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Il mistero di Rosebud - Quarto Potere -


Nel momento in cui si riconosce l’esistenza di due itinerari contrari(che danno luogo tra l’altro a due impostazioni di ricerca apparentemente inconciliabili1), dobbiamo anche dire che è soprattutto la reversibilità del cammino a imporsi: un testo trova il proprio compimento in un continuo vai e vieni, grazie al quale i ruoli e i corpi si sostengono e si aggiustano l’un l’altro, inseguendosi a vicenda; le complicità, inestricabili e necessarie, che si stabiliscono tra il dire ciò che si è e essere ciò che si dice può forse rendere l’idea di questo ininterrotto movimento a pendolo.
Sono le sequenze di Quarto potere comunque a darci le indicazioni più ricche, là dove un medesimo nome, Rosebud, ora suscitando un interrogativo, ora offrendo una confidenza personale, nel prologo ci proietta nel cuore della narrazione, e nell’epilogo ci fa ritornare nella nostra pelle; che poi la parola magica non sia di vero aiuto, e il passare e ripassare la soglia lasci intatto il mistero, semmai rende più spessa la cifra.
Ma in che senso parliamo di corpo? E in che relazione lo mettiamo con il ruolo? Cominciamo col dire che usando questo termine non ci riferiamo a qualcosa di meramente empirico, e cioè a un campo di fatti bruti, ma al contrario pensiamo a un dato strutturale, la cui posizione è diversa da quella assunta dagli elementi fin qui esaminati, ma il cui intervento è altrettanto indispensabile e decisivo. Tra l’interlocutore che viene previsto dalle immagini e dai suoni nel loro spingersi fuori dei bordi della scena, e l’interlocutore che incrocia le proprie occhiate con le occhiate lanciategli dallo schermo – diciamo: tra un’istanza e un comportamento – c’è differenza, non estraneità.
Il corpo è insieme il supporto e la riserva di un ruolo.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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