3
 
 
La strada intrapresa dal 1957, con la firma del Trattato di 
Roma e l’istituzione delle Comunità europee, ha progredito fino ad 
arrivare alla situazione attuale, in cui cioè, l’unione prospettata al-
lora, si sta concretizzando. L’aspetto politico rappresenta la que-
stione più complessa e difficile, in quanto nessuno degli attuali 
Quindici membri è disposto a rinunciare alla propria sovranità in 
nome di un ideale di unità politica ancora troppo vago. Ciò nono-
stante, le relazioni commerciali intrattenute dai singoli stati tra di 
loro hanno convinto le autorità nazionali a compiere, nel corso di 
questi quarant’anni, una serie di passi importanti verso la costitu-
zione di un’unione doganale prima, un mercato comune poi, fino a 
giungere a prospettare un’unione economica e monetaria (UEM) 
completa. 
Dal 1993 in poi, data della nascita del mercato unico euro-
peo, i segnali di un’effettiva volontà politica in questo senso sono 
stati svariati. Ci si è resi conto, infatti, che per un funzionamento 
effettivo ed efficace del mercato europeo, basato sulla libera cir-
colazione delle merci, dei capitali, delle persone e dei servizi, era 
assolutamente necessaria l’eliminazione di tutti quegli ostacoli 
tecnici agli scambi che ancora persistevano e che erano causa di 
distorsione poiché incidevano sulla libertà di circolazione e sulla 
concorrenza, princìpi su cui si fonda il mercato unico stesso. 
Il più importante di questi problemi è stato riconosciuto nella 
presenza, all’interno dell’area commerciale europea, di un numero 
di monete nazionali diverse quanti sono gli stati membri. In questo 
modo, tutti coloro che desiderano intrattenere relazioni commer-
 4
 
 
ciali con un paese membro si vedono costretti a sopperire a costi 
supplementari coincidenti con quelli di conversione da una mone-
ta nazionale all’altra, il che incide, inevitabilmente, sul costo finale 
del prodotto stesso. In altre parole, questa situazione non apporta 
tutti quei vantaggi commerciali che solitamente un’unione di que-
sto genere comporta. 
In questo senso, la moneta unica, l’euro, rappresenta un 
complemento essenziale del mercato unico e allo stesso tempo 
un mezzo concreto per l’abbassamento dei costi e l’ottenimento di 
vantaggi commerciali. In generale, quindi, si può presupporre che 
l’euro stimolerà la crescita economica e l’occupazione, fattori di 
cui l’economia europea ha bisogno per rendersi competitiva sulla 
scena internazionale. In questa dimensione globale, inoltre, l’euro 
rappresenterà il contributo europeo alla stabilità internazionale, at-
traverso un sistema decisionale di politica monetaria basato sulla 
sovranità monetaria congiunta tra tutti i paesi partecipanti all’UEM.  
Una sovranità non assoluta, perché condivisa, ma effettiva.  
A questo proposito, i ministri economici e finanziari dei paesi 
europei che prenderanno parte alla moneta unica fin dal suo de-
butto sono stati assolutamente chiari ed irremovibili: l’euro dovrà 
essere fondato sulla sicurezza e stabilità economica, che dovran-
no essere mantenute anche dopo la sua adozione. Questo al fine 
di poter competere a livello internazionale con monete già forte-
mente affermate e dominanti, quali il dollaro e lo yen. 
Dato questo quadro d’insieme, risulta chiaro che il passag-
gio alla moneta unica e l'appartenenza dell’Italia a questo primo 
 5
 
 
gruppo di paesi che realizzeranno concretamente l'unione eco-
nomica e monetaria è di primaria importanza per lo sviluppo della 
nostra economia nazionale, quindi per gli operatori economici e 
per i cittadini stessi. D’altra parte, non si deve pensare che questo 
avvenimento sia privo di difficoltà e di ostacoli.  
Nella fattispecie i problemi maggiori saranno proprio quelli 
che dovranno affrontare le imprese, e tra queste quelle di piccole 
e medie dimensioni in quanto si trovano in una posizione interme-
dia tra le grandi aziende, commercialmente indipendenti, ed i con-
sumatori. Le PMI, infatti, sono nella maggior parte dei casi dei 
produttori di beni intermedi, e questo le obbliga ad un duplice con-
fronto: da un lato le aziende da cui acquistano le materie prime, 
dall’altro i loro acquirenti, per non parlare dei consumatori finali 
con cui spesso entrano direttamente in contatto.  
Questa situazione impone loro di adottare, in relazione 
all’euro, un sistema che dia la possibilità di interagire con tutte 
queste componenti. Il problema fondamentale sarà rappresentato 
dal periodo transitorio, fissato in tre anni, durante il quale sarà la-
sciata ampia libertà agli operatori di adeguarsi alla nuova realtà. 
In questo periodo potranno essere introdotti tutti i cambiamenti 
necessari, ma allo stesso tempo la flessibilità ed autonomia delle 
imprese renderà la situazione più difficoltosa per coloro che devo-
no operare con più di un interlocutore, in quanto dovranno essere 
in grado, per restare competitivi sulla scena economico-
commerciale, di fornire i servizi che ciascuno di questi ultimi ri-
chiede.  
 6
 
 
Ed in questo le PMI dovranno effettivamente essere mag-
giormente attente e celeri nel mettere in atto gli adeguamenti utili, 
anche se questo comporterà maggiori costi iniziali. Il mantenimen-
to di una posizione tradizionalista ed immobilista potrebbe rischia-
re di compromettere tutto il lavoro e la posizione raggiunta in molti 
anni d’attività. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 7
 
 
 
Parte I 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La moneta dell'Unione Europea: l'Euro 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 8
 
 
 
CAPITOLO I 
 
 
La moneta unica 
 
 
1. Aspetti storici: dal Trattato di Roma alla decisione di Bruxelles 
 
Il cammino percorso per arrivare all’Unione economica e 
monetaria è stato lungo ed è coinciso con tutto il periodo intercor-
so dalla costituzione della Comunità europea ad oggi. Fin dagli 
albori, infatti, si era considerata l’idea di poter giungere ad 
un’unificazione nella conduzione e gestione dell’economia, e 
quindi della stessa moneta, tra i paesi che partecipavano 
all’Europa unita.  
Tuttavia, così come ogni tipo di integrazione, questo percor-
so ha richiesto tempo e soprattutto sforzi non indifferenti per poter 
trovare un punto di convergenza tra le diverse esigenze e pretese 
dei suoi membri. Inoltre, le contingenze esterne hanno giocato 
spesso un ruolo non secondario nel ritardare ed ostacolare il pro-
cesso. Vediamo quindi di ripercorrere le tappe più salienti. 
Nel 1957, all’epoca della firma del Trattato di Roma
1
 (reso 
esecutivo con la L. 14 ott. 1957, n.1203 in G.U. 23 dic. 1957, 
                                                           
1
 Il 25 marzo 1957 a Roma furono firmati dai rappresentanti di Italia, Francia, Repubblica 
Federale Tedesca, Belgio, Olanda e Lussemburgo i Trattati che istituivano due nuove istitu-
zioni europee: la Comunità Economica Europea (CEE) e la Comunità Europea dell'Energia 
Atomica (Euratom). I Trattati entrarono in vigore il 1° gennaio 1958. La CEE doveva svilup-
pare l'integrazione economica generale per creare quel Mercato unico in cui merci, persone 
 9
 
 
n.317 Suppl.1), i paesi europei non discussero della possibilità di 
estendere la loro collaborazione tanto avanti da prevedere 
un’unione in materia economica e monetaria. La ragione fonda-
mentale di questo atteggiamento era insita nel sistema di Bretton 
Woods
2
, al quale partecipavano anche le monete europee, che 
dalla fine della seconda guerra mondiale regolava le transazioni 
internazionali sulla base della parità di ogni singola valuta con il 
dollaro americano, provvedendo così a mantenere la stabilità in 
materia monetaria. 
Tuttavia, già nel corso degli anni Sessanta si cominciò a 
sentire la necessità di rafforzare ulteriormente i vincoli tra gli stati 
firmatari a Roma, soprattutto al fine di garantire una certa coordi-
nazione nella gestione della politica economica e monetaria. Que-
sto, infatti, avrebbe permesso di rafforzare i legami politici e di 
proteggere la principale creazione scaturita dal Trattato di Roma: 
il mercato comune.  
Questa esigenza venne ulteriormente crescendo allorquan-
do il sistema di Bretton Woods cominciò a cedere, sul finire degli 
anni Cinquanta. Intorno al 1968-’69 l’instabilità delle monete costi-
tuiva una norma, costringendo il Marco tedesco ad una rivaluta-
zione ed il Franco francese ad una svalutazione. Ciò che preoc-
                                                                                                                                                                    
e capitali avrebbero potuto circolare liberamente. L'Euratom invece mirava alla ricerca e allo 
sviluppo delle risorse energetiche in campo nucleare. Fra i suoi compiti anche quello del 
monitoraggio e controllo dell'energia nucleare per la salvaguardia della salute umana. 
2
 Accordi stipulati in seguito alla conferenza monetaria e finanziaria tenuta a Bretton Woods, 
cittadina del New Hampshire (Stati Uniti), tra l'1 e il 22 luglio 1944. La conferenza, alla quale 
parteciparono 44 alleati, verteva sulle modalità da adottare negli scambi internazionali e nei 
relativi trasferimenti valutari all'indomani della cessazione della seconda guerra mondiale. In 
particolare, si ravvisava in una forma di convertibilità tra le diverse monete il presupposto per 
superare il regime dei controlli sui movimenti di merci e di capitali istituito durante il conflitto. 
L'assetto del sistema monetario internazionale sorto dalla conferenza di Bretton Woods ha 
avuto fine nel 1971 con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro.  
 10
 
 
cupava maggiormente i membri della Comunità europea erano le 
ripercussioni negative che questa situazione avrebbe portato su 
due importantissime tematiche: il sistema di prezzi comune e la 
politica agricola. 
Per far fronte a questa situazione pericolosa e per rafforzare 
maggiormente i già positivi risultati raggiunti con l’unione dogana-
le, la Comunità si prefisse nuovi obiettivi ambiziosi per il suo svi-
luppo politico, tanto che nel 1965 la Commissione sostenne 
l’istituzione di un sistema di tassi di cambio fissi tra le valute euro-
pee. 
Secondo il programma elaborato da un gruppo di esperti e 
presentato nell’ottobre 1970, il cosiddetto rapporto Werner
3
, la 
creazione dell’Unione economica e monetaria (UEM) si sarebbe 
realizzata in un periodo di 10 anni e secondo tre fasi successive. 
L’obiettivo finale dell’UEM era rappresentato dalla converti-
bilità irreversibile delle valute europee, nonché la libera circolazio-
ne dei capitali e la fissazione permanente dei tassi di cambio. 
La prospettiva più rosea prevedeva inoltre la possibilità di 
arrivare all'introduzione di una moneta unica. Per l'azione di breve 
periodo, il rapporto attribuiva la priorità assoluta al rafforzamento 
della coordinazione economica, da attuarsi parallelamente al re-
stringimento progressivo del margine di fluttuazione ammissibile 
dei tassi di cambio tra le monete nazionali. Altri temi particolar-
mente delicati, che avrebbero dovuto trovare una definizione co-
                                                           
3
  Presentato l’8 maggio 1970 alla Commissione europea, in seguito a una dichiarazione dei 
capi di Stato e di Governo, il Piano Werner prevedeva la realizzazione (in dieci anni e in                      
tre fasi) di un’Unione economica e monetaria (Uem). Obiettivo molto ambizioso per i tempi, 
naufragato sugli scogli delle grandi crisi economiche: il crollo del sistema di cambi fissi vara-
to a Bretton Woods, lo shock petrolifero e le forti recessioni di quegli anni. 
 11
 
 
mune il più rapidamente possibile, erano rappresentati 
dall’armonizzazione dei sistemi fiscali e dalla coordinazione delle 
politiche strutturali e regionali, nonché la conduzione delle politi-
che nazionali di bilancio ed i metodi di finanziamento dei deficit 
pubblici.  
Del rapporto Werner si può quindi dire che, indirettamente, 
lanciò le premesse per la creazione di un centro decisionale di po-
litica economica e del sistema comunitario di banche centrali. 
Nonostante il disaccordo dei sei paesi membri su molte del-
le raccomandazioni del rapporto Werner, essi si trovarono 
d’accordo sul primo passo da compiere in direzione della UEM: il 
restringimento del margine di fluttuazione dei tassi di cambio. Pur-
troppo, però, l’elemento che si rivelò negativo della strategia Wer-
ner fu la fissazione di un tasso di cambio fisso delle monete euro-
pee contro il dollaro. Quando quest´ultimo entrò in crisi, venendo 
in seguito dichiarato inconvertibile, l’instabilità del sistema interna-
zionale si riversò sul contesto europeo, facendo naufragare ogni 
speranza di vedere saldamente legate tra loro le monete comuni-
tarie. 
Tuttavia, già un anno più tardi, nel 1972, i sei Paesi firmatari 
del Trattato di Roma reagirono al problema creando un nuovo 
meccanismo, denominato "the snake in the tunnel"
4
 (il serpente 
nel tunnel), che permetteva di gestire le fluttuazioni delle monete 
                                                           
4
 Il "serpente" monetario europeo nasce nell'aprile del '72, con varie monete partecipanti 
(anche non CEE) in tempi diversi, e con margini di fluttuazione del 2.25 per cento. E' un ten-
tativo di stabilità di fronte a Washington che ormai manovrava il dollaro in difesa dell'econo-
mia Usa. Ha vita agitata, ma sono tempi monetari agitati per tutti. In poco più di sei anni ve-
de sette uscite di monete dal meccanismo, nove riaggiustamenti, in particolare quattro rivalu-
tazioni del deutschemark, l'ingresso e la rapida uscita della valuta inglese e irlandese, la non 
partecipazione italiana.  
 12
 
 
nazionali all’interno di ben precisi e stretti limiti nei confronti del 
dollaro. Anche in questo caso, però, il tentativo non ebbe succes-
so: nell’arco di due anni, infatti, gran parte dei partecipanti abban-
donò il sistema. Si assistette così alla repentina conclusione 
dell’UEM, dovuta in parte a fattori imprevisti intervenuti sulla sce-
na internazionale, ma anche a divergenti politiche nazionali, ad 
una incompleta strategia economica e ad una debolissima volontà 
politica dei suoi partecipanti. 
Va comunque sottolineato che il fallimento del primo tentati-
vo dell’UEM non fece diminuire l’interesse per quest’idea. Nel 
1977 si ebbe un nuovo rilancio, ma fu solo nel 1979 che si arrivò a 
costituire un Sistema Monetario Europeo
5
 (SME). Dei nove mem-
bri dell’epoca, unicamente la Gran Bretagna rifiutò la partecipa-
zione. 
Se da un lato questa decisione era stata presa in risposta 
all’instabilità monetaria che stava danneggiando notevolmente il 
commercio, gli investimenti e la crescita economica, dall’altra tutti 
i membri si proposero come priorità assoluta quella di tenere sotto 
controllo l’inflazione. In altre parole si trattava di rafforzare eco-
nomicamente e politicamente l’Europa, specie in un momento in 
cui la potenza degli Stati Uniti risultava sempre più debole.  
E lo SME rappresentava il mezzo prescelto per raggiungere 
questo obiettivo. Il sistema elaborato per lo SME prevedeva 
un’innovazione considerevole rispetto a quanto già sperimentato 
                                                           
5
 Lo SME è l'accordo generale di cooperazione monetaria fra i Paesi dell'Unione europea 
entrato in vigore il 13 marzo 1979. Obiettivo di questo accordo è la creazione di una zona di 
stabilità monetaria in Europa. A tal fine, sono stati approntati vari strumenti, tra i quali spic-
cano l'istituzione dell'ECU e la definizione di meccanismi di intervento e di cambio per man-
tenere stabile il rapporto fra le monete partecipanti. 
 13
 
 
in precedenza. Il principio era quello di "tassi di cambio stabili ma 
aggiustabili", basati su un cambio centrale definito in relazione 
all’ECU
6
 (European Currency Unit), anch’esso una nuova inven-
zione costituita come media ponderata delle singole unità di conto 
partecipanti allo SME.  
Venne costruita una griglia con i tassi di cambio bilaterali, 
fissati in base all´ECU, e venne prescritto un margine di fluttua-
zione tra le valute compreso tra +/- 2,25%, ad eccezione della lira 
a cui fu concesso un margine di +/- 6%. Inoltre, fu deciso che e-
ventuali modificazioni dei tassi di cambio stabiliti in quella sede 
sarebbero dovuti essere approvati unanimemente dagli stati 
membri e dalla Commissione. 
Per la prima volta, quindi, si delegava parte del potere di 
decisione in materia monetaria ad un’istituzione sovranazionale, 
nella fattispecie europea. Si assiste così ad un primo vero e pro-
prio tentativo di coordinazione monetaria, in quanto questi termini 
ristretti di movimento tra le varie divise impegnavano le singole 
autorità statali a procedere con rigore nella gestione della propria 
economia e politica. 
All’epoca delle negoziazioni per la definizione del Trattato di 
Maastricht era ormai certo che lo SME si era rivelato un successo, 
incrementando di conseguenza il favore attorno all’idea di proce-
dere alla discussione per un rilancio dell’UEM. La possibilità di ri-
                                                           
6
 L'ECU (European Currency Unit) è l'unità di conto europea istituita nell'ambito dello Sme. 
Essendo un'unità di conto, l'ecu non assume forma fisica di monete metalliche o biglietti di 
banca, ma è una moneta "virtuale" che serve a definire la parità centrale fra le valute dell'U-
nione, oltre che a regolare gli squilibri finanziari fra i paesi membri.  
 14
 
 
tentare la costituzione di un’unione economica e monetaria era in 
realtà già nell’aria.  
Lo sviluppo positivo del mercato unico stava richiamando da 
tempo l’attenzione dei governi europei su una strategia per miglio-
rare ulteriormente queste performances. Era opinione comune 
che gli elevati costi di transazione valutaria rappresentavano un 
ostacolo non trascurabile, ed essi avrebbero inevitabilmente im-
pedito, con il passare del tempo, la completa realizzazione della 
libera circolazione di capitali, beni e servizi.  
Inoltre, l’autonomia monetaria dei singoli paesi membri era 
incompatibile con gli obiettivi della Comunità, primo fra tutti la de-
terminazione di tassi di cambio fissi. 
Nel corso del Consiglio europeo di Hannover, nel 1988, fu 
nominato un Comitato per lo studio dell’Unione economica e mo-
netaria, presieduto dal presidente della Commissione, Jacques 
Delors
7
, e dai governatori delle Banche Centrali degli stati mem-
bri. Le conclusioni unanimi a cui si pervenne definirono "l’obiettivo 
UEM" in questo modo: la completa liberalizzazione dei movimenti 
di capitali, l’integrazione completa dei mercati finanziari, la totale 
ed irreversibile convertibilità delle monete nazionali e l’irrevocabile 
fissazione di tassi di cambio, da realizzarsi parallelamente all'eli-
minazione dei margini di fluttuazione e da intendersi in prospettiva 
di una possibile sostituzione delle monete nazionali con un’unica 
unità di conto europea.  
                                                           
7
 Economista e uomo politico francese (1925). Socialista, presidente della Commissione e-
secutiva della CEE (1985-1994), ha elaborato nel 1989 il piano per l'integrazione monetaria 
europea.  
Fonte: DE AGOSTINI, Gedea multimediale, 1998/99. 
 15
 
 
Sulla base di questa definizione, il rapporto propose la rea-
lizzazione di una nuova UEM attraverso tre fasi successive: dalla 
stretta coordinazione economica e monetaria alla moneta unica 
ed alla Banca Centrale Europea. Quest’ultima avrebbe dovuto es-
sere, a detta degli esperti, assolutamente indipendente dalle auto-
rità nazionali nell’esercizio delle sue funzioni. Inoltre, veniva ri-
chiesto un forte impegno da parte dei governi, soprattutto in mate-
ria di deficit di bilancio, tanto in riferimento all’ammontare quanto 
ai metodi di finanziamento. 
Le conclusioni raggiunte dal Comitato di studio sulla moneta 
unica sono state oggetto di discussione nel corso del Consiglio 
europeo di Madrid, tenutosi nel giugno 1989. I capi di stato e di 
governo degli allora Dodici membri della Comunità decisero che a 
partire dal 1° luglio 1990 avrebbe preso avvio la prima fase (delle 
tre suggerite dal Comitato) dell’UEM con la completa realizzazio-
ne della libera circolazione dei capitali in otto paesi della Comuni-
tà. 
Con il Trattato di Maastricht sull’Unione europea del 1992 fu 
ribadita la volontà di dar vita ad una moneta unica europea, forte 
e stabile, entro la fine del secolo. Nacque, così, il Trattato sull'U-
nione europea, che venne firmato a Maastricht nel febbraio del 
1992. Tale trattato costituisce un insieme di disposizioni alcune 
delle quali sono di portata estremamente innovativa. 
Allo stesso trattato sono aggiunti vari protocolli e dichiara-
zioni, tra cui spiccano i due protocolli che definiscono lo statuto 
 16
 
 
del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC), dell'Istituto 
Monetario Europeo (IME) e della Banca Centrale Europea (BCE).  
 
In particolare il Trattato è articolato nelle seguenti sezioni: 
 
• disposizioni comuni (Titolo I). Questa prima sezione definisce 
le linee guida che ispirano l'azione comunitaria, il cui compito è 
quello di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni 
tra gli Stati membri ed i loro popoli; 
• modifiche al trattato CEE (Titolo II). Questa sezione rappre-
senta la parte più innovativa dell'intero Trattato di Maastricht a 
cominciare dall'alto valore simbolico da attribuire alla disposi-
zione che sostituisce l'espressione "Comunità Economica Eu-
ropea" con "Comunità Europea" in tutto il Trattato di Roma del 
1957.  
La modifica è un evidente segnale della volontà di non limitare 
più l'azione della Comunità alle sole relazioni economiche ma 
di estenderla anche ad altri campi considerati di esclusiva 
competenza degli Stati membri; 
• modifiche ai Trattati CECA ed Euratom (Titoli III e V). Le di-
sposizioni contenute in questi due titoli si limitano ad estendere 
anche ai Trattati CECA ed Euratom le modifiche già previste 
per il Trattato CEE; 
• disposizioni relative alla cooperazione nei settori della 
Giustizia e degli Affari Interni (Titolo VII). Al fine di realizzare 
una più efficace cooperazione nel settore del controllo delle 
frontiere si è deciso di delineare alcune strategie comuni tra gli