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L’impero è necessario e bello

L’impero è necessario e bello

L’Impero è ingiusto, ma mantenerlo è utile, perché abbandonarlo sarebbe rischiosissimo. 
Il desiderio di gloria ed onore è sì importante (cap.64), ma viene prima l’utile, cioè il mantenimento dell’Impero e la sicurezza della città. 
Nel capitolo successivo, Tucidide esprime il suo famoso giudizio su Pericle. Sebbene Tucidide sia un oligarchico, egli ha comunque grande considerazione di Pericle, che, con la sua politica, fu in grado di consolidare la potenza ateniese in tempo di pace (cap.65, il periodo contrassegnato dalla sua attività di governo in tempo di pace, ne mise in luce l’equilibrio politico e la fermezza con cui seppe tutelare gli interessi dello stato, che nelle sue mani crebbe in potenza). Secondo Tucidide, Pericle era un grande uomo politico, perché era molto autorevole per la considerazione che lo circondava e per l’acume politico e per la condotta limpidamente pura dal minimo dubbio di corrutela venale, dirigeva il popolo nel rispetto della sua libera volontà. Dominava senza lasciarsi dominare (cap.65) (i suoi successori, Cleone in particolare, il quale incarna la figura del demagogo, ma anche Alcibiade, pur avendo le caratteristiche di grandi leader, non furono in grado di dominare senza lasciarsi dominare, cavalcando invece le passioni popolari) ⇒ cap.65, nominalmente, vigeva la democrazia: ma nella realtà della pratica politica, il governo era saldo nel pugno del primo cittadino. 
Cap.65, dopo la sua scomparsa si comprese di che acuta sagacia egli fosse munito nei riguardi della guerra. Aveva predetti i principi che avrebbero assicurato il successo finale ad Atene: 
- non lasciarsi trascinare dall’orgasmo 
- dedicare ogni cura alla flotta 
- non tentare di ampliare i confini nel periodo di guerra. 

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Tucidide fa capire che, se Pericle non fosse morto o se gli Ateniesi avessero messo in atto i suoi suggerimenti, molto probabilmente Atene avrebbe vinto la guerra. Invece, gli Ateniesi stabilirono una condotta del tutto opposta, tanto che la resa si delineò inevitabile solo quando, nel cuore della città, gli scontri tra le individuali smanie di potere ebbero consumata e arsa ogni energia ⇒ venuto meno Pericle, viene meno, secondo Tucidide, anche la coesione interna della città. Questo, ancora una volta, sottolinea l’importanza che il leader non sia solo grande e capace, ma soprattutto che sia un primo cittadino. 
− capp. 66-70 – La caduta di Potidea 


In questi capitoli si conclude l’episodio cominciato nei capp.56 e successivi del I Libro. A questo punto, si rivelò impossibile per quelli di Potidea, accerchiati dall’assedio, insistere nella resistenza (cap.70). Gli Ateniesi prendono la città senza eccessive punizioni, stipulando un accordo, in base al quale gli abitanti sarebbero usciti da Potidea per recarsi nella Calcidica (cap.70). 
In seguito, gli Ateniesi sottoposero gli strateghi a uno stato d’accusa, in quanto credevano che fosse possibile imporre a Potidea una resa senza condizioni (cap.70). Questo passo è significativo, perché dà prova di quanto già affermato dai Corinzi, e cioè che gli Ateniesi non si accontentano mai, vogliono sempre di più. Anche in questo caso, infatti, di fronte al successo della presa di Potidea, avrebbero voluto ottenere un successo ancora più grande (una resa incondizionata) ⇒ criticano gli strateghi e i generali, perché hanno negoziato una resa in base a certe condizioni. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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