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Fondamento della doctrine of frustration


In passato, allorché i giudici inglesi hanno iniziato a strutturare l'istituto, l'itinerario argomentativo prevalentemente utilizzato era quello di presumere un implied term all'interno del contratto, per cui se la prestazione fosse divenuta impossibile il contratto si sarebbe risolto.
Oggi i giuristi inglesi argomentano il fondamento teorico della frustration con diversi orientamenti. Uno ritiene che la frustration si fonderebbe (orientamento tradizionalista) su un patto implicito posto dalle parti, in base al quale il rapporto sussiste solo e fino a quando le condizioni in base alle quali il contract è stato concluso permangono.
Un altro orientamento ritiene che il fondamento attuale della doctrine of frustration risieda nel fatto che essa configura una soluzione ragionevole, poiché sarebbe ingiusto, qualora una parte sia così sfortunata da incappare nell'impossibilità sopravvenuta, applicare la regola “pacta sunt servanda”. Equità vuole che nel momento in cui la prestazione diventa impossibile il contratto si risolva.
Tuttavia, gli stessi elementi di giustizia imporrebbero di farlo saltare nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta, cosa che non avviene.
Il terzo orientamento ricollega la frustration ad una politica radicale degli obblighi assunti dalle parti: giustifica la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, ed è l'orientamento prevalente. La sua base è l'oggettiva alterazione della funzionalità del contract.

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