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I versi di Angelica - Ludovico Ariosto

I versi di Angelica - Ludovico Ariosto


Le quattro ottave successive sono dedicate largamente al motivo del locus amoenus che così spesso appare nei poemi cavallereschi come riposo, ristoro e nascondiglio. Non è tanto il prevalere del descrittivo sul narrativo (quattro ottave contro due), quanto l'esigenza di una pausa, forse prima dell'autore che del personaggio. La descrizione del boschetto in cui si rifugia Angelica è una delle tante luminose riuscite del poema e conviene sostare soprattutto sull'ottava 35, a scansione sintattica lenta: non più 6 +2 ma 2 + 4 + 2.
Confrontando le versioni A e B con C notiamo come le correzioni siano state fondamentali. Con esse Ariosto ha cambiato il regime verbale, passando da Trovasi e facean a Trovossi e fan.
Dunque la successione verbale è graduata in un passato remoto evenemenziale e risultativo: al fine (a indicare il passaggio dalla fuga alla sosta) e due presenti atemporali (muove e fan) rincalzati da sempre per disegnare il luogo come fosse una primavera eterna; un imperfetto di durata (rendea) a indicare il protrarsi della risonanza sentimentale dell'ambiente riposante che prova Angelica.
Anche la quartina dei vv. 5-8 è stata soggetta a radicali modifiche. Essa è tutta percorsa dall'allitterazione fonosimbolica sulla r, che si lessicalizza in mormorando, rotto, correr, introducendo al v.7 una e come morbido segnale di raccoglimento e conclusione e disponendo nel agli estremi del verso finale rotto e lento che determinano il correr. Una impalcatura che è una sorta di correlato oggettivo della corsa in fuga di Angelica e del suo placarsi. Da segnalare poi il passaggio dalle sensazioni visive e tattili (vv 1-6) a quelle auditive (vv. 7-8).
I primi quattro versi delle ottave 36 – 38 sono una amplificazione dei versi 5-8 dell'ottava 35, e lo rivelano le riprese verbali. L'ottava 37 è stata particolarmente rilavorata dall'Ariosto, in sei versi su otto. Le correzioni qui si spiegano in genere puntualmente: l'eliminazione del cavallo toglie la ridondanza col palafren; la voltura di spin in prun è dovuta a dissimilazione rispetto alla nativa spina dell'ottava 42,2. Guardando nell'assieme il boschetto ameno si specifica in un sottomotivo, il luogo cavo protetto dal sole, la grotta che ha tanti riscontri nella pittura del tempo e in particolare con temi della Natività e delle Tentazioni di San Girolamo.
Notare come nei primi quattro versi dell'ottava 38 il tenere erbette prepari con la sua tattilità il bellissimo ivi si corca, e t ivi s'addormenta, la cui dolce placidità deve molto alla replicazione di ivi e allo stesso isolamento sintattico dell'endecasillabo.
Giunge in questo frangente un nuovo personaggio, il guerriero pagano Sacripante, ereditato anch'egli da Boiardo e anch'egli innamorato di Angelica. All'inizio egli si riposa un po', poi credendo a torto che Angelica abbia fatto sesso con Orlando, si perde in lamenti, uditi da Angelica, di cui egli non vede la presenza. Le dolenti effusioni del saracino sono presentate da Ariosto in chiave decisamente parodistica: iperboli (par cangiato in insensibil pietra; pensoso più di un'ora a capo basso il cui tasso ironico è aumentato dall'appello al cardinale Ippolito ch'avrebbe di pietà  spezzato un sasso; tal ch'un ruscello / parean le guancie, e 'l petto un Mongibello). Forti anche gli echi petrarcheschi: 'l cor m'aggiacci et ardi; rode e lima; che debbo far...?
Notare anche come il lamento stizzito di Sacripante è costituito da un linguaggio tutt'altro che cortese, dato che indica il corpo rigoglioso di Angelica come spoglia opima, per non parlare delle allusioni al frutto e al fiore.
Eppure l'Ariosto non è un realista dell'Ottocento, e allora il soldataccio divente, nelle famosissime ottave antirealistiche della rosa, un puro portavoce dell'autore, e tanto più lo è dato che la fonte sicura delle ottave 42 e 43 è Catullo, opportunanemte rivisto e dinamizzato.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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