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Schapiro, la questione della prospettiva

Schapiro, la questione della prospettiva


Non meno forte ed esplicita è la posizione dello storico americano in merito ad un’altra topica che allora – come oggi – era irrinunciabile terreno di polemica tra "naturalisti" e "convenzionalisti": la questione della prospettiva. Schapiro, come al solito, non fa nomi, ma quando scrive: "È opinione diffusa che i due sistemi prospettici, quello gerarchico e quello ottico-geometrico, siano parimenti arbitrari" , non è difficile intravedervi autori e testi famosi, così come non è difficile capire a quali interlocutori ideali siano indirizzate precisazioni di questo tenore: "la corrispondenza delle dimensioni degli oggetti alle loro dimensioni apparenti nella realtà dello spazio tridimensionale, quando siano posti ad una certa distanza dallo spettatore, non è arbitraria, ma è prontamente compresa dallo spettatore privo di preparazione specifica, perché si fonda sugli stessi indizi cui egli reagisce nel trattare quotidianamente con la realtà visiva del mondo". Ciò non toglie, ovviamente, che nell’immagine dipinta o disegnata vi siano elementi non mimetici arbitrari – che nel sistema di Greimas si chiamerebbero "unità" o "categorie plastiche" – i quali possono combinarsi in modi assai difformi; anzi, a questo livello, e contro un’altra opinione diffusa, per Schapiro non c’è sostanziale differenza tra la pittura egizia e quella degli Impressionisti, così come non c’è in termini di arbitrarietà tra contorno, tratteggio e macchia. Nel saggio Scritte in pittura: la semiotica del linguaggio visivo, Schapiro è ancora interessato ai segni non mimetici, propriamente a quelli convenzionali o arbitrari della scrittura, che attivano in chi legge/guarda una modalità percettiva temporale, che impone un sistema di successione diverse da quello delle immagine. Anche questo contributo vede una duplicità di problematiche che riguardano tanto il piano plastico quanto quello dell’enunciazione. Schapiro, relativamente alla firma, segno che relativamente alla pittura prospettica, incrina la trasparenza del supporto, del doppio, del mondo, palesandone l’opacità, fa un’importante considerazione che va in direzione della ricostruzione del linguaggio della pittura, precisamente della sua dimensione plastica. Prendendo in considerazione una marina di Courbet, dove la firma (esempio della necessità di rendere lo scritto parte di un oggetto dello spazio tridimensionale e di dargli una presenza tangibile e un sostegno dello stesso grado di materialità degli edifici e del paesaggio adiacente), si colloca sulla spiaggia in primo piano sovrapponendosi alla sabbia e alle  acque retrostanti e si offre allo sguardo in un rapporto anaforico con le altre componenti mimetiche della rappresentazione. L’invito di Schapiro è quello di guardare il quadro non solamente nella sua dimensione figurativa, bensì anche in quella astratta, cioè di attuare una lettura seconda, rivelatrice delle forme plastiche. Schapiro in Profilo e frontalità delle forme simboliche è stato il primo ad aver definito in forma codificata la posizione della figura antropomorfa in rapporto all’osservatore nel dominio della rappresentazione visiva. Più precisamente egli ha individuato nell’opposizione fra visione di profilo e visione frontale gli equivalenti pittorici delle diverse forme pronominali della lingua. La frontalità è responsabile della costituzione dell’osservatore in quanto tale, in quanto destinatario di un atto di comunicazione; mentre il profilo non chiama minimamente in causa l’osservatore, ma si dà a vedere a uno sguardo altro, interno al testo visivo.

Tratto da SEMIOTICA di Alessia Muliere
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