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Le Fonti del Diritto Tributario - Articolo 53.1 della Costituzione


Innanzitutto, le regole tributarie sono presenti nella Costituzione; alcune sono norme molto particolari e non particolarmente significative: ad esempio, ex art. 75.2 della Costituzione “non è ammesso il referendum abrogativo per le leggi tributarie”, perché, altrimenti, questo referendum avrebbe il 100% dei consensi.
Altra norma costituzionale non significativa è l’art. 81.3 della Costituzione, secondo cui “con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi”, poiché, per ragioni di ordine, dato che la legge di bilancio è una legge che organizza la spesa, non si vogliono mescolare le spese con i tributi, che sono evidentemente delle entrate.

L'ARTICOLO 53.1 DELLA COSTITUZIONE CIRCA IL PRINCIPIO DELLA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA

- Fondamentale norma costituzionale è l’art. 53.1 della Costituzione, secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (=Tutti i cittadini devono pagare, al fine di finanziare la spesa pubblica, in relazione a quanto possono), quale modalità legislativa di elaborazione dei tributi.
In particolare, l’espressione tutti significa, a buon senso, tutti coloro che hanno un rapporto con i servizi pubblici italiani, indipendentemente dal fatto che essi siano o meno cittadini italiani: si tratta, pertanto, o di residenti in Italia, o di imprenditori che hanno un’attività in Italia, o di persone fisiche che hanno ricchezze investite in Italia.
Quale primo significato banale, l’art. 53.1 della Costituzione afferma che, se l’obbligato non ha alcuna forma di ricchezza, non può contribuire; quale significato fondamentale e pacifico, l’art. 53.1 della Costituzione identifica il parametro fondamentale/il centro di gravità di tutto il diritto tributario, che è la capacità contributiva: non c’è tributo, se non c’è capacità contributiva (Per questo motivo, un tributo senza capacità contributiva è incostituzionale: ad esempio, anni fa esisteva un tributo sui celibi - oltre all’ulteriore incostituzionale tributo su coloro che portavano gli occhiali -, anche se il non essere sposati non è una forma/una manifestazione di richezza patrimoniale e, di conseguenza, era una previsione di legge incostituzionale) e, di conseguenza, i tributi devono essere correlati alla capacità di contribuire (Ciò significa che più c’è capacità di contribuire, più deve esserci tributo e, allo stesso tempo, a parità di capacità contributiva ci deve essere uguale tributo, previa lettura coordinata di art. 3 della Costituzione con art. 53.1 della Costituzione).
Pertanto, è pacifico che, da quando è stato emanato l’art. 53.1 della Costituzione, il tributo non si giustifica più, quale mero arbitrio, per il fatto che lo Stato è sovrano/non basta che ci sia il pubblico potere per essere soggetti ad un tributo, perché il Parlamento, nell’emanare le leggi tributarie, è limitato dal fatto che può imporre tributi solo se c’è capacità contributiva! Quest’affermazione non è del tutto banale, poiché (anche se l’Italia è solitamente considerata come ritardataria rispetto all’adeguamento ai parametri europei) la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sostiene che i tributi si giustificano sulla base della sovranità, motivo per cui l’Europa, a tal proposito, è meno evoluta rispetto all’Italia; in particolare, ancora nel 2001, questa Corte ha affermato che i principi del giusto processo non si applicano al processo tributario, perché il legislatore tributario, in quanto sovrano, ha il libero arbitrio in tema di imposizione di tributi!
Anche se a livello pratico questo significato è pacifico, sul piano ideologico è discutibile e diversificabile, poiché l’art. 53.1 della Costituzione è politicamente neutro: mentre il liberale intende l’art. 53.1 della Costituzione quale norma di garanzia/di difesa nei confronti dello Stato (che, infatti, non può prelevare al privato, al di là dei limiti della capacità contributiva), il socialista mette l’accento sulla solidarietà, intendendo l’art. 53.1 della Costituzione come estrinsecazione di un obbligo del singolo privato nei confronti della collettività cui si appartiene.

COSA SI INTENDE PER CAPACITÀ CONTRIBUTIVA?
In realtà, a prima vista, l’art. 53.1 della Costituzione si limita ad affermare che “tutti devono contribuire se possono contribuire”, ma non chiarisce espressamente quando sussiste questa capacità contribuitiva; per questo motivo, negli anni 50, questa norma era a tal punto svalutata da essere ritenuta dai giuristi quale norma vuota.
Pertanto, quale riempimeto di significato dell’art. 53.1 della Costiutuzione, la Corte Costituzionale ha affermato che si tratta di una norma volutamente generica, che significa che “ai tributi deve corrispondere ricchezza”: la definizione espressa di capacità contributiva, contenuta nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, è CAPACITÀ CONTRIBUTIVA = QUALUNQUE FORMA DI RICCHEZZA (= patrimonio - ho tot ville -, reddito - ho tot stipendio -, consumo - ho tot spese -), PURCHÈ ECONOMICAMENTE VALUTABILE, CHE SIA EFFETTIVA (Ovviamente, la ricchezza deve sussistere nella realtà dei fatti) ED ATTUALE (Logicamente, la ricchezza deve sussistere nel momento in cui il tributo è prelevato: il tributo non può essere riscosso/l’obbligato non può concorrere alle spese pubbliche sulla base di una ricchezza da lui detenuta in passato).
Di conseguenza, se c’è ricchezza effettiva ed attuale, ci deve essere tributo, tenendo ovviamente presente che il tributo non può essere rappresentato da una curva asintotica: tende verso il 100%, ma non lo raggiunge mai, perché, altrimenti, si incorrerebbe in espropriazione di ricchezza; pertanto, a parità di ricchezza vi deve essere parità di tributo, mentre, se cresce e/o decresce la ricchezza, cresce e/o decresce il tributo.
ESEMPIO: I beni di lusso (quale è un motoscafo) e/o i redditi molto ingenti sono maggiormente tassati previa aliquote maggiorate - IVA, anziché X%, Y% -, quale imposizione tributaria, più che proporzionalmente alta sulle forme di ricchezza più ingenti, giustificabile ex art. 53.1 della Costituzione, nell’ottica del principio di progressività.
Tuttavia, queste affermazioni pacifiche implicano che, se c’è ricchezza, automaticamente deve esserci tributo? A livello costituzionale sì, ma non basta l’art. 53.1 della Costituzione ad obbligare il detentore della ricchezza: l’art. 53.1 della Costituzione è un mero comando rivolto, in prima battuta, al legislatore tributario, in base al quale egli può e deve tassare esclusivamente la ricchezza. Pertanto, non può capitare che l’ufficio tributario può discrezionalmente riscuotere i tributi circa forme di ricchezza non previste dalla legge tributaria!

L’ATTUALITÀ DELLA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA
- Dall’attualità della capacità contributiva sorge il problema della retroattività della norme tributarie sostanziali (=Disposizioni di legge che stabiliscono quando, perchè e quanto il detentore di ricchezza è tenuto a contribuire alla spesa pubblica - ESEMPIO: Tasso oggi i tuoi redditi di 10 anni fa) una norma tributaria sostanziale retroattiva sarebbe una norma che pretenda di tassare oggi una ricchezza del passato: l’attualità della ricchezza tassabile nega questa possibilità!
Tuttavia, poiché le norme tributarie retroattive sono abbastanza frequenti, quando la Corte Costituzionale si è trovata di fronte a questioni di illegittimità costituzionale in proposito, “arrimpicandosi sugli specchi”, ha chiarito che l’attualità della capacità contributiva implica soltanto una presunzione di conservazione della ricchezza detenuta in passato.
Pertanto, ha stabilito che le leggi che tassano ora una ricchezza del passato sono costituzionali, se si può ragionevolmente presumere che, anche se il legislatore tributario si riferisce ad un fatto del passato, l’identica ricchezza è rimasta ancora adesso: formalmente la legge può guardare al passato, ma solo se la risalenza temporale della ricchezza tassabile è ragionevolmente breve (È evidente che non sono tassabili le successioni avvenute 100 anni fa!) e, allo stesso tempo, solo se si può ragionevolmente presumere che la ricchezza si sia conservata ancora oggi.
Problema diverso, che accomuna il dirtto tributario ad altre discipline giuridiche, è la retroattività delle norme tributarie che riguardano il procedimento di accertamento e/o il processo: è chiaro che, in questo caso, non è in gioco il significato dell’attualità della capacità contributiva ex art. 53.1 della Costituzione, bensì è in gioco l’eventuale lesione del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione.
ESEMPIO: Sulla base di norme vigenti al momento della presentazione del ricorso, il detentore di ricchezza ha 60 giorni per fare ricorso alla Commissione tributaria; qualora egli abbia ricorso il 59o giorno, se un anno dopo l’inizio del processo entra in vigore una norma per cui il termine di ricorso è diminuito a 30 giorni, quale termine da applicarsi retroattivamente anche ai ricorsi già presentati; qui evidentemente non è in gioco l’art. 53 Cost., ma è in gioco il diritto di difesa, è evidente la lesione del diritto di difesa e, perciò, l’incostituzionalità di detta norma.

L’EFFETTIVITÀ DELLA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA 
- Anche se a prima vista il concetto di effetività della capacità contributiva sembra ovvio (poiché o la ricchezza c’è o la ricchezza non c’è), esso merita un doveroso approfondimento circa tre diversi punti di vista.
In primo luogo, anche se l’ideale sarebbe misurare esattamente - al centesimo di € - la quantità di ricchezza a capo di ciscun contribuente, quest’operazione è molto difficile, dato che neppure l’obbligato stesso è consapevole al 100% della sua effettiva ricchezza! Nonostante sembri piuttosto scandaloso, oltre un certo limite materiale, lo Stato non può controllare l’effettività della ricchezza imponibile, motivo per cui un ordinamento tributario si deve accontentare di una misurazione ragionevolmente corretta ed esatta, previa approssimazione accettabile, della capacità contributiva: mentre vi sono categorie professionali per cui questo procedimento di controllo tributario è più agevole, altre categorie professionali sono più difficili da controllare.
ESEMPIO 1: Il dipendente, la cui unica fonte di reddito è lo stipendio ricevuto dalla grande industria FIAT, presso cui è impiegato, è facile da controllare, perché, essendoci un unico datore di lavoro e migliaia di dipendenti, per misurare al centesimo di €, basta domandare alla FIAT stessa quanto paga esattamente i propri impiegati. SARÀ QUASI IMPOSSIBILE PER LUI “SCAPPARE” DAL FISCO!
ESEMPIO 2: Il porcaro che vende panini con il furgoncino ha l’obbligo di emettere tutti gli scontrini fiscali, ma di fatto non lo fa, motivo per cui è più difficile sapere quanto guadagna/il suo reddito effettivo. SARÀ MOLTO FACILE PER LUI “SCAPPARE” DAL FISCO!

REDDITO NORMALE E CATASTO - In secondo luogo, è molto discussa la costituzionalità o meno del sistema catastale (=Sistema di determinazione a priori delle imposte sui beni immobili, previa criteri a d hoc, che rendono superfluo che il proprietario dichiari dettagliatamente quanto egli abbia effettivamente guadagnato dal proprio bene), argomentando che la sua incostituzionalità consterebbe nell’assenza di effettività della capacità contributiva, in quanto esso, anche se costantemente aggiornato, si limiterebbe a misurare mediamente, ma non effettivamente, i redditi immobiliari (=quanto un immobile produce).
ESEMPIO: Il catasto si limita ad affermare che un terreno destinato a produrre mele, se sfruttato ordinariamente, produce mediamente tot € all’anno; i mass media erroneamente affermano che questo sistema di imposizione delle tasse è incostituzionale, poiché non va a misurare quanto effettivamente guadagna l’agricoltore, ma si limita ad indicare il guadagno medio auspicabile dall’immobile!
Secondo il prof.re Marcheselli, questo è un errore concettuale: è vero che la ricchezza imponibile deve essere effettiva, ma ex art. 53.1 della Costituzione l’effettività della capacità contributiva non è sinonimo di effettività dell’incasso di una somma di denaro, ma è sinonimo di effettività di avere a disposizione una certa ricchezza: l’art. 53.1 della Costituzione non afferma che la ricchezza sia quanto il proprietario guadagna effettivamente dal proprio bene!
ESEMPIO: Se il contribuente guadagna 100 da un bene, ha una ricchezza di 100, ma è altrettanto vero che, se il contribuente ha a disposizione un bene che potrebbe produrre 100, questa è comunque una forma di ricchezza, perché, se egli ottiene di meno, è colpa sua! Il catasto, perciò, tassa la ricchezza, intesa come bene potenzialmente produttivo di 100!

REDDITI NOMINALI - Infine, un ultimo aspetto dell’effettività della capacità contributiva inerisce la ricchezza solo nominale/i valori nominali: in Italia, i tributi sono riscossi sulla base del valore monetario, senza tener conto dell’inflazione. Quindi, soprattutto entro un sistema giuridico entro cui le aliquote salgono progressivamente, il contribuente a volte può guadagnare solo apparentemente. Ad esempio:”se ho una casa che vale 100 e c’è stata inflazione del 10% e alla fine dell’anno io la rivendo a 110 (100 + inflazione) io nella sostanza non ho guadagnato niente/non mi sono arricchito, perché i 110 valgono come i 100 dell’anno prima”; la regola però è che, salvo correttivi di parte speciale, i tributi si applicano al valore nominale.
Questo può creare problemi: negli anni ’70 c’è stata forte inflazione quindi questi meccanismi hanno portato, talvolta, a tassare persone che erano in perdita.
La Corte Costituzionale ha detto che è legittimo un sistema che tassa i valori nominali (?soprattutto per ragioni pratiche, poiché il depurare tutte le operazioni economiche dall’inflazione renderebbe folle qualunque tipo di contratto?) purchè questo rimanga nell’ambito della ragionevolezza, cioè come dire se la cosa diventa sistematica allora si devono mettere dei correttivi. La regola salva eccezione è che conta solo il valore nominale.
Molto spesso nel diritto tributario ci sono le c. d. agevolazioni, in base alle quali una certa ricchezza è agevolata/è trattata meglio di un’altra; pertanto, è possibile che, a parità di capacità contributiva, ci sono certe ricchezze che sono sottoposte ad un’imposizione inferiore/sono tassate di meno. Come giustifico questo fenomeno alla luce della capacità contributiva, quale criterio generale per l’imposizione tributaria, ed alla conseguente proporzionalità tra la quantità di ricchezza e la quantità di tributo da conferire? L’art. 53 della Costituzione non è l’unica regola costituzionale che esiste; pertanto, la deroga alla capacità contributiva/il diverso trattamento impositivo riguardo due identiche capacità contributive sia giustificato da altre norme costituzionali: ad esempio, nella Costituzione ci sono norme che agevolano il risparmio (art. 38 Cost.) , motivo per cui una tassazione più lieve, perché tendente ad agevolare il risparmio, non violerebbe l’art. 53 Cost, perché quest’ultimo dovrebbe essere rapportato all’ulteriore valore costituzionale tutelato ex art. 38 Cost.

PRESUNZIONE DI (PICCOLA) CAPACITÀ CONTRIBUTIVA IN CAPO A CHI PAGA LE TASSE (DI ESIGUO IMPORTO)
- Il prof.re Marcheselli sostiene la tesi secondo cui a tutti i tributi (=imposte + tasse + contributi speciali + monopoli) si applica il principio di capacità contributiva: quindi, anche alle tasse si dovrebbe applicare il principio di capacità contributiva; tuttavia, sia la maggior parte della dottrina tributaria, sia la giurisprudenza della Corte Costituzionale hanno escluso che alle tasse si applichi il principio di capacità contributiva, ritenendo, pertanto, che la legittimità costituzionale delle tasse prescinda dal fatto che chi le paghi manifesti una capacità contributiva.
Questo formale contrasto tra la tesi del prof.re Marcheselli e la giurisprudenza della Corte Costituzionale può essere risolto; infatti, la giurisprudenza della Corte Costituzionale nasce da casi in cui la prestazione imposta al privato corrisponde, ad esempio, al ticket dell’ospedale (Pertanto, secondo il prof.re Marcheselli, il ticket sanitario rientra nella categoria delle tasse - intese quali corrispondenti monetari dei servizi che sono l’esplicazione del nucleo essenziale dei servizi pubblici -  e, di conseguenza, la sanità è un servizio pubblico essenziale, al pari di giustizia e sicurezza), da cui consegue il banale e fondato ragionamento “Che ricchezza manifesta un paziente malato?”: secondo il prof.re Marcheselli, questo ragionamento della Corte Costituzionale deve essere letto non nel senso che rispetto alle tasse non è necessaria la sussistenza di una capacità contributiva, bensì nel senso che, visto che l’ammontare/l’importo delle tasse è di solito molto esiguo, è ovvio/è presunto che chi è tenuto al loro pagamento abbia i mezzi per pagare/la capacità contributiva ad hoc, motivo per cui LE TASSE POSSONO ESSERE RISCOSSE ANCHE PER SERVIZI CHE NON ARRICCHISCONO CHI LE PAGA.
ESEMPIO: Se ci si cura in ospedale, non si diventa più ricchi, quale immediata conseguenza dell’essere stati curati e, allo stesso tempo, essendo malato, non si manifesta ricchezza: semplicemente, il malato fruisce di un servizio sanitario, il cui ticket, quale sottocategoria di tassa, si presume pagabile a suo capo.

Tratto da APPUNTI DI DIRITTO TRIBUTARIO di Luisa Agliassa
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