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La consulenza tecnica


Da un’attenta esegesi della disciplina qui di seguito riportata, la dottrina tradizionale ritiene che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, bensì è un mero eventuale procedimento di ausilio al giudice a quo che, nell’ambito della fase d’istruzione probatoria, gli fornisce elementi di valutazione dei mezzi di prova e, più in generale, di accertamento dei fatti. In altre parole, è un mero strumento di integrazione delle conoscenza del giudice a quo, per quanto concerne l’accertamento dei fatti!
A sostegno di questa tesi sapienzale, mentre, sino al CPC ottocentesco, l’ottica del legislatore era incentrata sulla perizia, intesa come mezzo di prova - quale termine ancora oggi utilizzato, insieme al parallelo termine perito, entro il CPP, nell’ambito del processo penale -, nel CPC del 1942 si pone molto l’accento sulla figura del consulente tecnico, inteso come ausiliario eventuale del giudice a quo - quale termine sostitutivo del precedente termine perito -, e non più sulla consulenza tecnica, intesa come mezzo di prova!
Allo stesso tempo, questa tesi dottrinale emerge dal fatto che la disciplina dell’attività del consulente tecnico è collocata sistematicamente sia nel Capo III del Titolo II del Libro I CPC, ove il legislatore CPC regola, in via generale, le varie figure di ausiliari del giudice a quo; sia negli ARTT. 191 - 201 CPC, riguardo il procedimento vero e proprio di consulenza tecnica, che, pur essendo collocate entro la Sezione III del Capo II del Titolo I del Libro II CPC, intitolata “Dell’istruzione probatoria”, precedono il gruppo di norme inerenti la disciplina generale dell’assunzione dei mezzi di prova costituendi. A quest’ultimo proposito, un autore ha parlato di disciplina del consulente tecnico “nel vestibolo” delle norme sui mezzi di prova!
Secondo la prof.ssa, tuttavia, quest’orientamento dottrinale tradizionale non è più al passo con la disciplina; infatti, post LEGGE N. 69 DEL 2009, l’ottica del legislatore CPC si è nuovamente spostata verso l’ottica della consulenza tecnica come mezzo di prova: in modo più realistico e meno astratto, ora il legislatore CPC parla di formulazione di quesiti da parte del giudice a quo entro l’ordinanza di nomina del consulente tecnico EX ART. 191.1 CPC, e di relazione scritta del consulente tecnico al temine della propria attività EX ART. 195 CPC. Infatti, vi sono dei casi in cui dall’espletamento della consulenza tecnica sono ricavati dei veri e propri elementi conoscitivi di prova, alla base del convincimento del giudice a quo! È il caso della prova del DNA nell’ambito delle azioni civili di riconoscimento e/o di disconoscimento di paternità.
Come si è già detto, il consulente tecnico è un ausiliare eventuale del giudice a quo: EX ART. 61.1 CPC è stabilito che «QUANDO È NECESSARIO, IL GIUDICE PUÒ FARSI ASSISTERE, PER IL COMPIMENTO DI SINGOLI ATTI O PER TUTTO IL PROCESSO, DA UNO O PIÙ CONSULENTI DI PARTICOLARE COMPETENZA TECNICA»: il consulente tecnico compie la propria attività tecnico-cognitiva, in relazione all’accertamento dei fatti e, perciò, alla valutazione dei mezzi di prova, dato che, mentre la legittimazione all’applicazione delle norme di diritto risiede nella preparazione tecnico-giuridica del giudice a quo, in quanto giurista - motivo per cui iura novit curia -, il giudice non ha una preparazione tecnico-scientifica! In particolare, EX ART. 62 CPC è stabilito che «IL CONSULENTE COMPIE LE INDAGINI CHE GLI SONO COMMESSE DAL GIUDICE E FORNISCE, IN UDIENZA E IN CAMERA DI CONSIGLIO, I CHIARIMENTI CHE IL GIUDICE GLI RICHIEDE […]».
ESEMPIO: Nell’ambito di una causa di risarcimento del danno conseguente ad un incidente stradale, la determinazione della velocità dell’autoveicolo del soggetto convenuto in giudizio a partire dal fatto secondario della lunghezza della frenata è una tipica ipotesi in cui il giudice a quo si avvale dell’ausilio del consulente tecnico, il quale, quindi, compie un’indagine riguardo alle modalità di svolgimento dell’incidente stradale.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE CIVILE di Luisa Agliassa
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