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Morin. Cinema e immaginario



Il rapporto tra cinema e immaginario, rispetto a quello cinema – realtà, definisce il cinema non come “specchio del mondo”, ma “mondo oltre lo specchio”, pur senza contrapporvisi nettamente; ci si rifà alla tradizione surrealista (Buñuel ed avanguardie francesi), e Kirou (Le surréalisme au cinéma, 1953) sostiene che il surrealismo è l’essenza del cinema, anche nelle forme “kitsch” di trasgressione dei generi popolari come l’horror; Lenne (Le cinéma fantastique et ses mythologies, 1970) analizza la vocazione del cinema al “doppio”, in una teoria del cinema come “fantastico” che elabora una tipologia del rapporto tra ordinario e straordinario (la cui distinzione e compresenza è necessaria per avere il fantastico), con l’irruzione dello straordinario nell’ordinario (Josef K.), la proiezione dell’ordinario nello straordinario (Alice nel paese delle meraviglie) ed il “meraviglioso”, ossia il rilancio dello straordinario sullo straordinario, che non è perciò “fantastico”, in un’impostazione teorica però contenutistica che andrebbe estesa alle modalità di visione, ossia alla forma (effetti speciali, uso della steadycam).
Morin, con "Cinéma ou l’homme imaginaire" (1956) e "Les stars" (1957), si basa sul tema sartriano dell’immaginario (1939) con la distinzione tra percezione (attività realizzante) e immagine (attività irrealizzante), in cui la prima definisce gli oggetti come “cose”, mentre la seconda (mentale), incontrandosi con l’immaginazione, genera l’immaginario e diviene struttura fondante della coscienza, che consente di sfuggire al determinismo della “cosalità” ed aprirsi alla libertà; Morin non contrappone Lumière (realismo) e Méliès (immaginario), ma “cinématographe” (dispositivo ottico e meccanico di riproduzione della realtà) e “cinéma” (collegamento tra immagine reale ed immaginario libero), e sostiene che l’immagine deve sfuggire al determinismo realista; Barthes contrapporrà “studium” (interesse per le immagini) e “punctum” (collegamento tra un’immagine specifica e l’immaginario), ed il cinema secondo Morin deve attivare il “punctum”; come dice Godard, “il cinema sostituisce al nostro sguardo un mondo che si accorda ai nostri desideri”; anche in Bazin si trova però un pensiero sartriano, in quanto anche lui accentua il ruolo dell’attività del soggetto.  Le teorie che collegano cinema e linguaggio non vanno inserite tra quelle metodologiche, perché con “linguaggio” si intende un’accezione non semiotica ma estesa, il “linguaggio cinematografico” complessivo costituito dall’insieme delle forme espressive, e divisibile in 4 nuclei: mezzi espressivi del cinema (attore, recitazione…), cinema ed altre arti, grammatiche (normative, come per i “falsi raccordi”) e immagine come segno e significato (estetico). Rossellini è il più estremista dei neorealisti, ma i suoi primi 3 film sono di propaganda fascista, e solo con Roma città aperta (1945) inizia a cogliere la realtà postbellica, con un linguaggio cinematografico “sporco”, e soprattutto con "Paisà" (1946) e "Germania anno zero" (1947) che chiudono la “trilogia della guerra”.

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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