4 
ABSTRACT 
 
 
Nella parte introduttiva dell’elaborato vengono descritti gli elementi essenziali della relatività 
generale, facendo anche riferimento all’influenza che essa ha avuto sulla concezione scientifico-
filosofica dello spaziotempo. La discussione teorica viene completata elencando le principali 
previsioni della teoria della relatività, tra le quali vi sono le onde gravitazionali. 
Dopo aver delineato i principi teorici che sono alla base del concetto di radiazione gravitazionale, si 
descrivono gli apparati di rivelazione di onde gravitazionale (sistemi a barre risonanti e rivelatori 
interferometrici). Per ciascuno di questi rivelatori sono elencate le principali problematiche 
tecnologiche, e le relative soluzioni possibili. 
La tesi si conclude con una esposizione generale dell’interferometro VIRGO, con particolare 
riferimento al sistema di isolamento del rumore sismico (superattenuatore).
10 
CAPITOLO 1 – EVOLUZIONE STORICA DELLE TEORIE SULLO 
SPAZIOTEMPO 
 
 
 
Lo scopo di questo elaborato è quello di descrivere gli elementi principali della fisica delle onde 
gravitazionali, sia sotto l’aspetto teorico che sotto quello sperimentale. 
Come si vedrà piø avanti, è possibile pensare alle onde gravitazionali come a vere e proprie “onde 
di spaziotempo”, per mezzo delle quali viene propagata l’energia del campo gravitazionale. Dato 
che il nostro obiettivo è quello di descrivere tali increspature del tessuto spaziotemporale, è 
opportuno, inizialmente, procedere con una breve analisi dell’evoluzione che ha interessato questi 
concetti nei secoli scorsi. 
 
 
1.1 SPAZIOTEMPO DI ARISTOTELE 
 
 
La scuola di pensiero aristotelica riteneva che fosse possibile determinare le leggi fondamentali 
dell’Universo facendo uso esclusivamente del puro pensiero. Non sarebbe stata necessaria alcuna 
verifica empirica che testasse la validità di tali leggi. 
Aristotele (384 a.C.-322 a.C.) pensava che dovesse esistere uno stato privilegiato di quiete. 
Ovviamente, qualsiasi corpo non sottoposto all’azione di forze si troverebbe in questo stato. 
Un esempio tipico era rappresentato dalla Terra, la quale, secondo la concezione aristotelica, 
costituiva un riferimento privilegiato in quiete. Nella fisica aristotelica per rappresentare lo spazio 
fisico si fa uso di uno spazio euclideo tridimensionale, i cui punti mantengono una propria identità 
nel passaggio tra due istanti successivi. Questa è una conseguenza del fatto che lo stato di riposo è 
dinamicamente privilegiato rispetto a qualsiasi altro stato di moto. Anche il tempo è rappresentato 
da uno spazio euclideo, questa volta monodimensionale. Una rappresentazione di questo tipo 
esclude l’esistenza di un qualche istante di tempo privilegiato (l’origine o punto zero) la cui 
presenza sarebbe stata necessaria se si fosse descritto il tempo facendo uso di una retta reale. Questo 
fatto è essenziale. Se esistesse “un’origine privilegiata” dei tempi, le leggi della Natura potrebbero, 
in linea di principio, cambiare relativamente ad essa. Senza tale origine le regole fondamentali che 
governano l’Universo acquisiscono la necessaria immutabilità che ci si aspetta.
11 
Nella geometria euclidea è presente la nozione di distanza. Nel nostro caso essa si traduce 
nell’usuale concetto di distanza spaziale (per lo spazio tridimensionale) e nell’altrettanto classico 
“intervallo di tempo” (per lo spazio monodimensionale). Inoltre, nella fisica aristotelica – e nella 
successiva dinamica di Newton – si trova una nozione assoluta di simultaneità. Secondo tale 
concezione ha un senso assoluto assumere che, in accordo a qualche sistema dinamico, piø eventi, 
anche enormemente distanti in termini spaziali, accadono nello stesso istante di tempo.  
Complessivamente emerge uno spaziotempo aristotelico descritto dalle coppie ( x t,
r
) con 
1
A t ˛ e 
3
A t ˛ (dove A
1
 è uno spazio euclideo monodimensionale e A
3
 è uno spazio euclideo 
tridimensionale). Se consideriamo due coppie distinte (quindi due differenti punti dello 
spaziotempo) sono automaticamente definite la loro distanza spaziale (
2 1
x - x
r r
) e la distanza 
temporale (
2 1
t - t ). Il caso particolare della simultaneità si ottiene per mezzo dell’annullamento 
della distanza temporale. 
 
 
1.2 SPAZIOTEMPO NELLA RELATIVITA’ GALILEIANA 
 
 
Lo schema dinamico introdotto da Galileo Galilei (1564–1642) nel 1638 si può dedurre includendo 
il principio di relatività galileiano nel quadro dello spaziotempo aristotelico. Tale principio asserisce 
che le leggi dinamiche sono esattamente le stesse in tutti i sistemi di riferimento dotati di moto 
uniforme. Evidentemente questa idea gioca un ruolo fondamentale nello schema eliocentrico 
copernicano secondo il quale la Terra si muove lungo la propria orbita senza che i suoi abitanti 
possano direttamente accorgersi del moto di rivoluzione. Da tutto ciò si ricava una sostanziale 
equivalenza tra la fisica dello stato di riposo e quella del moto rettilineo uniforme. Questo semplice 
principio ha conseguenze devastanti sulla teoria aristotelica. Infatti, ora non vi è alcun significato 
dinamico nell’affermare che un particolare punto dello spazio è, o non è, lo stesso punto scelto 
arbitrariamente in un istante successivo. Non c’è uno spazio di sottofondo che costituisce l’arena 
immobile degli eventi. 
Quindi, nella dinamica galileiana, risulta impossibile definire un unico spazio euclideo 
tridimensionale come arena per le azioni del mondo fisico che si evolvono nel tempo. L’architettura 
pensata da Aristotele risulta demolita da un quadro di questo tipo. E’ lecito pensare ad un diverso 
spazio euclideo tridimensionale per ciascun istante di tempo, senza che vi sia alcuna identificazione 
naturale tra i diversi spazi facenti riferimento a differenti istanti.
12 
Lo spaziotempo galileiano S
G
 non emerge, come quello aristotelico, dal prodotto cartesiano tra uno 
spazio euclideo tridimensionale e uno monodimensionale, ma è un fibrato. 
Le storie delle singole particelle sono sezioni del fibrato che costituiscono le cosiddette “linee di 
universo”. Tali linee risultano rette se le corrispondenti particelle sono dotate di moti inerziali.  
Questa rappresentazione dello spaziotempo in termini di fibrato ebbe grande successo. E’ 
interessante vedere come si può esprimere la celebre dinamica di Newton all’interno di questa 
teoria. Isaac Newton (1643-1727) formulò le tre leggi della dinamica nell’opera “Philosophiae 
naturalis principia matematica”: la prima legge afferma che, quando su un corpo non agiscono 
forze, esso persiste nel suo moto rettilineo uniforme (moto inerziale). L’assunto della seconda legge 
stabilisce, invece, che un corpo accelera proporzionalmente alla forza su esso applicata.  
Da queste leggi segue l’inesistenza di un sistema di riferimento privilegiato per la quiete. Diventa 
dunque impossibile stabilire se due eventi avvenuti in tempi diversi si sono verificati nella stessa 
posizione spaziale. Quindi, per rendere precisa la struttura delle sue leggi, Newton adottò uno uno 
spazio assoluto rispetto al quale dovevano essere descritti i moti. Probabilmente, se a quel tempo 
fosse stato disponibile il concetto di fibrato, Newton avrebbe potuto formulare delle leggi  
completamente invarianti secondo la concezione di Galilei. 
A questo punto si deve dotare lo spaziotempo galileiano S
G
 di qualcosa che sia in accordo con la 
prima legge di Newton. Il concetto di moto inerziale negli ordinari termini di spazio, è interpretato 
da una retta in termini di spaziotempo. Il fibrato galileiano S
G
 deve avere una struttura che codifichi 
l’esistenza di tali linee di universo rette. In altri termini si vuole che S
G
 sia uno spazio affine in cui 
la struttura affine, quando ristretta alle singole fibre tridimensionali, si accordi con la struttura affine 
euclidea di ciascuno spazio tridimensionale. Le linee che definiscono i moti inerziali newtoniani 
prendono il nome di geodetiche. Le linee di universo non geodetiche rappresentano moti di 
particelle accelerate. E’ interessante notare che l’entità dell’accelerazione è misurabile, in termini di 
spaziotempo, per mezzo della curvatura della linea di universo. Di conseguenza, tenendo conto 
della seconda legge di Newton, la curvatura della non – geodetica, per una particella di data massa, 
fornisce una misura diretta della forza totale agente su quella particella. 
Ora definiamo con F
3
 la singola fibra tridimensionale del fibrato (è l’usuale spazio tridimensionale 
in un certo istante di tempo). La forza totale agente su un corpo è la somma vettoriale dei contributi 
di tutti gli altri corpi che costituiscono il sistema considerato. La scelta di un particolare istante di 
tempo ci porta a considerare un dato F
3
: il contributo alla forza su un corpo, da parte di qualche 
altro corpo, agisce lungo la loro retta congiungente che appartiene a quel particolare F
3
. Questo 
significa che la forza agisce simultaneamente tra i corpi. Per ciascun tipo di forza è definita una
13 
legge fondamentale che ne quantifica l’intensità qualora si conoscano la distanza spaziale tra le 
particelle e i valori di determinati parametri tipici dell’interazione considerata. 
Questa visione dello spaziotempo dà vita a una teoria molto importante che può essere impiegata 
per descrivere il comportamento dei corpi che si muovono a velocità significativamente minori di 
quella della luce. La teoria di Newton ha una precisione di una parte su 10
7
. Il risultato è 
formidabile se si pensa che l’accuratezza dei dati di cui lo scienziato inglese poteva disporre era di 
una parte su 10
3
. 
 
 
1.3 OLTRE NEWTON. FISICA E FILOSOFIA 
 
 
Abbiamo visto come sia Aristotele che Newton credettero fermamente nell’esistenza di un tempo 
assoluto che doveva essere completamente separato dallo spazio e da esso indipendente. La 
conseguenza diretta di questo è che l’intervallo di tempo tra due eventi deve essere sempre il 
medesimo, anche se misurato da sistemi di riferimento diversi.  
Alcuni filosofi si opposero a tale concezione. Tra questi vi fu David Hume (1711-1776) che, nel suo 
“Trattato sulla natura umana”, criticò duramente le tradizionali idee di spazio e tempo, ricondotte al 
nostro modo “percettivo” di ordinare le idee degli oggetti che si accumulano nella nostra mente. 
Sostanzialmente Hume afferma che le coordinate spaziotemporali entro cui si manifesta la 
percezione del soggetto, non sono oggettive, ma solo il modo soggettivo col quale ordiniamo i dati 
percepiti. Con tale concezione Hume si contrappone sia alla tradizione aristotelica (“luoghi naturali 
e immutabili dei corpi”) sia all’idea newtoniana (spazio e tempo assoluti). 
Alla fine del ‘700 anche Immanuel Kant (1724-1804) affrontò il problema dal punto di vista 
filosofico. Secondo Kant l’essere umano non conosce gli oggetti come sono in se stessi, bensì come 
essi gli appaiono attraverso le modificazioni che producono. L’oggetto di tale “conoscenza 
sensibile” è chiamato “fenomeno”. Di conseguenza lo spazio e il tempo accompagnano ogni nostra 
conoscenza sensibile, ma non costituiscono una realtà oggettiva (alla Newton) e neppure una 
relazione propria degli oggetti in se stessi (alla Leibniz (1646-1716)) ma devono essere forme 
caratteristiche del modo in cui riceviamo le modificazioni sensibili da parte degli oggetti. Nella 
soluzione di Kant lo spazio ha un’esistenza indipendente dalla materia (come per Newton), ma non 
va interpretato come una grande arena infinita che esiste a prescindere dai fenomeni fisici che vi si 
manifestano. Esso è “la forma a priori del senso esterno” non rilevabile dall’esperienza empirica 
(osservando un sistema di corpi, e le loro distanze relative, si presuppone già la loro collocazione in
14 
un preciso ordinamento spaziale). Allo stesso modo il tempo è “la forma del senso interno”, meglio 
interpretabile come la percezione di noi stessi e del nostro stato interno. L’essere umano tende a 
ordinare nel tempo tutti i dati della propria sensibilità. 
Quindi il tempo non emerge dalla considerazione di una oggettiva successione di fenomeni ma è ciò 
che rende possibile la nostra rappresentazione di essi in successione o in coesistenza. 
Nella sua esposizione Kant si contrappone sia alla visione empiristica, che considerava spazio e 
tempo come nozioni tratte dall’esperienza (Locke(1632-1704)), sia alla visione oggettivistica, che li 
considerava come recipienti vuoti (Newton), sia a quella concettualistica (Leibniz) che li 
interpretava come concetti esprimenti i rapporti tra le cose del mondo. Ne emerge un’idea secondo 
la quale spazio e tempo sono quadri mentali, esistenti a priori, entro cui sono connessi i dati 
empirici. 
 
 
1.4 GEOMETRIE NON EUCLIDEE. IL PUNTO DI VISTA DI EINSTEIN 
 
 
La definizione di nuove geometrie alternative a quella euclidea creò vari problemi sia alla fisica 
newtoniana che alla filosofia kantiana. Infatti, come abbiamo visto, lo spaziotempo newtoniano è 
collocato nello spazio euclideo: la linea lungo la quale si propaga l’interazione gravitazionale nel 
vuoto è una retta euclidea. 
Dal punto di vista filosofico Kant presumeva che lo spazio euclideo, all’interno del quale 
percepiamo i fenomeni fisici, fosse una “forma di intuizione a priori” la cui struttura è definita 
univocamente dalla natura delle nostre facoltà cognitive.  
La convinzione che la geometria (euclidea), piø che far parte della struttura che viene usata per 
descrivere la Natura, sia piuttosto inerente a questa, ha origini nel pensiero greco. 
I Greci collocarono la geometria al centro di tutte le attività intellettuali e filosofiche. Nel terzo 
secolo a.C. Euclide (323 a.C-285 a.C.) definì i cinque postulati fondamentali dalla sua geometria 
ma, nei secoli successivi, i matematici ebbero qualche problema con il quinto postulato, quello 
“delle parallele”. 
Esso stabilisce che, dati una retta e un punto esterno ad essa, esiste una e una sola retta che passa 
per tale punto ed è parallela alla retta data. Per due millenni, dopo che Euclide ebbe formulato i suoi 
postulati, i matematici hanno discusso sull’ipotesi che il quinto di essi fosse effettivamente 
indipendente o fosse una conseguenza degli altri quattro (si noti che, se così fosse, dovrebbe essere 
possibile definire una geometria internamente coerente basata sui soli 4 postulati indipendenti,
15 
quinto escluso). Il problema fu risolto nel diciannovesimo secolo. Il matematico tedesco Carl Gauss 
(1777-1855) scoprì che il quinto enunciato di Euclide era indipendente dagli altri e poteva, 
eventualmente, essere sostituito da un altro. Procedendo con la sostituzione si rese possibile la 
definizione di nuove geometrie, dette “non euclidee”. La geometria curva di una sfera è un esempio 
tangibile e tridimensionale di geometria non euclidea. 
Le geometrie sviluppate in origine da Gauss, Lobacevskij (1792-1856) e Bolyai (1802-1860) 
riguardavano teorie non disegnabili, il che rende meno sorprendente il fatto che ci sia voluto tanto 
tempo a definirle. 
 
Superfici Curvatura 
Somma angoli interni 
di un triangolo 
Piano Nulla (euclideo)  180° 
Sfera Positiva > 180° 
Paraboloide 
iperbolico (sella) 
Negativa < 180° 
 
 
Una volta appurata la coerenza delle geometrie non euclidee, il matematico tedesco Georg Riemann 
(1826-1866) sviluppò una complessa struttura matematica per descriverle. Nel 1854 Riemann riuscì 
a caratterizzare tutte le geometrie attraverso le loro proprietà intrinseche. I suoi studi hanno posto le 
basi della cosiddetta “geometria differenziale”, un ramo della matematica dedicato allo studio degli 
enti geometrici per mezzo del calcolo differenziale. 
Questi strumenti matematici furono fondamentali per Albert Einstein (1879-1955) che, come 
vedremo piø avanti, concepì un nuovo paradigma: la teoria della relatività. Questa teoria descrive 
spazio, tempo, moto e interazione entro un quadro post – newtoniano all’interno del quale il 
fenomeno della gravitazione non viene piø ricondotto all’azione istantanea di una forza, ma è 
interpretato da una geometria non euclidea associata allo spaziotempo. 
Lungi dall’essere una forma stabilita a priori dalla nostra intuizione dello spazio, a questo punto la 
geometria euclidea non costituisce neanche uno strumento efficace per effettuare una descrizione 
veritiera della Natura. Grazie alla sua concezione filosofica del mondo, Einstein riuscì a dare una 
spiegazione delle equazioni di Lorentz arrivando alla conclusione che la velocità della luce è 
costante, indipendentemente dal moto dell’osservatore (relatività ristretta, 1905). Egli sostenne che 
proprio questa tesi, apparentemente paradossale, doveva essere il punto di partenza della 
rivoluzionaria teoria della relatività generale. Quest’ultima ha comportato una radicale
16 
modificazione della fisica e ha dato l’avvio a una nuova filosofica relativistica che, abbandonando i 
concetti di spazio e tempo assoluti, considera i fenomeni fisici rispetto a spazi e tempi relativi 
all’osservatore. 
L’abbandono dello spazio assoluto e del tempo assoluto ha decretato il superamento definitivo 
dell’Universo – macchina newtoniano. 
 
 
1.5 IL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA 
 
 
Per migliorare lo schema di Newton si rivelò necessario il punto di vista di Einstein sulla teoria 
della gravitazione. In realtà questa prospettiva, da sola, non modifica affatto la teoria di Newton nel 
suo complesso. I cambiamenti sostanziali intervengono soltanto quando al punto di vista di Einstein 
si combinano altre considerazioni che si riferiscono al valore finito della velocità della luce e, piø in 
generale, agli assunti della relatività speciale. 
Ad Einstein si deve la comprensione della fondamentale importanza del principio di equivalenza. 
L’idea che sta alla base di tale principio risale ancora una volta a Galileo Galilei e al suo (presunto) 
esperimento che consistette nel lasciar cadere due pietre, di masse differenti, dalla sommità della 
torre di Pisa (l’esperimento venne svolto sul finire del XVI° secolo). L’intuizione di Galilei fu che, 
potendo trascurare gli effetti della resistenza dell’aria, le pietre sarebbero cadute alla stessa velocità. 
La proprietà della gravità, da cui dipende l’idea di Galilei, è che l’intensità della forza 
gravitazionale, esercitata da un campo gravitazionale su un corpo generico, è proporzionale alla 
massa (gravitazionale) di quel corpo, mentre la resistenza al moto è anch’essa definita dalla massa 
(questa volta detta inerziale o passiva). 
 
a m F            
r
M m
G F
i
2
g g
= =     (1.1) 
 
Massa inerziale (m
i
) e massa gravitazionale (m
g
) sono sperimentalmente proporzionali: definendo 
unità di misura opportune si può fare in modo che esser coincidano perfettamente. Dalle verifiche 
sperimentali si ottiene:
17 
11 -
g
i
10 1
m
m
– =     (1.2) 
 
Se considerassimo un campo elettrico otterremmo un risultato completamente diverso. Si 
verificherebbero le seguenti analogie: 
 
 
Campo gravitazionale Campo elettrico 
m
g
 (massa gravitazionale) q (carica elettrica) 
m
i
 (massa inerziale – passiva) m
i
 (massa inerziale – passiva) 
 
 
Per evidenziare la differenza tra i due casi si può pensare a cosa accadrebbe se si eseguisse la 
sperimentazione di Galilei sostituendo le pietre con due dischi aventi la stessa massa e carica 
elettrica opposta. All’interno di un campo elettrico diretto verso il terreno, e in assenza di campi 
gravitazionali, un disco verrebbe attratto verso il basso mentre l’altro andrebbe verso l’alto. Le 
accelerazioni sarebbero completamente opposte. Il fenomeno è dovuto alla totale mancanza di 
legame fisico tra carica elettrica e massa inerziale (contrariamente a quanto accade, nel caso 
gravitazionale, tra massa inerziale e massa gravitazionale). 
Si deve concludere che l’intuizione di Galilei è una caratteristica particolare della sola gravità. Un 
campo gravitazionale uniforme è (localmente) equivalente a un’accelerazione. Infatti, rispetto a un 
osservatore solidale ad una delle pietre di Galilei, l’altra pietra appare immobile nell’aria, come se 
non vi fosse alcun campo gravitazionale. L’assenza di gravità si giustifica col fatto che osservatore 
e pietre condividono un’accelerazione tale da cancellare l’effetto dovuto al campo. 
Il fatto che la gravità possa essere cancellata dall’accelerazione (principio di equivalenza) è una 
diretta conseguenza dell’uguaglianza dei due tipi di massa, che, in linea di principio, sarebbero 
potute essere molto differenti. A questo punto è possibile ridefinire il concetto di moto inerziale. 
Classicamente un moto di questo tipo si verifica quando una particella è soggetta ad una forza 
esterna nulla. A causa del principio di equivalenza non c’è modo, localmente, di stabilire se sta 
agendo una forza gravitazionale o se ciò che sembra essere l’azione della gravità è soltanto l’effetto 
di un’accelerazione. Inoltre abbiamo visto come la forza gravitazionale possa essere totalmente 
eliminata “cadendo” liberamente con essa.
18 
L’innovativa idea di Einstein si concretizza nella ridefinizione del moto inerziale: le particelle sono 
dotate di un moto di questo tipo quando la somma di tutte le forze non gravitazionali agenti su di 
esse è nulla. Di conseguenza le particelle saranno in caduta libera con l’eventuale campo 
gravitazionale. Quindi la traiettoria delle pietre, o di alcuni astronauti in orbita attorno alla Terra, è 
tipica di un moto inerziale secondo la definizione di Einstein. 
Un corpo fermo all’interno di un campo gravitazionale non effettua un moto inerziale perchØ non è 
in caduta libera (si noti come la visione newtoniana sia, in questo caso, completamente diversa). 
 
 
1.6 CONSEGUENZE DEL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA: SPAZIOTEMPO 
DI CARTAN 
 
 
A questo punto, avendo ridefinito il concetto di moto inerziale, è opportuno chiedersi come questo 
debba incidere sulla struttura dello spaziotempo. In particolare dovranno essere i moti inerziali nel 
senso einsteniano, e non quelli newtoniani, a definire le linee di universo rette dello spaziotempo. 
Per il resto la geometria è simile a quella già descritta per lo spaziotempo galileiano S
G
 (fibrato). 
Chiamiamo questo nuovo spaziotempo “spaziotempo di Cartan” (S
C
). Al pari di S
G
, anche S
C
 sarà 
un fibrato con base monodimensionale (dimensione temporale) e fibra tridimensionale (dimensioni 
spaziali). 
La struttura dei due fibrati è essenzialmente diversa a causa della differente nozione di moto 
inerziale di cui si fa uso. E’ importante osservare che, se si sceglie un sistema di riferimento in 
caduta libera, il campo gravitazionale può essere completamente “eliminato” e, in questo caso, si 
definisce una sostanziale identità tra S
G
 e S
C
. Se l’osservatore cadesse liberamente in un campo 
gravitazionale globale costante in intensità e direzione (ma eventualmente variabile nel tempo), si 
realizzerebbe questa condizione di equivalenza.  
La varietà S
C
 sarà dotata, al pari di S
G
, di una connessione opportuna (che coinciderà con 
l’operatore di derivazione covariante). Le geodetiche definite da questa connessione sono le linee di 
universo rette che descrivono i moti inerziali secondo la concezione di Einstein. 
In generale la connessione di S
C
 avrà curvatura non nulla. Tale curvatura gioca un ruolo chiave 
nella teoria della relatività generale. Piø avanti approfondiremo i concetti di derivata covariante e di 
curvatura. Ora cerchiamo di chiarire il significato fisico di questa curvatura. Consideriamo un 
astronauta A in caduta libera nello spazio, poco al di sopra dell’atmosfera terrestre. Immaginiamo
19 
che A sia circondato da una sfera di particelle inizialmente a riposo rispetto ad A stesso. Secondo la 
dinamica newtoniana, le particelle della sfera saranno accelerate verso il centro della terra (B), in 
varie direzioni leggermente diverse tra loro. Infatti, la direzione della retta che congiunge ciascuna 
particella con B sarà diversa nei vari casi. Anche l’intensità delle accelerazioni varierà, a causa della 
differente distanza tra ciascuna particella e B. Dato che siamo interessati a ciò che l’osservatore 
inerziale A osserva, consideriamo le varie accelerazioni relative rispetto all’accelerazione 
dell’astronauta stesso. 
Le particelle discoste orizzontalmente da A accelereranno verso B in direzioni leggermente deviate 
verso l’interno della sfera rispetto all’accelerazione di A, a causa della distanza finita dal centro 
della Terra, mentre le particelle discoste verticalmente da A accelereranno lievemente verso 
l’esterno perchØ l’intensità della forza gravitazionale è inversamente proporzionale alla distanza da 
B. 
 
 
Fig. 1: le particelle (blu) sono inizialmente disposte su una superficie sferica attorno ad A. In rosso sono indicate le 
accelerazioni relative ottenute sottraendo all’accelerazione della singola particella quella di A. Nel disegno sono 
indicate, approssimativamente, le direzioni delle rette che congiungono le particelle al centro della terra (B). Dal punto 
di vista qualitativo è ben visibile la distorsione subita dalla sfera.