Introduzione 
 
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INTRODUZIONE 
La specie asinina ha da sempre rappresentato un elemento caratteristico della 
zootecnia di molte aree marginali dell’Italia centro meridionale, ed in più l’interesse 
verso le proprietà dietetico-nutrizionali del latte di asina, la sua somiglianza con 
quello materno, dimostrate da numerose evidenze scientifiche, ha portato, negli anni 
recenti, ad una riscoperta di questa specie animale. 
 La produzione di latte d’asina presenta prospettive di mercato molto 
interessanti e può costituire una scelta innovativa nelle aree in cui le tradizionali 
tecniche produttive non consentono una sufficiente integrazione del reddito agricolo. 
Negli ultimi anni si sta assistendo ad un processo di rivalutazione di tale animale 
dovuto ai recenti studi relativi al possibile impiego del latte d’asina come alimento 
per neonati e bambini affetti da allergie alle proteine del latte vaccino (APLV; Iacono 
et al., 1992; Carroccio et al., 2000; Iacono et al., 2006), che rappresentano circa il 
10% del totale dei bambini. Il latte d’asina, inoltre, presenta caratteristiche 
particolarmente vantaggiose per gli anziani o per tutte le persone affette da problemi 
cardiovascolari o immunologici. 
 Il latte d’asina è considerato ormai un ottimo alimento per numerose categorie 
di consumatori, in considerazione dell’elevata digeribilità, del contenuto in vitamine, 
in sali minerali, proteine e zuccheri ad elevato valore biologico. Tuttavia, l’aspetto 
che ha destato maggiore interesse verso questo alimento è il suo profilo biochimico, 
del tutto simile a quello del latte materno (Salimei et al., 2001; Conte et al., 2003; 
Salimei e Chiofalo, 2006). Proprio per questo motivo, e soprattutto per il contenuto 
in lattosio, è il latte che molti pediatri indicano come valida alternativa al latte 
materno.  
 La destinazione, anche di piccole quote di latte d’asina, ad una delle categorie 
di consumatori cosiddette “a rischio” induce a richiedere alcune indicazioni, che 
potrebbero acquisire la connotazione di linee guida, ai fini del controllo igienico-
sanitario di questo importante prodotto. Fino al 2006, tuttavia, il latte d’asina non era 
inquadrato giuridicamente se non da un datato decreto del 1929. Il DPR n. 54/97, 
relativo alla produzione e commercializzazione del latte, considerava esclusivamente 
il latte vaccino, bufalino ed ovi-caprino. Con l’entrata in vigore del “Pacchetto 
Igiene” il vuoto legislativo è stato in parte superato. Inoltre, con l’allargamento 
dell’Unione europea a Stati con tradizioni alimentari diverse da quelle usuali e 
convenzionali, si è inteso salvaguardare l’utilizzo di fonti proteiche derivate da latte
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diverso da quello bovino o ovi-caprino. Il Regolamento (CE) n. 853/2004, infatti, 
considera oltre a quello vaccino, bufalino ed ovi-caprino, il latte di “altre specie 
animali” dettandone i requisiti igienico-sanitari, al momento ancora generici per tutte 
le specie che si possono definire “minori”. 
 Attualmente, il problema della commercializzazione del latte di asina rimane 
irrisolto e si sottolinea la mancanza di una normativa che regolamenti tutta la filiera, 
dalla produzione, al confezionamento e alla vendita del prodotto. 
 La ridotta carica microbica del latte alla mungitura e l’elevato contenuto in 
lisozima rendono il latte di asina un prodotto con elevata shelf-life (Sorrentino et al., 
2005). Tuttavia, l’individuazione di idonei e specifici sistemi di conservazione del 
latte, oltre a tutelare la salute del consumatore, apporterebbe notevoli vantaggi ai fini 
della commercializzazione. L’aumento della shelf-life del latte consentirebbe una 
costante disponibilità commerciale del latte, superando la stagionalità dell’offerta 
legata all’epoca dei parti e quindi della lattazione. 
 La disidratazione, che consiste nell’abbassare notevolmente i valori di attività 
dell’acqua per rendere minimo il rischio microbico, è indubbiamente un metodo 
efficace per la conservazione dei prodotti alimentari, dal momento che non implica 
severi trattamenti termici e permette lo stoccaggio degli stessi a temperatura 
ambiente. Ciò che permette di distinguere la disidratazione dalla concentrazione è il 
livello finale di acqua. La concentrazione lascia un prodotto allo stato liquido, 
mentre, nella maggior parte dei casi, la disidratazione genera un prodotto con livelli 
di acqua sufficientemente bassi da conferirgli caratteristiche solide. 
 Uno dei problemi dei prodotti disidratati è che alla reidratazione presentano 
un aroma differente dall’originale. Durante il processo vengono eliminate, 
generalmente, le componenti aromatiche più volatili dell’acqua. Inoltre, la velocità 
delle reazioni chimiche aumenta con l’incremento della temperatura di processo; 
questo può generare caratteristiche aromatiche indesiderate. Ad esempio, la Reazione 
di imbrunimento di Maillard (tra zuccheri riduttori e proteine) è velocizzata ad 
elevate temperature dando origine a spiacevoli odori di cotto e colori brunastri. Lo 
sviluppo di colorazioni anomale è, infatti, uno dei problemi più importanti legati al 
trattamento e allo stoccaggio di alimenti disidratati. Ad ogni modo, la gravità di 
questi cambiamenti dipende da molteplici fattori, quali la conduzione del processo, in 
termini di tempo e temperatura, e del tipo di essiccatore utilizzato.
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Alcuni tipi di essiccatori possiedono caratteristiche tecniche tali da ottenere un 
prodotto di qualità superiore alla reidratazione. Esistono molti tipi di essiccatori, la 
maggior parte dei quali si adatta bene a diversi prodotti alimentari.  
 Nel presente lavoro di tesi prenderò in considerazione un particolare tipo di 
impianto utilizzato nell’industria lattiero-casearia: lo Spray dryer. 
Nell’essiccamento spray, il latte, previa concentrazione o tal quale, viene nebulizzato 
in minutissime goccioline che entreranno in contatto con aria calda all’interno di una 
camera in acciaio, detta camera di atomizzazione. Il prodotto viene così trasformato 
in polvere, con caratteristiche che dipenderanno dalla conduzione del processo. 
 Il lavoro svolto nella presente tesi ha, così, lo scopo di ricercare le condizioni 
operative ottimali, al fine di ottenere un prodotto dalle caratteristiche chimico-fisiche 
simili al prodotto di partenza e limitare il danno termico sulle componenti più 
preziose. “Ottimizzare” vuol dire: “condurre qualsiasi operazione tecnologica in 
modo tale da conseguire l’effetto voluto in maniera puntuale e selettiva, 
minimizzando gli effetti dannosi collaterali, non voluti, che fatalmente si 
accompagnano all’operazione.” 
 In particolare, prenderò in considerazione la variazione di lisozima che 
avviene durante la trasformazione del latte in polvere, come valutazione del danno 
termico subito dal prodotto stesso. La concentrazione di questo particolare enzima 
nel latte è di circa 1 g/L. Inoltre, ai fini della ricerca delle specifiche condizioni di 
processo, prenderò in considerazione anche l’abbattimento della carica microbica 
nelle varie tesi sviluppate.
Il latte d’asina 
 
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1. IL LATTE D’ASINA 
Alimento completo per eccellenza, il latte di asina è da considerarsi il più simile in 
composizione e caratteristiche al latte materno. Per questo motivo si ricorre 
all’utilizzo del latte d’asina nei casi in cui non si abbia possibilità, da parte della 
mamma, di allattare al seno il bambino a causa di intolleranze al latte stesso, al latte 
vaccino o ai composti solubili derivanti da esso, al latte di capra o di pecora. 
Con il latte d’asina si riduce a livelli molto bassi il rischio di allergie o 
intolleranze, permettendo al bambino lo sviluppo di un sistema immunitario 
completo, senza correre il rischio di deficienze nutrizionali e reazioni allergiche 
proprie dei più comuni tipi di latte e derivati. Grazie alla marcata presenza nel latte di 
asina di lattosio si ha la garanzia di una valida mineralizzazione delle ossa del 
bambino durante le fasi della sua crescita. 
Oltre all’utilizzo per i bambini, il latte d’asina, grazie alla presenza di 
sostanze probiotiche, è indicato per le persone debilitate o anziane che traggono 
benefici per l’assorbimento intestinale del calcio, prevenendo la patologia 
dell’osteoporosi che si accentua in età avanzata. 
 Pertanto, la conoscenza degli aspetti quantitativi e qualitativi della produzione 
di latte asinino, oltre a considerarsi essenziale per la stima dei fabbisogni nutrizionali 
della fattrice e del puledro, potrebbe anche rivestire un notevole interesse pratico ed 
economico nell’alimentazione umana. In questa direzione, di grande interesse si 
rivela il quadro puntuale e aggiornato sulle peculiarità dei componenti della frazione 
lipidica di questo particolare tipo di latte. 
 Qualora il latte materno non fosse disponibile, non esiste al momento attuale 
una formula completa, tale da essere considerata di prima scelta nella terapia 
dell’allergia alle proteine del latte vaccino.
Il latte d’asina 
 
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1.1 CARATTERISTICHE DEL LATTE D’ASINA 
Il vero punto di forza del latte d’asina è il suo profilo biochimico, molto prossimo a 
quello del latte umano. Tra le caratteristiche più importanti si evidenzia il 
quantitativo di lattosio, il profilo proteico (idoneo alle condizioni di un lattante) e il 
quantitativo in ceneri. Altre componenti fondamentali del latte d’asina sono il 
lisozima e gli acidi grassi della serie omega-3 e omega-6, di cui si discute in maniera 
più approfondita in seguito. La composizione tipica del latte d’asina e di altri tipi di 
latte può essere efficacemente riassunta nelle seguenti tabelle: 
 
Tabella 1. Caratteristiche del latte d'asina (valori espressi in g/100g) rispetto a latti provenienti 
da altre specie. 
 
* In % frazione proteica (fonte Guo 2006, Souci 2008) 
 
Tabella 2. Composizione percentuale media (g/100 ml) riscontrata nel latte d’asina, comparata 
con altre specie lattifere e con alcuni alimenti per l’infanzia sostitutivi del latte materno 
(formula iniziale e latte di proseguimento). 
 
 
Come si può evincere dalle tabelle, il latte d’asina presenta un residuo secco di poco 
inferiore al 10% con valori di grasso molto bassi e un apporto proteico equilibrato se 
 Asina Donna Cavalla Mucca 
pH 7-7,2 7 - 7,5 7 - 7,2 6,6 - 6,8 
Proteine 1,5-1,8 0,9 - 1,7 1,5 - 2,8 3,1 - 3,8 
Grassi 0,3-1,8 3,5 - 4 0,5 - 2 3,5 - 3,9 
Lattosio 5,8-7,4 6,3 - 7 5,8 - 7 4,4 - 4,9 
Vitamina C 2 6,5 15 1,7 
Lisozima * 13,1-15,4 3 - 4 5,3 tracce
Il latte d’asina 
 
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confrontato con quello della specie umana. Molta somiglianza tra il latte d’asina e 
quello materno si trova anche nella frazione proteica, dove le percentuali di caseina e 
albumine quasi si eguagliano. 
 
Tabella 3. Composizione media della frazione proteica del latte di specie differenti. 
 
 
 
1.1.1 LATTOSIO 
Il lattosio è un disaccaride ed è anche noto come “zucchero del latte”. La molecola 
del lattosio è costituita da glucosio e galattosio e il suo nome chimico è β-
galattopiranosil-glucopiranosio. Si ricava dal latte per evaporazione del siero che si 
ottiene dopo la separazione del grasso e la precipitazione della caseina. Le elevate 
percentuali di lattosio nel latte d’asina (ca. 7%) ne giustificano l’utilizzo a livello 
industriale. Al lattosio viene attribuito un ruolo fondamentale nel metabolismo del 
calcio, in quanto aumenterebbe l’assorbimento del minerale in prossimità della 
mucosa intestinale (Iacono et al., 1992) come dimostrato nel ratto e nell’uomo 
(Aguggini et al.). Questo disaccaride avrebbe un ruolo prebiotico dimostrandosi un 
perfetto substrato per il corretto sviluppo della flora lattica intestinale. 
 
 
1.1.2 ACIDI GRASSI 
Nel latte d’asina, la frazione lipidica presenta livelli elevati di acidi grassi essenziali. 
Un acido grasso viene definito “essenziale” quando l’organismo ne produce solo 
piccole quantità o addirittura non ne produce affatto. Per questa ragione, gli acidi 
grassi devono essere assunti per mezzo dell’alimentazione quotidiana oppure sotto 
forma di supplementi appropriati, a seconda dei casi.
Il latte d’asina 
 
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Gli acidi grassi presenti nel latte d’asina sono, per eccellenza, l’acido linoleico e 
l’acido linolenico con struttura, rispettivamente, C18:2 e C18:3. L’acido linoleico 
(omega 6) e linolenico (omega 3) rappresentano rispettivamente l’8,15% e il 6,32% 
degli acidi grassi totali. Proprio l’apporto di acidi grassi essenziali polinsaturi 
conferisce al latte d’asina una decisa superiorità rispetto al latte vaccino, con solo il 
2,9% di acidi grassi totali, avvicinandolo al latte materno, con l’11,3% in media di 
acidi grassi totali. (Pubblicazione INRA, istituto nazionale francese di studi di 
agronomia, edizioni: G Freud). Questi acidi grassi si ritrovano nel latte d’asina con 
percentuali più alte rispetto ai ruminanti, presumibilmente per l’assenza di 
idrogenazione, fenomeno biochimico proprio dell’attività ruminale (Chiofalo et al.). 
Recenti studi cercano persino di provare il ruolo benefico degli acidi grassi nella lotta 
contro la comparsa della malattia di Alzheimer e di alcune forme di cancro. 
Gli acidi grassi polinsaturi svolgono numerose funzioni tra le quali: 
 entrano nella composizione delle membrane cellulari, dove svolgono un ruolo 
dinamico-funzionale sulla fluidità e sulla permeabilità; 
 partecipano alla modulazione dei segnali cellulari; 
 influenzano l’ossidazione e il trasporto del colesterolo, riducendone le 
concentrazioni; 
 agevolano l’attività enzimatica e la produzione di sostanze biologicamente 
attive; 
 sono coinvolti nella produzione delle prostaglandine, le quali giocano un ruolo 
in numerose funzioni dell’organismo (sintesi di ormoni, immunità, 
vasocostrizione, regolazione del dolore e dell’infiammazione); 
 proteggono il sistema cardiovascolare ed evitano l’accumulo dei grassi più 
pericolosi; 
 sembrano contribuire alla prevenzione della trombosi (formazione di coaguli). 
 
 
1.1.3 LISOZIMA 
Il lisozima, scoperto da Alexander Fleming nel 1922, è un enzima ad azione 
batteriolitica presente in diversi liquidi biologici (sangue, latte, saliva e secreto 
lacrimale) sia degli animali che dell’uomo. Si trova in concentrazioni elevate anche 
nell’albume dell’uovo.
Il latte d’asina 
 
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Dal punto di vista chimico, il lisozima è un piccolo enzima costituito da 129 
aminoacidi e si tratta di una glicosidasi, nota anche come muramidasi, in grado di 
idrolizzare il peptidoglicano, polisaccaride che rappresenta la componente principale 
della parete cellulare batterica. Questa molecola risulta costituita da unità alternate di 
acido N-acetilmuramico e N-acetilglucosamina legate tra loro da legami alfa 1-4-
glicosidici.  
 
 
Figura 1. Rappresentazione del legame , 1-4 glicosidico idrolizzato dal lisozima. 
 
Il lisozima realizza la propria azione batteriolitica catalizzando la rottura del legame 
glicosidico che vede impegnato l’atomo di carbonio in posizione 1 dell’acido N-
acetilmuramico con l’atomo di carbonio in posizione 4 dell’N-acetilglucosamina 
(Streyer L., 1996). L’azione litica espressa dal lisozima, per quanto efficace su 
numerosi germi patogeni e non, risulta massima nei confronti di Micrococcus 
lysodeikticus o Micrococcus luteus e questa caratteristica può essere sfruttata per 
evidenziarne la presenza e la concentrazione in determinati liquidi biologici. 
 A livello quantitativo, i dati disponibili sembrano piuttosto limitati: 
Hatzipanagiotou et al. (1998), attraverso misure di attività, hanno verificato 
variazioni quantitative nel corso della lattazione; secondo Greppi et al. (1996) il latte 
equino contiene maggiori quantità di lisozima (0.99 g/L) rispetto a quello asinino 
(0.76 g/L); secondo quanto riportato da Solaroli et al. (1993) per il latte di cavalla, la 
concentrazione presenta ampie variazioni (tra 0.4 e 1 g/L). Secondo alcuni studi 
(Salimei et al.), il titolo di lisozima nel latte d’asina, valutato mediante metodo 
elettroforetico e analisi quantitativa, mediante analizzatore di immagini su gel, è 
risultato essere mediamente pari a 1,5 g/L mentre, utilizzando altre metodiche, risulta 
pari a 4 g/L (Coppola et al. 2002).
Il latte d’asina 
 
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Dal latte d’asina, utilizzando opportune metodiche, si può ricavare il lisozima per 
impiegarlo: 
 nell’industria farmaceutica: come coadiuvante nelle turbe dispeptiche e 
gastroenteriche del lattante (LISOZIMA SPA PEDIATRICO), come 
coadiuvante nella terapia dell’Herpes Simplex e di processi flogistici 
(LISOZIMA SPA), come decongestionante della mucosa nasale (NARLISIM 
GOCCE PEDIATRICHE); 
 nell’industria alimentare: come stabilizzante nella conservazione degli 
alimenti. 
 
Il lisozima del latte di asina mostra la sua massima attività ad una temperatura 
ottimale di 37°C. L’attività del lisozima si mantiene stabile (circa 100%) fino ad una 
temperatura di 50°C. Alla temperatura di 65°C il lisozima conserva ancora il 90% di 
attività, a 70°C l’attività è ridotta al 50% e oltre i 90°C tende allo 0%.  
 Il lisozima è considerato un valido conservante nei confronti di molti prodotti, 
quali frutta fresca e vegetali, carne, tofu (caglio di semi di soia), prodotti ittici e vino. 
Si ritiene che sia tale enzima che conferisce al latte di asina la peculiarità di 
conservare a lungo inalterate le proprie caratteristiche organolettiche e 
microbiologiche. In modo particolare, in associazione con la lattoferrina, il lisozima 
svolge funzione battericida nel latte. È attualmente utilizzato in Europa come valida 
alternativa ai nitrati, per combattere il gonfiore tardivo provocato da Clostridium 
tyrobutyricum durante la produzione di formaggi a pasta semi-dura come il Gouda o 
l’Edam.  
 La sua relativamente alta stabilità termica lo ha reso particolarmente 
interessante nella pastorizzazione e nella sterilizzazione di molti prodotti alimentari, 
nell’obiettivo di ridurre il trattamento termico e di preservare il più possibile le 
caratteristiche sensoriali e nutrizionali dei prodotti stessi.  
 Il lisozima trova ulteriore applicazione nei confronti di tossine patogene 
prodotte da alcuni ceppi di Clostridium botulinum e di Lysteria monocytogenes.  
Alcuni studi ( F. Makki, T. D. Durance) dimostrano che il lisozima risulta 
molto stabile a pH 5.2 ma la stabilità termica decresce rapidamente salendo a pH 9.