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Utilizzazione dei sintomi in terapia familiare


Un terapista che lavora entro una struttura familiare, vede i sintomi di un individuo come espressione del problema di contesto: può combattere la tendenza della famiglia di concentrarsi esclusivamente sul portatore dei sintomi o può scegliere di lavorare direttamente col problema emergente. Talvolta il sintomo è cosi acuto e pericoloso (piromania, fobia, anoressia) che diventa prioritario. Talvolta la famiglia può non essere capace di fare un contratto che terapeutico che riguardi qualsiasi altra cosa al di fuori del problema emergente.    
Concentrarsi sul sintomo. I sintomi del paziente rappresentano un nodo concentrato delle tensioni della famiglia, di frequente rappresentano uno dei modi in cui la famiglia affronta la tensione, sono comunque sostenuti da un numero cospicuo di modelli familiari transazionali. Lavorarci sopra è la strada maestra che porta alla struttura della famiglia.    
Esagerazione del sintomo. Il terapista può usare il suo potere per rinforzare  il sintomo del paziente identificato accrescendone l’intensità e questa tattica diventa una manovra ristrutturante.    
De-enfatizzazione del sintomo. Talvolta è possibile usare il sintomo come una strada per allontanarsi dal paziente designato (es. pranzare con la famiglia di una figlia anoressica).    
Spostamento verso un nuovo sintomo. Il concetto sistemico della funzione di un sintomo nella famiglia rende possibile sviluppare una strategia per attaccare il problema identificato, spostando temporaneamente l’obiettivo della concentrazione terapeutica su un altro membro della famiglia.
Ridefinire il sintomo. Una riconcettualizzazione del sintomo in termini interpersonali può aprire nuove vie al cambiamento (es. l’anoressia come disubbidienza e incompetenza dei genitori).    
Cambiare l’effetto emotivo del sintomo.

Tratto da FAMIGLIE E TERAPIA DELLA FAMIGLIA di Antonino Cascione
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