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Esempi di flashback e immagine-cristallo nei film d'autore


L’immagine-tempo diretta si attua nella figura del cristallo, caratterizzata dalla coalescenza ed indiscernibilità di reale e virtuale; la “immagine-specchio” esprime la reciprocità di attuale e virtuale, trasformando l’attuale in virtuale e viceversa (l’immagine speculare relega l’immagine attuale nel fuori campo), come in "Il dottor Jekyll" di Mamoulian; la coesistenza di limpido e opaco è attuata nel rapporto attore – personaggio, ossia nel “jeu” (gioco / recita) in cui l’attore rende trasparente l’immagine virtuale del ruolo, opacizzando sé stesso, ma anche nella resistenza dell’attore al personaggio, che opacizza quest’ultimo rendendo limpida l’attorialità; il rapporto germe / ambiente è quello per cui il germe cristallizza l’ambiente amorfo e l’ambiente rimanda al germe, come l’acqua (germe) e il fuoco (ambiente) nel cinema di Tarkovskij ("Solaris"); in queste 3 dicotomie si esplica la cristallinità, che esprime direttamente il tempo. Il tempo sfugge alla terzità di Peirce (immagine-relazione), ed il neorealismo viene visto come perdita di contatto tra soggetto e mondo, estraneità espressa da opsegni (ottici) e sonsegni (sonori); il cristallo o ialosegno esprime l’indiscernibilità secondo 3 cronosegni: coesistenza di falde di passato, simultaneità di punte di presente, tempo seriale (successione non cronologica).
Il flashback rispetta la continuità empirica del tempo, mentre l’immagine-cristallo implica una memorazione resa spessa dalla profondità di campo (Welles) e che ricerca falde di passato; Robbe-Grillet, in "L’anno scorso a Marienbad", esprime la simultaneità di “presenti di passato”, “presenti di presente” e “presenti di futuro”, con una convivenza che denuncia l’inesplicabilità del tempo e che si esprime rispettivamente nei 3 personaggi di X, M e A, che vivono in un mondo apparentemente realistico in cui però si coagulano 3 coscienze diverse del tempo, in una “vertigine raggelata” che rende impossibile il ricorso alla memoria rispetto ad un continuo presente di virtualità cinematografica; il tempo come serie è contrassegno di un cinema di immagini disconnesse, non più legate in sintagmi cronologicamente successivi, e in cui si spezza l’unità organica delle visioni di autore, personaggi e macchina da presa, in una “visione libera indiretta” tipica di Godard, che mette in serie le immagini inserendo la temporalità nelle loro giunture (La donna è donna) e creando un cinema metafilmico, di riflessione sui generi.

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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