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Gioco o didattica in ospedale


L’attività ludica sembrerebbe la più adatta all’ambiente ospedaliero in quanto flessibile, aperta all’improvvisazione, al cambiamento, al coinvolgimento di età diverse, alla possibilità di essere praticato anche nelle camere.
Nella maggior parte dei casi, si opta per una mediazione implicita tra il gioco libero e forme di attività guidate da un adulto che insegna cosa fare e come farlo, mettendo a disposizione materiali e competenze che il bambino non possiede per arrivare alla realizzazione di prodotti che dimostrino l’avvenuto processo di apprendimento; si tratta essenzialmente di laboratori.
Il piccolo paziente è in posizione “up” rispetto al personale scolastico e ai volontari: può rifiutarne la presenza, non è vincolato da alcun obbligo nei loro confronti. L’insegnante si trova forse per la prima volta nella condizione di dover conquistare i suoi alunni: le esigenze, i desideri e le preferenze del bambino diventano perciò il motore primo.
Si tratta di fare da guida allo svolgimento ordinato e tranquillo delle attività, dando ritmi e regole da rispettare per una convivenza serena di tanti bambini diversi.
Il fine del proprio lavoro è avere un bambino allegro e sereno, che dimentica di essere malato o comunque quando è con l’insegnante in sala giochi non ci pensa.
L’insegnante lasciata sola deve anche trovare il modo di difendersi dal dolore dei bambini, dal coinvolgimento che essi inducono.
Viene infine riconosciuto da alcune il bisogno del bambino di scaricare ansie e paure, non solo tramite il gioco, ma anche tramite il rapporto con una figura educativa che sia in grado di contenere e gestire queste angosce, spiegandogli in modo adeguato quello che gli sta succedendo. Molto usato in questo senso è il “gioco del dottore”, attraverso il quale si realizza un duplice scopo: da un lato permette al bambino di rielaborare paure e frustrazioni ripetendo su bambolotti le manovre che ha dovuto subire, dall’altro aiuta la maestra nella spiegazione ai pazienti più piccoli di come verranno eseguiti esami e pratiche mediche che li interesseranno.

Anche per l’insegnante comunque il rapporto con il bambino comporta anche un rapporto con i genitori.
Alcuni insegnanti riescono a vivere questa presenza inconsueta come risorsa, molto utile per rispondere alle immediate esigenze dei vari bambini garantendone una maggiore tranquillità, ma anche abbreviare i tempi di conoscenza di interessi e difficoltà del bambino.
Certo, anche in questo caso, come per i pediatri, la presenza del genitore accanto al bambino non è sempre e comunque positiva o facilitante: può diventare quasi un altro paziente da tranquillizzare.
Si profila allora il ruolo pedagogico dell’insegnante anche nei confronti dei genitori, innanzitutto per quanto riguarda i rapporti con il figlio ricoverato.

Tratto da LA PAURA DEL LUPO CATTIVO di Anna Bosetti
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