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Il viluppo di memoria, l'anti-dio e la metafora della piuma in Montale

Montale è uno dei poeti più importanti del ‘900 italiano, con una storia assiologica complicata: qual è infatti il Montale migliore? Probabilmente gli Ossi, perché è la raccolta che cambia le carte in tavola nel ‘900.

Godi se il vento ch'entra nel pomario vi rimena l'ondata della vita:
qui dove affonda un morto
viluppo di memorie,
orto non era, ma reliquiario.
Il frullo che tu senti non è un volo,
ma il commuoversi dell'eterno grembo;
vedi che si trasforma questo lembo
di terra solitario in un crogiuolo.
Un rovello è di qua dall'erto muro.
Se procedi t'imbatti
tu forse nel fantasma che ti salva:
si compongono qui le storie, gli atti
scancellati pel giuoco del futuro.
Cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l'ho pregato,- ora la sete
mi sarà lieve, meno acre la ruggine…

La poesia vuole annunciare la musica stilistica che verrà, ma anche l’andamento e i contenuti. I versi sono dedicati ad una donna che SI salva, non che CI salva (come nella lirica italiana precedente, Beatrice, Laura…) È quasi impensabile una donna che si presenta sulla scena della tradizione lirica italiana e salva se stessa, eppure così Montale immagina il suo canzoniere.  La lettura di questi versi va integrata con “Casa sul mare”, perfetta integrazione tra questo primo testo della poesia montaliana. È anch’essa una poesia del ’24, come “In limine”. È dedicato quindi alla stessa donna il cui cuore salpa fuori dal tempo, verso un non tempo, verso il dopo la necessità. Se il tempo è la necessità ciò che accade in modo cattivo per gli umani, salpare fuori dal tempo è andare nella libertà (primo titolo di “In limine”) Quali sono le domande che si pone “in limine”? - perché ci sono un “tu” e un “io”? il pomario che è la scena di lei è anche il reliquiario del poeta. Un tu che si salva e un io ce sta, che non salpa da nessuna parte,che sta circondato dalla necessità.

Viluppo  di memoria

“Viluppo  di memoria”: la memoria in questo caso è la prigione dell’io. Lei sta nel crogiuolo, sta nel luogo in cui la terra sta ri-nascendo,già una fuga dalla necessità. Quello che è reliquiario per lui è eterno grembo e crogiuolo per lei, con la struttura binaria tu / io. Delirio di immobilità è l’io che non nasce e fugge da se, mentre lei procede, anche se il forse insinua il dubbio. Atti scancellati pel giuoco del futuro prescinde dal nutrimento della memoria, che è meramente carcere. Il mio futuro diventa un gioco, se il futuro non sta dentro il  passato non è niente, è  un futuro che non è più nutrito del nutrimento fondamentale della predizione. é come se all’uomo moderno il futuro sfuggisse in quanto gioco. È un  futuro di parole, ma non porta con se valori.  Cerca una maglia rotta nella rete: la necessità è la rete del nostro stare al mondo; la maglia rotta dalla rete della necessità è quella che si apre per lei ma non per lui. Non si tratta della donna salvifica degli stilnovisti: è una donna che si salva con l’aiuto di lui, che non si salva ma che prega perché lei si salvi. “In limine” custodisce una delle prospettive più forti degli “ossi”, Montale non riesce ad essere meramente lirico, non può impedirsi di pensare. Ha a che fare con il pensiero, mentre ha a che fare con la forma. Filiazione con Leopardi, che ci ha abituato a pensare che la poesia pensa o semplicemente non è ( diverso da Ungaretti, ci troviamo di fronte ad una parola che contiene simbolisticamente tutto). Per Montale la poesia è un teorema, è la dimostrazione di qualcosa.  “casa sul mare” è la chiara risposta a questa domanda posta “In limine”. - perché dei due si salva la donna? Montale ce lo dice, ma pone il problema ad un lettore che non sia pedestre. Perché al poeta è impedita quella stessa salvezza che tocca alla donna? perché la donna, che per tradizione salva l’uomo, qui salva se stessa? La prima risposta è “ forse solo chi vuole si infinita” (verso dantesco) “ e questo tu potrai, chissà non io..” pensa che per i più non ci sia salvezza, versi fondamentali di “casa sul mare” –vv 22-26-  risposta sentenziata, gnomica, che sovverte la sentenza leopardiana dalla quale parte (funesto è di chi nasce il dì natale). Noi siamo votati alla perdita di noi stessi. Montale pone un’eccezione nella sua tristezza, nella sua malinconia, nella sua inerte situazione di reliquia in un reliquiario. Variante rispetto al padre autorizzante, cioè Leopardi.  È come se all’”angoscia dell’influenza” (H.Bloom) montale replicasse all’angoscia leopardiana: accetta l’impianto malinconico di Leopardi,il soggetto reliquiario e carcere (che è già petrarchesco) Mengaldo parla di un leopardismo concettuale in Montale. Eppure i leopardismi non sono così abbindanti in Montale, forse sono più presenti quelli che derivano dall’ “insopportabile Pascoli”( che agisce da un punto di vista amnestico molto più che Leopardi).  Il poeta non vuole essere infinito, non vuole passare questo varco, che lei intuisce che c’è o potrebbe esserci. Si tratta di una negazione ristretta al destino del poeta stesso, è un SI sostanziale, quello che chiude l’Ulisse di Joyce. Il sì sarebbe “tu potrai”, è un sì metafisico valica la lacerazione della maglia di questa rete, e contiene un “no” -come dice Kierkegaard  spiritus lenis, spirito debole, c’è, vede, ma non prende). Gli manca la forza che soltanto la donna ha per prendersi la salvezza.

C’è questo no alla salvezza individuale, sovvertito da un sì individuale. La risposta alla seconda domanda è indiretta: la donna che si salva, prodigiosa variante della lirica moderna, la donna che trova una sua via, dichiara e valica e mostra salvando se stessa, indica al poeta che non si salva non la via per salvarsi, ma mostra l’esistenza di questa via, gioca filosoficamente. Non indica pragmaticamente una via di salvezza, dice che la via c’è e che lei la sta percorrendo. Questa via è stata esclusa da Leopardi. Il volere è l’accesso alla salvezza. Volontà: terza lassa  di “casa sul mare” : vorrei dirti che no, che ti s’appressa / l’ora che passerai al di là dal tempo; / forse solo chi vuole s’infinita. C’è in sei versi la ripetizione non casuale del verbo volere.  Cosa rappresenta questo “volere” in Montale? Un’opposizione tra chi vuole, chi sovverte ogni disegno (volere sovversione , vedi vv 25), e chi no. Opposizione significa “io non potrò” (v 23), opposizione chiara e secca tra chi vuole e chi non può. Fino ai veri finali. Miracolo, parola chiave di Montale. Il sovvertimento della necessità è una specie di miracolo prodotto dalla volontà di lei e si ribadisce come negli stessi versi ci sia una impossibilità dovuta alla debolezza della volontà di lui. Schema assolutamente limpido di questi versi: si tratta di un miracolo, quello che si verifica accanto al poeta ( ecco dov’è andata a finire la lirica d’amore…). Saba fa rimare cuore e amore, il cuore c’è ancora, qui è un cuore che salpa verso l’eterno. È un cuore accanto all’altro, ma l’altro sta salpando verso l’eterno, questo è il miracolo. È un miracolo prodotto dalla volontà, che sta all’interno del desiderio umano, ben diverso dal miracolo scettico di “forse un mattino…” con la rivelazione del nulla dietro i passi di chi sta camminando. Poesia di un’estrema semplicità. Quello di “casa sul mare” è un miracolo ben diverso. Il “terrore di ubriaco” era  un lessema che stava già in Sbarbaro, amico di Montale.  Il nulla che è la verità si sostituisce ad un attimo di percezione metafisica, cioè alla realtà che è ingannevole. Il varco di “forse un mattino” è un mero disvelamento dell’inganno, è l’io ingannatore di cui parla Cartesio. Quaderno genovese: Cartesio, la prima delle “meditazioni”. Il dio ingannatore, è quel trio che ci ha ingannato.

L’anti-dio

È una metafora, è l’anti-dio, un dio gnostico cattivo, che costruisce questa bellezza per ingannarci. “è quel dio non meno ingannatore che potente, che ha impiegato tutta la sua capacità ad ingannarmi. Il fine di questo dio ingannatore è farmi credere che tutto ciò che appare sia la realtà vera. Questo miracolo scettico (è il filosofo scettico che si rende conto che la realtà non esiste, non è un sovvertimento –come in casa sul mare – non è un capovolgimento della necessità universale ma è un mero accesso alla verità del nulla dietro il velo della realtà. Ma che miracolo è? Il miracolo che può fare la donna di “casa sul mare” è squarciare la realtà, di andare al di là.  I due registri sono di Montale stesso. Ma se questa verità che i romantici cercano dietro il velo, se dietro questo velo non c’è niente? È questa la novità di Montale.  Allora che cos’è il miracolo che la svela se non un puro e mero sorriso scettico? Opzione scettica attiva in (sanri?) e nel quaderno dei 4 anni, dove il Montale scettico è particolarmente scintillante. La realtà è niente, è una delle opzioni intellettuali di Montale.  In “casa sul mare” ci troviamo di fronte ad una via di scampo, ad un sovvertimento possibile, ottenibile mediante la volontà. Questo volere è il contrario dell’adesione del  desiderio, è il contrario dell’implosione della soggettività di cui parlava Beckett  o Leopardi; autominimizzazione di sé di cui parlava Nietsche per Leopardi. I cristiani vogliono la salvezza per se stessi, non la vogliono per alberi ecc..questo fatto che la natura deve sopravvivere non fa parte dell’universo poetico di Montale. È come se lui mettesse in scena il bisogno di salvezza individuale, e questa volontà è più forte della necessità, è un valore che sfida, e ottiene che l’individuo si salvi nell’universo o nel nulla. +è un valore che non ha a che fare con la ragione che svela il nulla alle nostre spalle e ci rende terrorizzati (diverso dall’illuminismo). La ragione è ciò che ci conduce al”terrore da ubriaco” perché là non fa altro che svelare il nulla alle nostre spalle. Hume: la ragione è una passione violenta, che riguarda tutto me stesso in rapporto al mondo. Il volere che sovverte (cfr vangelo secondo Marco – chi dicesse a questo monte levati…-) è in effetti la preghiera di cui Montale si dichiarava incapace per se stesso ma che mostra possibile per gli altri.Partendo dalla riflessione “donna angelo” (“sulla poesia”, testo che contiene alcuni autocommenti sul tema) Montale riflette sulla sua produzione. Oggi parliamo di tipologie di angeliche donne: la donna angelo di Guinizzelli è ben diversa da quella di Montale, ma all’interno della stessa poesia montaliana vi sono varie declinazioni della donna-angelo.
In In limine abbiamo visto una donna che sta per partire verso un’oltre terra, una donna che sa e può compiere questo viaggio (è anche una donna fisica, ma non una donna vera e propria che parte con una valigia, è un segnale, una sorta di annunciazione) è una variante fondamentale rispetto alla tradizione: la donna indica all’uomo che una via di salvezza c’è, anche se non per lui. Ma la donna si salva da sé, non salva l’altro. Scegliendo il topos della donna-angelo Montale si espone ad un rischio, perché di donne angelo ne abbiamo viste tante. Montale è un po’ petroso all’interno degli ossi, ha una durezza stilistica, si esprime indirettamente, (al contrario di Saba, per esempio,che diventa difficile solo nel momento in cui si comincia a pensarvi), tanto da risultare chiuso (vedi trobar clus). La poesia è ciò che si oppone costitutivamente alla comunicazione di massa. In questa concezione,è come se citasse Adorno, che all’epoca non conosceva: il filosofo fu il primo a teorizzare che l’arte  sopravviverà in quanto risarcimento, opposizione costitutiva e formale alla cultura di massa). L’opposizione per Montale è la chiusura, per contenere più senso possibile. Quando nel ‘700 compaiono i primi giornalisti, sono anche letteratura; invece nel ‘900 l’arte deve opporsi alla comunicazione di massa, non per “parnassianesimo”, ma per conservarsi e sopravvivere. L’arte del ‘900 è meta-arte, riflette su se stessa, combatte una sua battaglia.  Uno dei punti di riferimento principali è Dante.  Sia In limine sia in Casa sul mare sono due testi che si inseguono, che hanno come fondamento questa volontà di partire. La donna ha la possibilità di salpare, ma ha bisogno che l’uomo preghi per lei. Il poeta prega per chi può e vuole, e la donna ha bisogno della preghiera di chi non può:è una situazione altamente paradossale, perché la donna angelo ha bisogno della preghiera di un uomo debole, di carne. La situazione è rovesciata. v. 17 di In limine “Va, per te l'ho pregato”, struttura fondamentale della poesia. L’io e il tu si fronteggiano apertamente: il tu è nel pomario, il frutteto primaverile sotto l’impulso fondamentale della vita, l’impulso che sta dietro tutto, il principio di vita. Lo spirito di questo luogo primaverile è in lei, è una situazione di sensuale primavera, “onda, fusione, crogiuolo, grembo”, campo semantico relativo alla donna. C’è da una parte una primavera preziosa e dall’altra un’apparizione salvifica che attende al di là dal muro. Questa donna può maturare un di più di vita, l’eternità. In Casa sul mare si parla di questo percorso nell’eternità, qualcosa che prefigura uno sconvolgimento del noto e della salvezza. La donna è comunque senhal, segno della salvezza; tutto le è favorevole, anche hic et nunc. Lo stesso luogo che è sfavorevole all’uomo è propizio alla donna. Montale è complesso, ma la sua parola è intrecciata al contesto, ed è il contesto ad essere difficile, mentre non vi è simbolismo, non c’è la parola che contiene mondi (contrariamente ad Ungaretti). Tra la donna che sta per partire e il muro c’è un’apparizione salvifica ”il fantasma che ti salva”. Che cosa sia non è dato saperlo esattamente: nella tradizione è la donna angelo, ma qui non può essere la donna, in quanto salva se stessa.

Nel verso successivo “qui” è quello del crogiuolo, dell’onda…che per il poeta è reliquiario,una memoria che non riesce piùa percepire di se stessa se non le tracce erose sul muro. La memoria si presenta sempre come cancellazione, ha come principale obiettivo quello di dimenticare. Questo fantasma che appare alla donna ora percepito dal poeta. Non è una storia di una “building” quella di Montale, c’è in appartenenza, nella quale spesso il poeta vede compiersi dei miracoli.  La donna è quasi balzata fuori dalla rete. Dall’altra parte c’èl”io” che, mentre il tu balza fuori, affonda. Da una parte c’è l’onda che sospinge lei verso la vita, dall’altra l’io che affonda con le sue memorie inerti, ch’effonda nella sua vita senza uscita. Nella contrapposizione, l’io è “rovello”,” è macerazione intellettuale, aspetto sterile della ricerca. “gioco”, ma qui non si tratta di giochi, ma dell’unico atto possibile della vita, salvarsi o no. L’unica azione di questo io  è giocare con le figure prodotte da sé, figura della sterilità, dell’immobilità (richiama i trattatisti del ‘500), atteggiamento malinconico del poeta diverso dall’atteggiamento euforico di lei. Questo io affonda con il delirio cervellotico del futuro,  e di fronte ha il muro che per lui è erto, invalicabile. Noi sappiamo che ha di fronte un’apparizione, il disvelamento del senso della vita, verso cui procede e si imbatte solo chi forza la necessità, chi forza la maglia della rete.  Il possibile è qualcosa che sta addirittura al di là della ragione. L’apparizione, di cuiil poeta è cronista, non lo riguarda: il disvelamento è negato al poeta, ma esso non è la donna (di solito, la donna è il disvelamento stesso, che tradizionalmente appare all’uomo e lo porta verso l’alto). Confronta con la “vita nuova”: autoccomento della fine. Dante definisce “spirito peregrino” , in senso di viaggiatore, il pensiero di Beatrice, in quanto “spiritualmente va là suso”. In Montale la modificazione è che il peregrino spirito è quello stesso della donna che è qui: la donna deve guardare in alto l’apparizione che la porterà al di là delle maglie rotte delle rete.   cita il topos tale e quale, reinventandolo dal punto di vista intellettuale. La donna qui guarda in alto, verso l’apparizione che la trarrà in salvo. Confronta Dante: sulla sponda dell’Arno, disegnando gli angeli sulla sabbia, non si accorge  di amiche lo stanno salutando, e gli viene la conclusione dell’opera: “oltre la sfera che più larga gira”. Tema del “visiting angel” anche in Giorno e notte, contentuto in Finisterre (1943), all’interno della “Bufera”:  è la fine di tutta una guerra, ma allusione ad una città della Galizia. Chi è la donna della poesia? È una visitatrice, che ammira l’alba, ma è colpita in volo da un colpo che smuove la  gola e le schianta le ali. L’ annuncio  dell’alba implica il sacrificio dell’angelo stesso. L’angelo cade, colpito (forse dal proiettile di un tedesco, forse da una scheggia) e purtuttavia è un angelo.

Pur una piuma che vola può disegnare la tua figura

“Pur una piuma che vola può disegnare la tua figura”, immagine dell’angelo, immagine di luminosità, leggerezza e dolcezza. È la leggerezza di  una piuma che disegna questo angelo che si macchia di sangue mentre sta tornando a terra. È una situazione di estrema rarefazione. Questo è l’angelo, la dolcezza infantile dell’angelo che sta scendendo per annunciare l’alba. Ma quale alba? Quella di cui lei-angelo è vittima, porta morte, ferita, sofferenza. È un’ alba che non ha successo. Questa è una donna angelo che ritorna sulla terra e tornata quasi terrena, cade. Man mano che si avvicina alla terra, l’angelo torna di qua e assume peso terrestre, la ferita è reale. Cade perché è pesante (diverso dalla donna di “In limine” che sta per sfuggire alla realtà del mondo). Piume, luccichio, specchio, non sono che enigmatici annunci dell’evento che sta per compiersi, cioè l’istante privilegiato o addirittura la visitazione della donna. perché la visitatrice annuncia l’alba? Forse l’alba di un possibile riscatto (siamo in piena guerra), che può essere tanto la pace quanto una liberazione metafisica? La sua fisionomia è sempre corrucciata, non è ancora riuscita a disincarnarsi, tuttavia è già fuori mentre noi siamo dentro. Era dentro anche lei, ma poi è partita per compiere la sua missione. Segni: come possono questi segni avere a che fare con il lacerio, con una ferita da arma da fuoco? Che senso hanno questi segni? La parola “segni” è importantissima dalla poesia provenzale in avanti. Nel ‘900 è diventata abbastanza tipica e citata.

Torniamo a “In limine”:la donna sta per salvarsi, sta per spiccare il balzo, sta per sfuggire. In Finisterre  invece la donna sta per tornare, ferita, sta per compiere il viaggio inverso. L’ elemento comune è che il poeta, comunque, non si salva: in In limine si salva solo lei e in Giorno e notte  perché l’angelo è colpito e ferito. “antro incandescente” è la follia della guerra, la terra messa a ferro e fuoco. Non vi è la minima venatura psicologica in quello che Montale sta qui rappresentando. Gli “incubi” sono il delirio intellettuale, labirintico,da cui è difficile uscire. Situazione di prigionia di sé e della guerra, in questo caso: l’abisso del mio impersonale è diventato l’abisso di un popolo. L’apparizione non è la donna, ma ciò che salva la donna stessa, è ciò che sta al di là del poeta e della donna.  Il balzar fuori della donna è tipico di una certa situazione claustrofobia (sottofondo cupo, senso di impedimento, chiusura) , maggiore scetticismo. Riferimento alle poesie disperse di Obiezioni, che ci introduce ad un Montale scettico e ironico. Ritorna la rete di “In limine”. La prigione, la claustrofobia è un dato fondamentale (“imprigionati come siamo nel tempo e nello spazio”): la curiosità è sempre quella di “In limine”, ma più scettica. La cosiddetta realtà è una prigione, è un muro da cui è impossibile muovere, ma il  fatto che la donna stia per balzare fuori significa che il senso della realtà, espresso dall’apparizione, è comunque sul confine della verità stessa. È In limine chi sta ai confini della verità stessa. Chi non si affaccia, chi non cerca di sbrogliare la rete è il borghese, piccolo e mediocre. L’artista invece no, tenta. Bisogna inoltre ricordare un autocommento del 1962 a “giorno e notte” (Sulla poesia) : si domanda chi sia costei. Certo, in partenza una donna reale, ma qui e altrove una visiting angel, poco o punto materiale! Perché la visitazione annuncia l’alba?  “tracce” di Bloch,parla di cosa sia un segno. Commenta una storia di Erodono, l’incontro tra Psammetico, un re egiziano e Cambise. Dalla cella alla reggia di Cambise incontra la figlia fatta prigioniera, poi il figlio condannato a morte, infine un palafreniere incatenato: allora scoppia a piangere. Il re non piange per la realtà, il dolore non ha segno, la tragedia avviene e riguarda una zona di silenzio con noi stessi. Figli hanno a che fare con l’intimo, il tragico. Il re piange di fronte alla rappresentazione dell’umana debolezza e fragilità nel palafreniere, vede l’umanità tutta che sta in una situazione critica. Autocommentando Giorno e notte fa riferimento a due altri testi. Uno è “nuove stanze”, ed è raccolto nelle Occasioni. È un testo molto rivelativo, (cfr commento di Dante Iselle): c’è una scacchiera con i pezzi che osservano quanto accade  nella stanza. Qualcuno fuma, simbolo leggerezza e levità, che rimanda alla protagonista Clizia.  L’io poetante si interroga sul senso di questa donna.

La domanda è se questa sa o ignora di essere mistero, se sa che a breve uscirà dalla stanza. Anche lei è minacciata dal fuori. Suono della martinella, la campana per i morti a Firenze. Situazione paradossale: gli spettatori sono le statuette d’avorio, che guardano la protagonista.  Lo “specchio ustorio” è la follia,il lampo bruciante della storia che acceca tutti tranne chi ha gli occhi d’acciaio (cioè lei); pian piano Montale traccia la fenomenologia dell’angelo. L’interpretazione montaliana vede gli alfieri e i cavalli restare sconcertati di fronte alla brutalità della storia. Gli scacchi come noi non comprendono ciò che c’è al di fuori. Nella poesia c’è appunto un tono fantaisiste, un po’ surreale.  Gli scacchi non capiscono, ma non è comprensibile neppure per il poeta, per noi che leggiamo e per la donna angelo. Gli scacchi che guardano stupefatti colgono mille ragionamenti su questa situazione storica: è un’aporia, un angelo che non può essere angelo; alfieri e cavalli stupiti! È anche una situazione di interno-esterno. Nell’ultima strofa solo Clizia-angelo da questa sala guarda fuori con i suoi occhi d’acciaio  (per contrastare il mondo servono gli occhi di acciaio di un angelo, non l’opposizione  politica o la poesia).  L’altro testo è la  Primavera hitleriana  tratto da La bufera. Nell’ultima strofa ci troviamo di fronte ad una dedica esplicita a Clizia. Lei annuncia un’alba possibile solo in cielo, non può riguardare la terra. È un’annunciazione che fallisce il suo compito terreno,un’alba che non può lambire la terra. Annuncia l’alba in un contesto terreno in cui l’alba non ha altro trionfo che non sia l’insuccesso di quaggiù. La donna angelo annuncia l’alba in un contesto in cui non può prodursi: la sua è una missione che non può compiere qui in terra, è un angelo trattenuto dal suo peso ancora disincarnato, dalla sua umanità. Anche il poeta si trova in una situazione di non compiutezza, ma a differenza del poeta quest’angelo è fuori, al di là del limite angusto della realtà (dove si trovava la donna di In limine) .In “giorno e notte” si ha l’impressione di una fatica molto forte nel mantenimento di questa situazione angelica, di una inconcludibilità della vita spirituale. Questa inconcludibilità è vista in maniera più tragica e definitiva rispetto ad “in limine” , il principio speranza langue.  Si parla di un tema ricorrente nel ‘900,ha a che fare con lo spirito del tempo, con  la sua vocazione: ma il ‘900 è anche il secolo delle vocazioni  interrotte. L’impedimento viene fuori dalla storia, pensiamo a Svevo: declinazione psichico-comica dell’inconcludibilità della vocazione, che cede alla pigrizia morale, forse patologica; il nevrotico è chi non va incontro al suo appello vitale, chi crede che questo debba essere impedito e se lo impedisce da se. È voler fare una cosa e mettere tra sé e questa un muro. Si può pensare all’ “Uomo senza qualità” di Musil, il protagonista vuole, ma non riesce. È l’intelligenza che non si muove, forse paragonabile al tipo del melanconico. Nel ‘900 l’uomo che non procede nella sua vocazione è tuttavia lucido, basti pensare a Gadda, nella “cognizione del dolore”: Don Gonzalo è un matricida che forse non è nemmeno matricida. L’inconcludibilità che potrebbe essere vissuta non in modo tragico (vedi nel’700, in cui è uno scarto di prospettiva, anche un piacere) è qui una catastrofe.

Tratto da MONTALE: OSSI DI SEPPIA di Federica Maltese
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