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La legge psicologica in Tulcide

2. LEGGE PSICOLOGICA: i nemici condannato l’operato di Atene in quanto ormai “ubriaca” di potere e, come succede spesso in questi casi, si lascia andare agli eccessi. 

La tentazione che spinge gli uomini a desiderare sempre più è l’eccesso, la hybris, la mancanza di moderazione che, in Tucidide, si esprime in questo modo: essendo la natura umana quello che è, l’uomo si permette di farsi trasportate così tanto dal successo da formulare desideri smoderati. Espressa in questi termini, le legge psicologica è spesso presente nell’opera di Tucidide. Eccone alcuni esempi: 
− gli Spartani l’annunciano agli Ateniesi, quando li consigliano di non pretendere troppo dalla fortuna (IV.17, sappia il vostro contegno esser diverso da quello di alcuni, cui un lampo di fortuna illumina, per un attimo, a monotonia della vita: uomini che la speranza tende avidi a più larghi acquisti, nutrita dal sorriso benigno della sorte e dalla sorpresa del fresco guadagno); 
− lo stesso Tucidide la applica alle ambizioni ateniesi nelle sue analisi (IV.65, la fortuna che, almeno in quei momenti, gonfiava le veleni Atene, appannava le loro menti); 
− Nicia l’applica alle ambizioni ateniesi (VI.11, gli infortuni del nemico non devono stimolarvi all’orgoglio). 

Questi 3 esempi sono sufficienti a dimostrare come la legge psicologica giochi un grosso ruolo in questo “desiderio di avere sempre di più”, tipico del carattere ateniese, e che controlla l’intera evoluzione dell’impero. 
La cosa importante da notare è che Tucidide nella sua opera tratta il fallimento derivato dalla hybris non dal punto di vista morale, ma dal punto di vista esclusivamente politico, un errore della realtà che è la realtà stessa a punire. 
La saggezza politica è pertanto difficile da raggiungere, soprattutto se l’uomo viene privato di ogni considerazione di tipo morale. 
Per mostrare gli aspetti della hybris in Tucidide, De Romilly parte dal discorso di Diodoto su Mitilene al Libro III: 
− il potere che dà vita all’ambizione, attraverso la hubris e l’orgoglio; 
− l’uomo guidato dalle passioni del momento: sono due, a mio giudizio, i più nocivi intralci a una riflessione prudente: la furia e l’impeto cieco, tra cui di regola la prima si fonde con la follia, mentre l’altro è espressione di uno spirito incolto e grezzo (III.42); 
− la speranza e il desiderio: su tutto, il dominio della speranza e del desiderio: questo di guida, quella di scorta (III.45); 
− il caso, che fornisce elementi a giustificare l’esaltazione degli uomini: ai loro impulsi si fonde spesso, non meno vigoroso, quello del caso a sconvolgere l’animo umano: poiché talvolta crea dal nulla insospettate condizioni che esaltano alla sfida temeraria, quando, invece, le proprie facoltà precarie rammenterebbero la cautela (III.45); 
− un’impresa iniziata con mezzi insufficienti: nell’eccitazione della speranza, gli uomini si gettano allo sbaraglio (III.45). 

Tucidide non crede che gli uomini possano agire in modo razionale quando sono in gruppo, e per questo egli disprezza la folla, ricordando al suo lettore quanto facilmente sia dominata dalla “natura umana”: egli insiste sull’assenza di qualunque controllo, sulla variabilità degli umori della folla e sul suo rapido ed effimero attaccarsi agli entusiasmi iniziali. Inoltre, come ribadito ancora una volta da Diodoto nel suo discorso su Mitilene, in una città suscettibile alle lusinghe, succede che il timore annienta chi avrebbe mente e cuore per fornire assennati pareri (III.42) = le persone sagge non osano parlare per paura di essere calunniate ⇒ la folla è incapace di governarsi razionalmente, ma, d’altra parte, risulta essere estremamente difficile governarla anche per i singoli più razionali. 
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In politica, le azioni sagge sono possibili solo se c’è un leader razionale e politicamente disinteressato, in grado di opporsi agli umori della folla. Figura emblematica del leader “perfetto” è, nelle Storie, Pericle. È significativo il fatto che quando, parlando dell’esito finale della guerra, Tucidide mette a confronto Pericle e i suoi successori, egli insiste non sulle rispettive politiche estere, ma solamente sul rapporto col popolo: riguardo quanti vennero dopo di lui, si notava un sostanziale equilibrio di valori: e l’ambizione di primeggiare li trascinava a concedere agli estri della folla anche gli affari dello stato (II.65). Lo stesso modo in cui Tucidide presenta, di volta in volta, i successori di Pericle, oltre alle parole da loro pronunciate, non fa che confermare questa idea: 
− Cleone: Tucidide nota in lui in particolare 2 caratteristiche (III.36): la mancanza di moderazione personale (era il più violento tra i concittadini) e l’essere un demagogo (godeva presso il popolo il credito più assoluto) ⇒ date queste caratteristiche, non può di certo essere Cleone il leader in grado di dominare gli umori della folla, evitando di far cadere la città nella trappola della legge politica di cui ha parlato De Romilly. 
Il rifiuto della proposta di pace avanzata dagli Spartani nel Libro IV non fa altro che evidenziare ancora una volta la hybris insita nella folla e in Cleone, che non fa che guidarla verso la direzione già scelta in balia delle emozioni del momento (IV.21, questa direzione politica era caldeggiata principalmente da Cleone, il personaggio più autorevole in quel tempo del partito democratico e il più influente sulla moltitudine). 
− Alcibiade: nemmeno lui può, secondo Tucidide, essere un vero leader, dal momento che non è di certo più pronto di Cleone a sacrificare i propri interessi per il bene della città, né tanto meno più razionale di Cleone: in particolare, nel Libro VI, viene presentato con frasi che indicano esplicitamente i suoi desideri (il desiderio vivo di sopraffare Nicia) e la speranza (la speranza di ridurre in tal modo la Sicilia e Cartagine in suo potere) ⇒ come Cleone, anche Alcibiade non è per niente adatto a trattenere gli Ateniesi dal seguire le loro passioni. 

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Il conflitto saggezza-ambizione è centrale nella storia dell’imperialismo ateniese. Lasciando primeggiare la seconda, Atene è giunta, secondo Tucidide, al proprio fallimento: in Atene, la resa si delineò inevitabile solo quando, nel cuore della città, gli scontri tra le individuali smanie di potere ebbero consumata e arsa ogni energia (II.65) ⇒ la democrazia di Pericle era secondo Tucidide, il miglior regime, ma la democrazia senza Pericle è il peggiore regime che potesse sorreggere la città – almeno dal punto di vista, che più interessa Tucidide, della politica estera. Dal momento che figure come Pericle sono molto rare, accade spesso che il popolo non abbia un leader saggio che li guidi e li consigli ⇒ avanza il “regno della natura umana”, fatto di passioni e destinato al fallimento. Dunque, Tucidide è piuttosto pessimiste circa la possibilità che una riforma politica possa porre rimedio ai mali che scaturiscono dalla natura umana. 
È a questo punto che, secondo De Romilly, entra in gioco la terza legge, quella che definisce “filosofica”. 
3. LEGGE FILOSOFICA: Atene è forte e, ovviamente, usa la sua forza per dominare sugli altri. 

È, in pratica, la legge del più forte e, come la legge della hybris, viene ricavata attraverso l’analisi della natura umana, ed è enunciata spesso nelle Storie: 
− I.76: non fummo noi i primi a porre in vigore questa legge, ma è universale e perenne norma che il più debole sia suddito del più forte; 
− I.76: l’istinto proprio dell’uomo di dominare sugli altri; 
− IV.61: è universale e perenne impulso nell’uomo dominare chi si piega; 
− V.105: riteniamo infatti che nel cosmo divino, come in quello umano, urga eterno, trionfante, radicato nel seno stesso della natura, un impulso: a dominare, ovunque s’imponga la propria forza. È una legge. 

Anche questa legge, come la hybris, spinge gli uomini ad agire in maniera non del tutto razionale. 
Tuttavia, l’universalità della legge del più forte è conferita solo da coloro che la riconoscono e la osservano. Ma, ovviamente, non tutti l’accettano. Un chiaro esempio sono i Meli, “costretti” a parlare di giustizia in quanto deboli; oppure Pericle, che parla di gloria, che presume una sorta di disinteresse e moderazione. 
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Mentre la legge della hybris è riconosciuta da tutti, ma non è applicabile a tutti, la legge del più forte non è riconosciuta da tutti, ma chiunque la riconosce cerca di darle applicazione universale: secondo Tucidide, è questo l’atteggiamento adottato dall’imperialismo ateniese. 
In altre parole, ricordando che la hybris è una passione, non una legge, ne deriva che è possibile resisterle (almeno in teoria): la saggezza = la capacità individuale di controllare queste passioni, che portano a comportamenti irrazionali. 
La legge del più forte, invece, è, appunto, una legge ⇒ è una costante, alla quale nessuno può resistere. 
Spesso l’uso della forza può indirettamente portare al fallimento futuro, dal momento che può essere visto come un sintomo dell’eccesso, una predisposizione alla hybris. Questo, però, non significa che l’uso della forza sia un’inconsapevole forma di presunzione. È piuttosto paragonabile alla legge politica, in quanto crea l’opportunità all’errore, ma non ne è la causa diretta, né ciò che lo rende inevitabile. 
Certamente, Tucidide guarda alle azioni condotte in base alla legge del più forte con la stessa disapprovazione con cui guarda alla hybris; questo suo atteggiamento è chiaramente visibile nelle parole del Generale tebano Pagonda (IV.92, Atene ricordi! Sfoghi pure la sua passione di conquista sugli inermi che disertano a lotta di resistenza. Ma a chi la fierezza di spirito comanda sempre di mantenere a prezzo del sangue in libertà la propria terra e di non calpestare i diritti altrui a una vita sovrana, da quelli gli uomini d’Atene non si scioglieranno prima d’averne rudemente saggiata la volontà di lotta) o anche nella distinzione che Tucidide fa tra l’imperialismo guidato ancora da un ideale, come l’imperialismo di Pericle nel Libro I, e l’imperialismo che ha abbandonato ogni principio realista in politica, come quello di Cleone nel Libro V. 
NB: non bisogna però dimenticare che questa disapprovazione morale di Tucidide è del tutto indipendente dal suo personale giudizio politico. 
Atene si comporta esattamente come farebbe chiunque al suo posto e con la sua forza; la sua hybris non deve essere spiegata né in base alle circostanze che la rendono cieca alla realtà, né in base alle circostanze che le si oppongono: questa passione è dentro di lei, è parte della natura umane cui Atene permette di regnare e dominare su di lei, come una maestre sovrana. 
Di tutte queste leggi, all’interno delle Storie la più importante è sicuramente la “legge del più forte” = l’alternativa tra il dominare o l’essere dominati ⇒ per natura, il forte sottomette i deboli. Risulta allora chiaro perché ognuno cerchi di essere più forte degli altri, oltre a spiegare l’esistenza di quel timore generalizzato di cui si è tanto parlato, che non è altro il timore di essere assoggettati, se si è il più debole. Di qui tutte le misure che vengono intraprese per scongiurare questa eventualità. 
La presa violenta di Melo è appunto l’applicazione pratica di questa legge. 
Questo però non basta a conciliare la contrapposizione tra il diritto e la forza, che rimane una questione irrisolta: gli Ateniesi non dicono mai che il loro dominio è giusto, ma si limitano ad osservare che ciò avviene secondo natura. 
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Questo appunto permette a Tucidide di adottare un punto di vista amorale, ulteriormente rafforzato dall’idea di “necessità”, anánke, legata proprio alla legge naturale. 
Dice Tucidide che la guerra fu inevitabile (I.23), così come dice che Sparta e Atene furono costrette a sciogliere il patto concluso dopo dieci anni di lotta (= la Pace di Nicia) (V.25). Queste affermazioni indicano che la crescita dell’impero è condizione della sua sicurezza, ma, al tempo stesso, mina le basi della sua stessa sicurezza ⇒ la base su cui si poggia l’impero (la sua crescita) è anche il suo limite più grande, in una logica assolutamente ferrea: il timore da una parte aumenta il timore dall’altra, chi può deve ribellarsi, così come Atene deve impedire le ribellioni ⇒ non ha altra scelta che usare la forza. Così come gli Spartani sono costretti a dichiarare guerra ad Atene, il che non significa che la colpa della guerra è loro, ma che proprio la guerra era inevitabile. 
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Gli Stati hanno ovviamente una qualche libertà di scelta e di azione, ma, data la costanza della natura umana, ci si aspetta che, date alcune condizioni, si verificheranno certi comportamenti; in particolare, lo scoppio della guerra può essere spiegato attraverso questo meccanismo: 


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La legge del più forte viene ad assumere un ruolo causale centrale: il mondo è sottoposto a questa legge naturale, il che comporta certe implicazioni per chi fa parte di questo mondo. 

Volendo descrivere questa legge in termini più recenti, si potrebbe parlare di anarchia internazionale. Come è già stato detto, la legge del più forte vale per tutti – per gli uomini, per gli dei, per gli Stati, per gli animali – mentre l’anarchia internazionale è un concetto più circoscritto, in quanto si riferisce unicamente al sistema internazionale. Tuttavia, questi 2 concetti possono essere visti come funzionalmente sinonimi (= hanno gli stessi effetti), perché in entrambi i casi gli Stati temono per la propria sicurezza. 
Volendo fare un’analisi più precisa, si potrebbe dire che la legge del più forte fa da cornice strutturale entro la quale agiscono gli Stati, ma che, almeno per Tucidide, è valida per tutti, anche se all’interno delle città la presenza delle Costituzioni può cambiare la vita, che può dunque svilupparsi secondo le direttrici del diritto e secondo aspettative di ordine etico ⇒ anche in Tucidide è possibile trovare una qualche separazione tra “esterno” ed “interno”, dal momento che la legge del più forte si fa sentire in maniera più intensa nei rapporti tra Stati. 
Dunque, tutti gli Stati di una certa rilevanza, non solo Atene, avvertono una certa spinta verso la massimizzazione del proprio potere: chi può, cerca comunque di rafforzare la propria posizione: 
− Corinto ed Argo, dopo la pace di Nicia, pianificano la loro alleanza, sia perché diffidenti nei confronti di Sparta, sia perché entrambi – e in particolare Argo – sognano di diventare i nuovi padroni del Peloponneso (V.32, Corinzi e Argivi, ormai alleati, comparvero a Tegea con l’intento di farla sollevare contro Sparta. La vedevano occupare un vasto spazio del Peloponneso: se la inducevano dalla loro, il dominio sul Peloponneso era assicurato). Appena questo sogno egemonico svanisce, Argo e Corinto ridimensionano immediatamente la loro spinta all’espansione, passando al timore di rimanere isolati, tanto che immediatamente aprono le porte a Sparta; 
− Siracusa, appena giunta la notizia della spedizione Ateniese, Ermocrate afferma che “non tutto il male vien per nuocere”: infatti, così come la potenza ateniese è sorta dalla minaccia persiana, da questo rischio può partire il sogno siracusano di conquistare tutta la Sicilia; 
− Sparta, dopo il disastro siciliano di Atene, si riprometteva d’instaurare senza rischi la propria egemonia sul mondo greco (VIII.2). 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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