BANLIEUE FRANCESE
Periferie, povertà urbana, esclusione: il dibattito in Francia e Germania di Agostino Petrillo
Studio dello sviluppo e delle trasformazioni sociali e spaziali della Francia e della Germania infatti si vogliono mettere a confronto periferie di paesi diversi in quanto si assiste all’emergere di problematiche comuni seppur permangono delle differenze sostanziali legate più a che altro alle modalità di organizzazione dei poteri politici e le tipologie di azione dei poteri locali.
I processi più generali che influenzano lo sviluppo delle periferie sono la deindustrializzazione e la terziarizzazione, i flussi migratori che contribuiscono a ridisegnare le periferie
La storia delle periferie francesi è la storia delle periferie europee per eccellenza in quanto costituiscono in qualche modo la genesi delle periferie moderne finendo per esserne considerate il modello.
Ci sono due etimologie della parola banlieue che contengono l’origine del suo significato: Ban-lieue (ban=bando, lieue=leghe), inteso come luogo dove si è bandi ovvero fuori dalla città ma si riferisce anche al diritto di bando che è un diritto medievale dei feudatari che permetteva loro di imporre sui propri terreni delle tasse o dei dazi, era un diritto anche della città di Parigi ad esercitare controlli e imporre dazi per un certo numero di leghe all’esterno delle mura della città.
La periferia moderna di Parigi è quella che si sviluppa in seguito all’intervento del barone Haussmann, il quale distrugge la vecchia Parigi per far posto alla Parigi moderna, si tratta di un intervento che può essere considerato un precursore del processo di gentrification in quanto i vecchi abitanti del centro storico sono stati allontanati per fare posto alle nuove élite.
Parigi risulta così essere una delle prime capitali europee ad essere divisa tra un centro monumentale borghese e periferia povera che si caratterizza per la separatezza spaziale e amministrativa e per la sua dipendenza dalla città, quindi il modello centro borghese e periferia proletaria è destinato ad imporsi anche in altre città europee.
La periferia parigina diventa il crogiuolo di movimenti politici, il simbolo della banlieue rossa è rappresentato dalla città di Saint Denis e dal fatto che si parli di una Parigi accerchiata dal proletario rivoluzionario mosso dalla voglia di emancipazione sociale, la periferia diventa una cintura politicizzata con associazionismo attorno alla città, un personaggio di questo periodo è Jacques Prevert, poeta che organizza un teatro militante con spettacoli di impronta politica.
Questa immagine della banlieue verrà cancellata in seguito alla Seconda guerra mondiale con la decolonizzazione avente come conseguenza l’accelerazione dei processi migratori.
Vengono istituite le ZUP (zone à urbaniser par priorité=aree con priorità di urbanizzazione) e nascono i Grands Ensembles, ovvero edifici di grandi edifici che si sviluppavano in altezza per quattro-cinque piani destinati ad ospitare un gran numero di abitanti (soprattutto operai), costruiti sui dettami del Movimento Moderno quindi si trattava di torri ed edifici a stecca che hanno contribuito a definire un nuovo tipo di paesaggio.
Gli anni dell’edificazione sono segnati da contrasti e polemiche in cui spesso è chiamato ad intervenire il corpo speciale di polizia che procede con un processo di slum clearance, si può quindi affermare che la storia della nuova banlieue rossa nasce sotto il segno della costrizione e della violenza.
Nei nuovi alloggi non vivevano solo operai ma anche componenti dei ceti medi e questo viene letto come una sorta di progetto interclassista che potrebbe dare vita ad una contaminazione positiva.
In questo periodo la maggior parte dei migranti dei lavoratori meno qualificati sono esclusi dall’edilizia pubblica e vivono nei vecchi edifici abbandonati in prossimità del centro.
Negli anni Settanta nasce una mitologia dei Grands ensembles luoghi attorno ai quali si diffonde una percezione negativa e infatti i ceti medi iniziano ad abbandonare i Grands Ensembles a causa della cattività pubblicità che inizia a farsi di questi luoghi e si diffonde l’idea che si tratti di vivere in una maniera alienante tanto che si inizia a parlare di una sorta di malattia mentale che colpisce le casalinghe che vivono totalmente isolate in questi blocchi (la malattia si chiama Sarcellite e prende il nome da un quartiere che sorge a non molti chilometri dalla città di Parigi, Sarselles); in questi anni inoltre la componente migrante diventa sempre più importante in quanto in un primo momento erano arrivati gli uomini e una volta sistemati veniva ricongiunto il nucleo famigliare, si assiste così ad un processo di etnicizzazione delle banlieue.
Si assiste al profilarsi di una problematica che la costruzione degli HML comporta ovvero prossimità spaziale e distanza sociale, si tratta di un articolo di Chamboredon che mette in luce un aspetto che non era mai stato preso in considerazione dai pianificatori ovvero il fatto che nei Grands ensembles umanità dissimili vengono costretti a coabitare questo ovviamente finisce con il generare tensioni.
I fenomeni di disuguaglianza sociale marcati da un forte carattere urbano rendono necessaria la lettura della questione delle banlieue in un contesto globale e non più nazionale tenendo conto delle trasformazioni della distribuzione del lavoro, delle comunicazioni e dei trasporti.
Con l’abbandono da parte dei ceti medi, che decidono di trasferirsi in residenze suburbane, svanisce il sogno dell’abitare nuovo legato ai grands ensembles i quali assumono invece il carattere di zone in cui regna la segretazione e dove vengono confinate le popolazioni marginali infatti oltre al processo di etnicizzazione e di abbandono da parte dei ceti medi, a causa della nuova legge sui mutui del 1978 emanata dal governo francese che consente di contrarre un mutuo a tassi bassissimi per acquistare una casa nel periurbano parigino, il governo aggrava la situazione nel momento in cui assegna gli spazi vuoti a persone con difficoltà, disadattati, disoccupati e malati mentali creando un luogo con un’elevata concentrazione di disagio.
Nel 1981 cominciano le prime rivolte da parte dei giovani figli di migranti ai quali viene promesso dal governo francese la possibilità di ascesa sociale e di riscatto quando invece non fu così (i giovani prendono il diploma nelle scuole delle periferie e questo non è riconosciuto come un diploma preso in un liceo nel centro di Parigi e si rendono conto che per loro non c’è alcun tipo di lavoro o di opportunità che gli consenta di avere un riscatto sociale) a tal proposito comincia una stagione di rivolte e manifestazioni che durerà per circa trent’anni e si viene a creare un clima negativo di sospetto e di controllo da parte della polizia che non fa altro che aumentare la criminalità nella periferia.
In questi anni emerge dunque una teoria sociologica americana, oggi molto criticata, che sostiene che il fatto di vivere in un quartiere che gode di cattiva fama influenza negativamente il comportamento di chi ci vive e si viene a creare una sorte di nuova sottoclasse urbana semi-criminale.
In seguito a questi eventi il governo Mauroy avvia un insieme di politiche note con il nome di Politique de la ville volte a salvaguardare la mixitè e ad intervenire sulle zone degradate.
Il problema di queste zone viene considerato sotto il profilo delle nuove povertà e dell’integrazione, si ragiona in termini di sacche di povertà dove gli abitanti devono far fronte ad una serie di difficoltà, a contribuire al degrado delle banlieue contribuisce la struttura monofunzionale di questi quartieri. La stagione in cui si assiste ad una coscientizzazione politica da parte degli abitanti della periferia dura poco si torna a un clima di violenza che sfocia nella rivolta del 1991 ed è un evento che crea una sorta di frattura nel senso che la problematica dell’esclusione non riguarda più soltanto i margini della società ma va a toccare il cuore della società infatti l’esclusione riguarda l’assetto sociale nel suo nucleo e il discorso sull’esclusione va a colpire il cuore del funzionamento del welfare.
Le politiche del decennio precedente si sono dimostrare impotenti perché non hanno fatto altro che accentuare le situazioni di separazione infatti nei quartieri dell’esilio si concentra un’umanità priva di prospettive e si diffonde la consapevolezza che la condizione in cui vivono sia permamente.
Un’ulteriore aggravante di questa situazione, secondo Alain Touraine, è il tramonto della società industriale nella quale il movimento operaio aveva integrato in s’è i poveri e gli esclusi mentre ora i poveri e gli esclusi non possono costituire più un attore collettivo dotato di una rilevanza sociale in quanto il nocciolo della questione era fuoriuscito dalla fabbrica e si era diffuso nell’urbano.
Vengono sottolineati fallimenti delle amministrazioni, le cui politiche si sono mostrate inefficaci, e la crisi dello stato assistenziale, sono infatti le stesse istituzioni a contribuire a creare arretratezza a causa della loro arretratezza per cui, secondo Donzelot e Estèbe soltanto un rinnovamento dello stato e delle modalità di intervento attraverso il farsi animatore di iniziative tese a ricostruire un legame sociale.
La posizione di Robert Castell invece ritiene che con la fine della società del lavoro e quindi con il declino della condizione di salariato, vengono erosi i diritti di sicurezza sociali e gli obblighi dello stato welfariano, si assiste ad un processo di de-sicurizzazione che rende incerta la condizione del singolo individuo.
Pierre Bourdieu elabora negli anni Novanta una concezione di spazio che ha influenzato la questione delle periferie e dell’esclusione.
La politica urbana dello stato francese viene svelata nella sua impotenza e viene richiamata l’importanza della distinzione dei fattori che fanno si che uno spazio sia percepito con determinate caratteristiche, egli parla di effetti di luogo riferendosi al fatto che vivere in un luogo piuttosto che in un altro può influire sulla vita di una persona basti pensare alla stigmatizzazione delle banlieue che ha conseguenze dirette sulla vita degli abitanti e sulla percezione che hanno di loro stessi.
Le modalità di uso della città diventano un segno della posizione sociale, l’Habitus fa l’Habitat (l’abitante fa il luogo) e viceversa nel senso che la collocazione spaziale nella città influisce sulla posizione sociale e ha effetti sul destino di chi vive in determinate zone.
Esiste una profonda connessione tra spazio sociale e spazio psichico che si va a contrapporre all’idea delle amministrazioni secondo cui il rinnovo degli edifici fosse sufficiente ad eliminare le tensioni sociali esistenti nella periferia.
In seguito all’americanizzazione dell’Europa si inizia a parlare di ghetto riferendosi alle periferie francesi ma in realtà il ghetto non è altro che la metafora di una condizione dei migranti che vivono in uno spazio enorme gerarchizzato.
In Francia esistono varie tipologie di ghetti che hanno in comune la mancanza di autonomia, il clima di rassegnazione e di dipendenza dalla città.
Per cercare di risolvere la concentrazione di malessere viene emanate nel 2000 la loi solidarité et renouvellement urbain, siccome alcuni comuni hanno una concentrazione di migranti superiori, i comuni con una concentrazione minore e quindi più ricchi comprano quote ai comuni più poveri in modo da consentire loro la realizzazione di opere pubbliche ma questo non ha fatto nulla affinchè altri comuni accogliessero i migranti per cui la legge non ha avuto grandi effetti.
Ad aggravare la situazione degli alloggi popolari ha contribuito la legge del Droit Opposable (legge del diritto opponibile), che prevedeva che qualunque francese che fosse in difficoltà per la casa può fare ricorso affinché gli venga assegnato un alloggio pubblico ma si tratta di replicare il meccanismo degli anni Sessanta che tendeva a concentrare negli alloggi popolari persone con diversi tipi di difficoltà, la concentrazione di difficoltà e disagio non fa altro che far esplodere problemi.
Jacques Donzelot propone, nella lettura di città separata, uno schema triadico al posto di quello duale egli ritiene che sia in corso una dislocazione dell’urbano in tre livelli a ognuno dei quali corriponde una diversa maniera di vivere (relegation, periurbanisation, gentrification).
La tripartizione dello spazio viene definita attraverso l’idea di una città a tre velocità in cui si ha una prima zona che è in via di gentrificazione in cui abitano le elites, la seconda velocità comprende le zone periurbane decentrate abitate dai ceti medi in cui gli scambi e le relazioni avvengono lungo l’asse periferia-periferia e infine la terza velocità è quella in cui regna l’immobilità ed è abitata dai migranti e si tratta di quelle zone che tendono a diventare luoghi di relegazione.
Emerge un quadro di città profondamente divise dal punto di vista delle opportunità e degli stili di vita in cui non si intravede la fuoriuscita dal ghetto nel senso di mobilità geografica e sociale.
L’obiettivo è quello di demolire i fondamenti della politique de la ville che vede nell’abbandono della questione dei luoghi dell’esclusione la chiave di una possibile emancipazione di chi ci vive.
Il problema è che la città non fa più società e quindi una possibile soluzione potrebbe essere quella di rimettere in moto la società ovvero puntare alla mobilitè e non alla mixitè, la quale si è dimostrata essere un progetto fallimentare in quanto non ci si può illudere di modificare la situazione esistente facendo ricorso soltanto ad interventi che vadano ad incidere su luoghi specifici mentre sarebbe più opportuno mobilitare una realtà urbana sempre più immobile.
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Dettagli appunto:
- Autore: Francesca Zoia
- Università: Politecnico di Milano
- Facoltà: Architettura
- Corso: Progettazione Architettonica
- Esame: Sociologia della città
- Docente: Agostino Petrillo
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