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Il concetto di verità secondo Popper

Il concetto di verità secondo Popper



Popper pone accanto a Platone filosofi moderni come Hegel e Marx. Anche loro, infatti, pretendono di fondare la politica su una verità: nel caso di Hegel, la verità della storia (la storia è una manifestazione della volontà di Dio e gli uomini sono solo degli strumenti) che si realizza provvidenzialmente anche oltre le intenzioni degli uomini che la fanno, in virtù di quella che egli chiama l’astuzia della ragione. Nel caso di Marx, la rivoluzione mediante la quale il proletariato espropriato, alienato e per anche capace di cogliere la verità senza i veli dell’interesse da cui nasce l’ideologia, ricostituirà la totalità, cioè la verità profonda, dell’essenza umana superando la divisione sociale del lavoro e il dominio dell’uomo sull’uomo.
Se si dà ragione a Popper, risulta che la verità stessa è nemica della società aperta e soprattutto di ogni politica democratica. Ma nella stessa dottrina di Popper non è stata superata davvero la concezione della verità come oggettività, cioè come corrispondenza della rappresentazione a un ordine reale che s’impone alla ragione e al quale deve conformarsi.
Secondo Vattimo, finché si pensa la verità come corrispondenza a un dato oggettivamente presente, il rischio del platonismo politico sussiste sempre. Ovviamente Popper non è il responsabile del disastro iracheno. Ma proprio la contraddizione della democrazia esportata con la forza e addirittura con la guerra preventiva ci mettono oggi di fronte alla necessità di ripensare criticamente il rapporto tra politica e verità.
Secondo Heidegger, invece, non solo scompare il mondo vero ma viene sostituito dal mondo dell’organizzazione tecnologica e della razionalizzazione industriale dove anche l’uomo diventa puro oggetto di manipolazione, ciò dipende proprio dall’errore metafisico di aver immaginato la verità come corrispondenza e l’essere come oggetto. In altre parole, se si parte dalla dottrina platonica delle idee, per la quale la verità è un ordine stabilito dato, a cui il soggetto deve conformare le proprie rappresentazioni, si arriva al mondo del dominio tecnologico incondizionato.
Ritornando a Nietzsche e alla constatazione del carattere interpretativo della realtà, si vede fondare anche la critica dell’ideologia di Marx. L’ideologia, infatti, è un’interpretazione – non solo di un individuo ma di una classe – inconsapevole di essere tale e che proprio per questo si crede verità assoluta. In generale, tutta quella che è chiamata la scuola del sospetto (Nietzsche, Marx e Freud) è una grande variazione sul tema del carattere interpretativo di ogni esperienza della verità.
Inoltre, quando siamo invitati a prendere atto che “non ci sono fatti, bensì interpretazioni”, ci sentiamo immediatamente come perduti, senza terreno sotto i piedi, e reagiamo per lo più in modi nevrotici, come affetti da un attacco di agorafobia, di paura dello spazio libero e incerto che si apre di fronte a noi.

Tratto da LE CORRENTI DI PENSIERO CONTEMPORANEE di Gabriella Galbiati
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Popper