato che l'aveva
passato alla linea di successione dei sovrani tedeschi. In realtà gli imperatori germanici erano a tal punto
prigionieri delle loro terre da non essere affatto dei sovrani ma dei dogi, primi cittadini di uno stato
aristocratico. Ma la storia contava poco e per tutti contava la genealogia storica della pretesa, da parte del
papa e dell'imperatore, di detenere l'imperium sulla totalità del mondo cristiano. Gli imperi iniziarono ad
essere considerati come gli strumenti che Dio aveva collocato su questa terra affinché gli uomini potessero
usarli per i propri fini. E i fini erano quelli già detti dell'estensione della civitas e della cristianitas nel resto
del mondo. Perchè se de facto c'erano vari imperatori e vari stati, de iure doveva essercene solo uno ed esso
doveva estendere la sua universalitas in tutto l'orbe, scontrandosi poi con la dura realtà di una universalitas
mai esistita in questi termini.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 8. La conversione degli imperatori pagani
Con gli imperatori cristiani l'antico sogno universalistico trasformò l'ambizione pagana di civilizzare il
mondo nell'obiettivo di convertire tutti gli abitanti al cristianesimo. Il corpo di leggi valide per tutti divenne
così un solo corpo di credenze, che ridefinite dai padri latini, e dipendenti dal concetto stoico di legge,
assicurarono classica dell'impero da parte cristiana era la mitologia sulla fondazione dell'impero romano. Se
l'imperium aveva ottenuto una legittimazione della propria illimitata potenza da una e una sola cultura, ciò si
doveva al fatto che sul piano morale quella cultura trovava un fondamento nella pietas di cui Enea, insigne
per devozione e capacità guerresche, era l'architetto. La pietas di Enea denota non sono la lealtà alla
famiglia ma anche l'osservanza delle sue norme religiose: riconoscere la singolarità e la verità di un credo
che nel caso del mondo romano esprimeva una perfetta fusione tra le dimensioni del divino e del politico.
Cicerone diceva che era per la scrupolosa osservanza della religione e di una singola verità che Roma
splendeva. Agostino affermò che erano state le virtù comprese sotto la definizione di pietas a fare sì che Dio
affidasse ai Romani il compito di unificare il mondo prima di Cristo. Il passaggio del concetto romano di
pietas all'impero medievale cristiano fu semplice. Nella trasmutazione finale di tutta l'umanità nei seguaci di
Cristo, l'impero avrebbe assicurato la dissoluzione di ogni differenza culturale, politica e confessionale. Gli
imperatori cristiani non avevano, perciò, solo il dovere di sostenere e proteggere il cristianesimo, ma anche
il connesso obbligo di estendere l'impero fino a comprendere i non cristiani, ai quali, a causa della loro
ignoranza era stato negato l'accesso alla congregatio fidelium.
Le implicazioni morali.
Spingere gli estranei ad entrare nel grande mondo cristiano poneva dei seri problemi etici. La conversione
era considerata come un processo essenzialmente cognitivo, un atto di istruzione che avrebbe condotto il
convertito a unirsi di propria volontà alla congregatio fidelium. La conversione forzata, per quanto praticata
spesso, era senza alcun senso e Bartolomé de Las Casas avrebbe messo in luce la cosa. Ad ogni modo la
stretta prossimità, nella mentalità cristiana, tra tipi di credo e comportamento sociale, portava a considerare
la conversione forzata coma legittima e necessaria per la conversione volontaria. Buona parte della
legislazione coloniale nell'America spagnola, e in parte in Canada, era diretta a questo fine.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 9. La seconda spada del cristianesimo : l'imperatore
L'impero cristiano era una istituzione secolare. Ma l'imperatore era ancora, non più in senso formale, la
seconda spada del cristianesimo. Già Dante diceva che l'imperatore era il difensore secolare ed indipendente
della fede, e che questo aveva fatto di lui il potenziale creatore di un'armonia politica universale. Ma la
relazione col papato era poco stabile e Dante insisteva sul fatto che l'autorità imperiale non dipendensse dal
papato.
Eppure, nonostante l'opposizione dantesca, almeno fino alla Guerra dei Trent'anni (1648) la Chiesa sarà
l'unico organo in grado di conferire all'impero la sacralità di cui aveva bisogno. Del resto solo l'impero
poteva dare alla Chiesa, anche se in maniera episodica, la protezione militare di cui aveva necessità.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 10. Il caso spagnolo : l'impero cattolico
Gli spagnoli, il cui sovrano al tempo delle grandi spedizioni oltreoceano, si faceva chiamare “Sacro Romano
Imperatore”, portarono avanti un programma di evangelizzazione da cui in qualche maniera non potevano
sottrarsi. Un impegno rafforzato dall'autorizzazione papale (Alessandro VI nel 1493) che con le cinque bolle
concedeva a Ferdinando e Isabella il diritto di occupare una regione che era definita in modo vago come “le
isole e le terre [...] che avete scoperto o siete in procinto di scoprire”. Naturalmente la bolla non era un
ordine legale che sanciva l'esclusivo dominio spagnolo sull'America, eppure garantiva un legame con
l'impero d'occidente che anche gli antipapisti difficilmente sentivano di voler rinunciare, una sorta di
seconda donazione di Costantino. E i rapporti con Costantino ricompaiono anche in due fasi della conquista
del Messico. Una è quella di Cortès che nel 1519 proclama che Carlo V avrebbe presto chiamato sé stesso
imperatore del Messico con la medesima gloria di quella della Germania su cui già regnava. La seconda è la
finta donazione di Montezuma che cedeva il suo impero a Carlo V, con una serie di termini così ricchi di
reminiscenze dell'oratoria biblica e di quella forense della Castiglia medievale da essere inattribuibile a
Montezuma. Erano entrambe utili a consolidare l'immagine dell'impero americano come continuazione
dell'impero a oriente. Se Filippo II pensò di prendere il titolo di Imperatore delle Indie per compensare
quello della perdita del titolo imperiale, non c'è da stupirsi. L'impero spagnolo dunque lavorò in stretto
contatto col papato già dal 1493 e durante le prime fasi della colonizzazione il legame era così stretto che fra
il 1516 e il 1518 l'isola di Hispaniola fu amministrata in modo diretto dai geronimiani, ordine religioso
fondato dallo stesso Alfonso XI. Vi furono tentativi di fondare una Nuova Chiesa indipendente nel Nuovo
Mondo sia da parte dei conquistadores sia da parte di domenicani e francescani ma le istituzioni religiose
rimasero sempre sotto lo stretto controllo regio per tutta la durata della colonizzazione e questo stretto
legame tra Chiesa e Stato contribuì a sostenere la presenza ideologica della corona quando le nuove colonie
intrapresero il lento sviluppo di proprie identità culturali e aspirazioni politiche.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna 11. L'impero francese del 500
Ma la Spagna non fu l'unica potenza che tentò di costruire un impero sotto forma di missione.
In Francia i re, pur non avendo né bolle papali né attaccamenti particolari al titolo imperiale, a partire da
Francesco I cambiarono rotta. Primo esempio di conquista sotto forma di missione religiosa la troviamo
nella delegazione in Nord America di Jean de La Rocque che espresse il desiderio del re che egli si stabilisse
in Nord America per “impartire la santa fede cattolica e la dottrina, per fissare e imporre pace e legge
tramite ufficiali di giustizia, in modo che essi potessero vivere secondo ragione e civiltà”. Enrico IV,
cinquant'anni dopo, ribadì che le sue missioni coloniali nell'Oceano Indiano e Atlantico erano una pure
continuazione degli obiettivi dei suoi predecessori. Non c'era bolla papale che gli autorizzasse ma
naturalmente l'alibi del dovere sacrosanto di evangelizzare un popolo con o senza bolle papali era
abbastanza efficace. Eppure le dichiarazioni di Francesco I sulla sua totale mancanza di intenzione di
invadere territori di Carlo V o del re del Portogallo, in qualche maniera lascia intendere un che di imbarazzo
intorno alla questione. I francesi non discutevano solo sull'opportunità di non inimicarsi le altre potenze
atlantiche, anzi non era nemmeno il loro obiettivo primario, che era invece quello di mettere a posto la
coscienza del re dinanzi a Dio. Altro obiettivo era quello di fissare una identità moralmente accettabile e
chiaramente distinguibile per le nuove colonie. Naturalmente alla corona conveniva dare l'immagine di un
impero cristiano che annetteva filantropicamente nuove terre in nome di un proselitismo necessario,
piuttosto che quella di una monarchia temporale alla ricerca di nuove risorse. Non è un caso che nel 1627
Luigi XIII giustifichi la nascita della prima compagnia commerciale in Canada (la Compagnie des Cents
Associés pour le Commerce du Canada) con l'intenzione di portare a quei popoli civiltà e fede, tramite
l'inserimento di compatrioti francesi e cattolici che avrebbero dato il buon esempio, infilando alla fine, quasi
come riflessione accessoria pensata sul momento, che i sudditi da quelle terre avrebbero potuto ricavare
qualche piccolo vantaggio commerciale. Luigi XIV continua sulla stessa scia sostenendo che due erano gli
obiettivi principali a proposito degli indigeni: la conversione alla fede cristiana e il lavoro utile per la
crescita dei commerci; due termini visti assolutamente non in frizione perchè le risorse naturali trovate erano
il premio di Dio per gli Europei che avevano diffuso la fede tra gli indigeni e gli stessi scambi commerciali
erano un modo per evangelizzare.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia moderna