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Il rapporto tra R&S, innovazione e crescita


In letteratura vi è un ampio consenso sul fatto che R&S e innovazione tecnologica favoriscano la crescita economica (testimoniato da studi empirici a livello sia di impresa che di settore che di economia nazionale). Gli economisti considerano oggi il cambiamento tecnologico come elemento endogeno che condiziona, ed è condizionato, dal mercato (in passato lo vedevano come esterno al mercato).
In alcuni Paesi il tasso medio di ritorno sull’investimento in R&S è superiore a quello dell’investimento in capitale fisico e macchinario. Uno studio Ocse mostra che a fronte di un aumento dell’1% di investimento in R&S delle imprese si avrebbe un aumento dello 0.13% della produttività totale del Paese, e a fronte dell’aumento sempre dell’1% della spesa pubblica in R&S si avrebbe un aumento della produttività dello 0.17%. inoltre è dimostrato che più si investe in R&S e più si riesce ad avvantaggiarsi dell’assorbimento di tecnologie estere (l’assorbimento è consentito solo da un elevato accumulo di conoscenze).
La capacità innovativa nazionale (produrre e commercializzare nuove idee in modo continuativo nel tempo) dipende dalla presenza di laboratori, ricercatori, progetti e, soprattutto, domanda di innovazione che premi gli innovatori di successo. Ciò richiede domanda ampia e in crescita, contesto favorevole all’investimento, acquirenti pionieri che facciano da battistrada agli altri e siano disponibili a pagare per l’innovazione, efficace sistema di proprietà intellettuale, sufficiente grado di concorrenza.
Le nuove conoscenze con valenza commerciale non sono solo il risultato della sola azione di individui creativi, ma anche dell’interazione e dei processi di apprendimento tra i vari attori del sistema di innovazione, cioè produttori, utilizzatori, fornitori, autorità pubbliche, istituzioni scientifiche.
L’innovazione si sviluppa secondo un “modello lineare”, progressivo, che prevede: ricerca, sviluppo, progettazione, ingegnerizzazione, produzione. Scorrendo lo schema da sinistra a destra, l’innovazione scaturisce dalle scoperte che la ricerca mette a disposizione della società (science push); scorrendo da destra a sinistra, la spinta scaturisce dalla percezione che il mercato ha bisogno di nuovi prodotti e servizi (demand pull). Questa linearità giustifica la centralità della R&S come motore dell’attività innovativa. Critiche al modello: le fasi non sono separate e in successione temporale, bensì ricche di forti interazioni; troppa enfasi alla R&S mettendo in secondo piano gli altri elementi (ugualmente importanti). Negli ultimi anni si è affermato il “modello a catena” (Stephen Kline e Nathan Rosemberg), che si sviluppa su tre livelli interconnessi: la progettazione (mercato potenziale, invenzione/progettazione analitica, progettazione dettagliata e test, riprogettazione e produzione, distribuzione e mercato), effettuata dall’impresa con le conoscenze dei propri tecnici, e che prevede la possibilità di tornare a stadi precedenti per superare possibili difficoltà; conoscenze scientifiche e tecnologiche, a cui si fa ricorso qualora le conoscenze dei tecnici dell’impresa non siano sufficienti; R&S, all’interno dell’impresa o commissionata all’esterno, quando la conoscenza di cui si necessita non è disponibile nemmeno al secondo livello.

Tratto da TECNOLOGIA, PRODUZIONE E INNOVAZIONE di Moreno Marcucci
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