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L'avvenire dell'arte nel presente

L'avvenire dell'arte nel presente


Ma ora possiamo forse affermare che se si dà un'avanguardia nel presente è proprio perché la storia non è ancora finita e perché nessuna profezia escatologica può esorcizzare la possibilità di un'irruzione puntualmente inattesa e imprevedibile dell'evento dell'arte (e non solo dell'arte, ovviamente). Allora, forse, con il libro di Scudero siamo già introdotti nell'orizzonte dischiuso da una singolare eterologia critica che prepara uno spazio nel presente per l'a-venire dell'arte (l'arte dell'altro, come direbbe forse Patrizia Mania) sapendo che per far questo deve rinunciare ad ogni maldestra fuga prospettica verso il futuro. Non si tratta di una ennesima forma di lassismo qualunquista, ma di un preciso impegno critico-operativo che però, in qualche modo, si richiama qui all'idea heideggeriana della Gelassenheit ("Abbandono"), o magari a quel principio levinassiano e derridiano che chiama in causa un'etica dell'ospitalità: in altri termini, il luogo dell'evento deve essere lasciato aperto, sgombro, vuoto, libero da ogni aspettativa prematura o rimembranza nostalgica, proprio affinché ciò che è, kantianamente, libero e "disinteressato" per definizione, possa realmente venire accolto nel suo darsi come tale all'interno della stessa eterogeneità del presente. Anche ammesso che, sul piano critico, si possa o si voglia prevedere in anticipo il corso degli eventi, occorre bensì comprendere che in ogni caso non si dovrebbe farlo, se non altro perché una simile anticipazione risulterebbe comunque fallace e controproducente proprio in quanto pregiudiziale, soggettivistica e tendenzialmente mistificatoria. Ma questo lasciar-essere non implica un atteggiamento di pura passività né una pretesa obiettività scientifica, bensì presume una sorta di ritegno maieutico, nonché un impegno energico e costante volto alla rimozione di tutti quegli ostacoli teorici e pratici riferibili alla stessa possibilità di un'avanguardia nel presente in senso lato. D'altronde come potrebbe, di per sé, il principio scontato, seppure ragionevole, facilmente comprensibile e sostenibile, relativo al valore democratico della cosiddetta reciprocità di ogni rapporto paritario tra soggetti (interlocutori che già in partenza si riconoscono come "simili" proprio in quanto appartenenti ad un medesimo orizzonte culturale), predisporci davvero all'incontro con quel "radicalmente altro" che può irrompere nella 'nostra' casa in qualunque momento? Come affrontare la sempre rinnovata imminenza di tale evento senza chiamare in causa l'idea, ben poco armoniosa e tranquillizzante, di un nostro essenziale sbilanciamento verso l'ignoto? Può darsi allora che si debba condividere la seguente affermazione di Derrida: "Il problema etico è fare in modo che l'incondizionato accada".

Tratto da AVANGUARDIA NEL PRESENTE di Alessia Muliere
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