INTRODUZIONE 
Fin da quando ho iniziato il mio percorso accademico presso l‟Università 
Cattolica del Sacro Cuore sono sempre stata interessata alle problematiche 
inerenti il disagio infantile ed eventuali linee guida grazie al quale poter 
relazionarsi ed attuare percorsi educativi in realtà difficili e delicate. 
La scelta di attuare il tirocinio obbligatorio del secondo anno della laurea 
specialistica nella comunità “Girotondo” non è nata esclusivamente dal fatto che 
già conoscevo le persone che frequentano la comunità o per la vicinanza fisica 
al luogo di lavoro che non avrei avuto intenzione di lasciare o di sacrificare. 
In realtà fin dal primo anno della laurea triennale è sempre stato vivo in 
me l‟interesse di poter fare un‟esperienza significativa in una comunità alloggio 
per bambini con disagio sociale, con vissuti di maltrattamenti, abuso o incuria 
famigliare. 
Avendo conosciuto questa comunità per minori per motivi di convivenza 
comune nella stessa struttura, siccome lavoro da 5 anni per un‟associazione 
ONLUS che opera nel campo della disabilità infantile e ha sede nello stesso 
palazzo, ho ritenuto opportuno chiedere alla cooperativa che ha in gestione la 
comunità la possibilità di poter fare la tirocinante presso di loro. 
I piani che separano il centro dell‟Abilità con la comunità “Girotondo” 
sono solo quattro e all‟inizio non bastavano per nulla per permettermi di essere 
pronta ad attuare degli interventi educativi e a mettermi in relazione con questi 
bambini, ad accoglierli, ascoltarli, accettarli. 
Rilevando questo limite, ho iniziato a riflettere su quale potesse essere 
l'impostazione mentale, metodologica, da fare mia in modo da aprire il mio 
mondo al loro e viceversa. 
Frequentando le lezioni universitarie del Professor Giuseppe Vico e il 
corso di formazione dell‟associazione Educatori Senza Frontiere – Exodus, di 
6 
cui Vico è stato Presidente, ho iniziato a conoscere la teoria educativa del 
professore che vede l‟educazione e il percorso di crescita dell‟individuo come 
un‟erranza, una ricerca, un percorso di cammino, un‟itineranza. 
Fin da subito ho condiviso con il professor Vico la passione per questa 
impostazione teorica, ritenendola vicina al mio modo di pensare ed interpretare 
l'educazione e la relazione d'aiuto. 
Riconoscendo la bellezza di questa teoria, ho iniziato a chiedermi se 
fosse possibile attuarla in un contesto educativo come quello della comunità 
alloggio per minori, in cui io stavo vivendo una situazione di crisi e di ricerca 
professionale. 
Per questo motivo ho scelto di fare della mia tesi specialistica una 
grande occasione riflessiva, di crescita e di ricerca personale e professionale, in 
relazione diretta alla mia esperienza con disagio infantile. 
Il professor Vico ha accettato subito la mia proposta di ricerca, 
accompagnandomi e avvicinandomi alla conoscenza dei suoi principi teorici in 
relazione all‟erranza educativa. 
Il percorso di tesi è strutturato a cerchi concentrici: il cerchio maggiore 
riguarda il tema del disagio infantile, che viene poi analizzato attraverso la 
teoria pedagogica dell’erranza educativa. Il focus poi si concentra su un 
contesto specifico in cui incontrare il disagio ed attuare la linea teoria 
dell‟erranza, la comunità “Girotondo”. Infine viene analizzato un specifico 
aspetto dell‟erranza educativa in comunità, ovvero l‟aggressività, il momento di 
sosta nel percorso. 
Percorrendo questa spirare cercherò di riflettere sul vissuto 
dell'educatore e di trovare i punti di forza all'interno della teoria dell'erranza 
educativa che possono permettergli di rimanere con sicurezza accanto al 
bambino e favorendo la sua crescita. 
Questa tesi non ha la pretesa di individuare dei principi operativi in 
relazione all‟educazione in comunità con bambini disagiati, ma vuole essere 
un‟occasione di riflessione e di crescita soffermandosi sulle difficoltà che si 
incontrano nella quotidianità educativa e nella relazione con bambini un po‟ 
speciali, ma pur sempre bambini in cammino. 
7 
1 
IL DISAGIO INFANTILE: 
LE POSSIBILI INTERPRETAZIONI 
[…] 
Dimmi, o luna: che vale 
al pastor la sua vita, 
la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende 
questo vagar mio breve, 
il tuo corso immortale? 
G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia 
1.1 Introduzione 
Le società del Nuovo Millennio si manifestano come delle società 
multiformi, complesse, interconnesse tra loro, caratterizzando uno scenario 
difficile da conoscere e da interpretare e le cui interrelazioni hanno effetto su 
tutto il pianeta. 
Questo mondo ha generato, riducendo i tempi e accorciando gli spazi, un 
processo di globalizzazione economica, culturale, sociale, ecc. che ha portato 
1
molte conseguenze sulla vita delle persone. 
La comprensione di questi fenomeni è possibile solo se si fa proprio il 
paradigma della complessità come strumento di lettura della realtà. Come è 
emerso, la complessità è la caratteristica distintiva che meglio evidenzia 
2
l‟estrema articolazione raggiunta dalla nostra società: 
- l‟ambivalenza del mondo, cioè l‟impossibilità di ricondurre 
atteggiamenti, azioni, pensieri, a schemi condivisi e comuni; 
- la caduta dei miti (religione, ragione, scienza, tecnica,…), che ha 
generato la perdita di un modello-guida culturale e valoriale valido che fosse 
1
 Z. BARMAN, Dentro la globalizzazione, le conseguenze sulle persone, Laterza, Bari, 1999, pag 
31. 
2
 G. MANCA, DISAGIO, Emarginazione e devianza nel mondo giovanile, Bulzoni, Roma, 1999, 
pag. 89 e Z. Barman, Dentro la globalizzazione, le conseguenze sulle persone, pag. 46 
8 
condivisibile tra tutti gli uomini. In particolare la religione ha ricoperto nella storia 
dell‟umanità la funzione di orizzonte di riferimento fondamentale per permettere 
alle società e agli individui di muoversi nelle scelte comuni e non in modo 
abbastanza chiaro e comune. 
- l‟aumento di flussi migratori da uno stato ad un altro, da un 
continente ad un altro, dal Terzo Mondo al Primo Mondo. All‟interno della 
stessa società ora è facilmente rilevabile la presenza di gruppi etnici molto 
differenti tra loro per cultura, religione, ideologie, provenienza, ecc.; 
- l‟incessante velocità degli avvenimenti, acceleramento dei 
processi di sviluppo e produzione; 
- l‟esplosione delle conoscenze, con la coesistenza di progresso e 
ambiguità. Sono state così modificate le modalità di apprendimento e di 
relazione tra gli individui (internet, web, e-mail, cellulare,…); 
- l‟aumento della complessità sociale, cioè maggiore imprevedibilità 
dei fenomeni che accadono, aumento del caos e del disordine percepito, 
difficoltà di analisi della società, ecc. 
Questi fatti, associati a differenze comuni ad ogni epoca storica, cioè 
differenze di genere, sociali e individuali, ci restituiscono una società che fa 
fatica ad offrire in egual misura ad ogni suo componente dei punti stabili di 
riferimento, uguali diritti e doveri e la possibilità di sviluppo pieno del pensiero e 
3
della personalità. 
Tutto ciò ha inevitabili conseguenze sulla strutturazione e sulla qualità 
dei rapporti interpersonali, soprattutto sulle relazioni educative. In un clima 
determinato da tali incertezze il solo rifugio si trova nella quotidianità, cioè 
investendo il meno possibile sul futuro, che è guardato con preoccupazione e 
diffidenza. 
In uno scenario di questo tipo non ci si deve affatto stupire se individui 
adulti e non si sentano esclusi e quindi vivano uno stato di disagio 
esistenziale. 
Il disagio, quindi, si presenta oggi come uno dei temi di ricerca più carichi 
di motivazioni siccome, visto come espressione di un sentimento di malessere 
3
 A. GIDDENS, Il mondo che cambia, Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, 
Bologna, 2000, pag. 35-38. 
9 
esistenziale e sociale, sembra colpire in modo più o meno significativo tutti i 
soggetti dell‟età contemporanea. 
Per questo motivo il disagio si manifesta attraverso numerose 
caratteristiche e sfaccettature che si cercherà di analizzare e approfondire nelle 
pagine seguenti. 
1.2 Un'analisi storica 
Il termine “disagio”, che attualmente è molto presente nel linguaggio 
comune e in quello dei professionisti, non appartiene direttamente ad un 
vocabolario pedagogico o psicologico. Il disagio, infatti, non gode di uno statuto 
scientifico, non è un termine tecnico ma viene usato nel lessico comune. 
Tuttora non esiste una teoria psicologica o sociologica del disagio e su 
4
questo argomento gli studiosi non sono affatto omogenei. 
Cercando su un dizionario o in una comune enciclopedia on-line il 
significato di questa parola, il disagio, si possono leggere definizioni simili a 
5
questa: 
disagio: [di-ʃà-gio], s.m. (pl. -gi) 
1 Mancanza di agio, di comodità: condizione, situazione di d.; i 
disagi di un lungo viaggio 
‖ Fatica, privazione: i molti disagi della vita 
2 Imbarazzo, difficoltà: essere, sentirsi, trovarsi a d. 
‖ Mettere a disagio, mettere in imbarazzo 
6
Per la lingua italiana il disagio è una situazione di mancanza, di 
malessere, che è causata da fattori differenti. Una persona può sentirsi 
4
 G. FROGGIO, Psicosociologia del disagio e della devianza giovanile, Laurus Robuffo, Roma, 
2002, pag. 18. 
5
 A. GABRIELLI, Grande dizionario italiano Hoepli, Hoepli, 2008, pag. 345. 
6
 Ho voluto specificare nella lingua italiana perché nelle lingue anglosassoni non esiste un 
termine di simile significato. Infatti è molto spesso utilizzato il termine “disadattamento” o 
“devianza” per indicare situazione sociali simili a quelle descritti in italiano con la parola 
“disagio”. 
È stata presa come riferimento la lingua anglosassone siccome i principali studi sociologici e 
psicologici sulle condizioni di disagio giovanile sono di origine anglosassone. L‟idea di disagio 
10 
disagiata per motivi economici, culturali, oppure può sentire emozioni sgradevoli 
in relazione agli altri che la circondano o infine per motivi prettamente fisici di 
malessere. 
Il termine “disagio” riguarda un‟amplissima sfera di discipline umanistiche 
7
ed è il comune oggetto materiale di analisi e si tratta di una disciplina che ha 
storia molto recente. Questo termine è stato introdotto per la prima volta nel 
linguaggio tecnico e poi comune dalla sociologia. 
Per la sociologia, che fino ad ora è stata la disciplina che più ha studiato 
8
e analizzato questo tema, il disagio riguarda soprattutto le giovani 
9
generazioni. La sociologia ha infatti come obiettivo di studio il riuscire a 
descrivere e interpretare i comportamenti e gli stili di vita delle persone nei 
diversi periodi storici. Il concetto di disagio è stato introdotto per descrivere i 
giovani degli ultimi decenni. 
Dagli anni ’60 il mondo giovanile cambia in modo molto radicale, 
passando da atteggiamenti piatti e conformisti ad un inversione completa di 
tendenza: i giovani cominciarono ad attirare l‟attenzione del mondo adulto 
attraverso degli atteggiamenti esteriori non convenzionali (abbigliamento, 
musica, linguaggio,…). 
Furono numerose le espressioni del mondo giovanile, che rimase solo 
provocazione innocente fino al biennio del ‟67-‟68, in cui esplose la 
contestazione al sistema adulto nella forma più rabbiosa ed evidente. 
La condizione sociale di questo nuovo gruppo di giovani era 
caratterizzata dalla marginalità, infatti vivevano in uno status sociale 
completamente differente rispetto agli adulti, avevano meno diritti, meno 
responsabilità, meno possibilità di partecipazione alla vita collettiva e alle 
decisioni sociali. Inevitabile fu poi l‟associare questa condizione di marginalità a 
10
quella di devianza, fino a definire il ‟68 “una forma di devianza di massa”. 
Negli anni ’70 il movimento giovanile si spegne e il gruppo si divide in 
molti sottogruppi, con identità e obiettivi differenti, scollegati tra loro. 
nasce nel mondo austro-ungarico ad inizio „900, e viene identificato con il termine unbehagen 
(spaesamento). 
7
 A. PESSINA, Appunti di filosofia della persona, A.A. 2007/08. 
8
 In tutto l‟elaborato il termine “giovane” riguarderà gli individui in età di sviluppo. 
9
 G. FROGGIO, Psicosociologia del disagio e della devianza giovanile, pag. 19-20. 
10
 Ivi, pag. 20. 
11 
All‟inizio degli anni ’80 la condizione giovanile risulta, agli occhi degli 
studiosi, frammentata in una molteplicità di vissuti soggettivi e privati, che fu 
chiamata “soggettivismo”: i giovani sentono di vivere in una società altamente 
complessa e decidono di vivere ai margini, prendendo posizioni sempre più 
11
deboli e silenziose, siccome il grande sogno di poter cambiare il mondo che 
aveva animato le generazioni dei decenni precedenti era fallito. 
In questi anni iniziò ad essere utilizzato dai ricercatori che osservavano e 
studiavano questi fenomeni sociali una nuova categoria come chiave di 
comprensione: il disagio. 
Questa nuova categoria sostituì le precedenti chiavi interpretative 
utilizzate siccome era possibile generalizzarla ad un maggior numero di 
individui in modo superiore rispetto alle categorie della devianza o del 
disadattamento. 
Con il termine disagio si cerca tutt‟ora di analizzare una condizione di 
sofferenza sociale, economica e psicologica che potrebbe sfociare in 
comportamenti sociali inadeguati come l‟aggressività. 
Come in ogni comportamento sociale positivo o negativo, è impossibile 
conoscere a priori l‟esito di questa condizione, si pone infatti in una posizione 
intermedia tra il normale (a patto che possa essere individuata la normalità…) e 
il patologico. 
Ma la condizione di disagio giovanile di questi anni non può essere letta 
solo sotto un‟ottica negativa, non è stata solo mera protesta contro la società e 
il “mondo degli adulti”. 
Gli anni ‟60 e ‟70 in Italia sono stati anni di effervescenza e di 
maturazione della riflessione sulle istituzioni e sul loro ruolo fondamentale nella 
società. 
Grazie a questa ribellione e protesta esplicita contro le istituzioni, in ogni 
loro forma, ha facilitato in un evolversi positivo la riflessione sull‟educazione e 
sulle sue espressioni attraverso gli strumenti dello Stato e della società. 
Gli anni ‟70 hanno visto le più importanti evoluzioni legislative riferite alle 
istituzioni: 
11
 Ivi, pag. 22. 
12 
- Legge 381/70, Aumento del contributo ordinario dello Stato a 
favore dell'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza ai sordomuti e 
delle misure dell'assegno di assistenza ai sordomuti; 
- Legge 118/71, si riconosce per la prima volta il diritto all’istruzione 
nella scuola comune e si dispongono provvedimenti per assicurarne la 
frequenza. Per i mutilati e invalidi civili, che frequentano la scuola 
dell‟obbligo o i corsi di addestramento professionale finanziati dallo 
Stato, si prevede il trasporto gratuito, l‟eliminazione delle barrire 
architettoniche nelle sedi scolastiche e l‟assistenza durante gli orari 
scolastici per i casi più gravi. 
La legge 118/71 è la prima legge, non settoriale, che predispone in 
maniera organica norme per la frequenza nella scuola comune e in 
quanto tale sarà il punto di riferimento per le successive disposizioni in 
materia; 
- Legge 517/77, Integrazione scolastica di soggetti portatori di 
handicap (4 agosto 1977). La legge sottolinea l‟importanza di interventi 
educativi individualizzati e finalizzati al pieno sviluppo della personalità 
degli alunni, prevede attività di gruppo anche fra classi diverse, consente 
di svolgere attività integrative nell‟ambito della programmazione 
educativa e indica criteri per l‟utilizzazione degli insegnanti di sostegno. 
Si introduce per la prima volta il termine integrazione; inoltre, non ci si 
riferisce più a distinte categorie di disabili, ma a tutti i portatori di 
handicap. 
In questa disposizione amministrativa si prescrive: la presenza 
dell‟insegnante di sostegno ogni quattro alunni con handicap; la non 
utilizzazione di insegnanti senza qualifica o esperienza nel campo 
dell‟handicap; la piena partecipazione dell‟insegnante di sostegno a tutte 
le attività connesse con la programmazione didattica; la necessità di 
disporre di una specifica descrizione di situazione e di comportamento 
dell‟alunno con handicap. 
Viene evidenziato, inoltre, nella collaborazione tra scuola e servizi del 
territorio le condizioni necessarie per la piena realizzazione dei processi 
d‟integrazione scolastica; assegna ai distretti scolastici compiti di 
programmazione in relazione alle diverse forme di sostegno da 
13 
predisporre nella scuola; ribadisce i compiti dei gruppi provinciali di 
lavoro costituiti presso i provveditorati agli studi. 
Questa legge pone le basi più salde per la stesura successiva della 
legge quadro sulla disabilità del 1992, la legge 104/92. 
- Legge 180/78, Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e 
obbligatori (13 maggio 1978): meglio nota come legge Basaglia, dal suo 
promotore in ambito psichiatrico, Franco Basaglia, è una nota e 
importante legge quadro che impose la chiusura dei manicomi e 
regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di 
igiene mentale pubblici. Successivamente la legge confluì nella legge 
833/78 del 23 dicembre 1978, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale. 
La legge fu una vera e propria rivoluzione culturale e medica, basata 
sulle nuove e più "umane" concezioni psichiatriche, promosse e 
sperimentate in Italia da Franco Basaglia. 
Prima di allora i manicomi erano poco più che luoghi di contenimento 
fisico, dove si applicava ogni metodo di contenzione e pesanti terapie 
farmacologiche e invasive, o la terapia elettroconvulsivante. 
Le intenzioni della legge 180 erano quelle di ridurre le terapie 
farmacologiche ed il contenimento fisico, instaurando rapporti umani 
rinnovati con il personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e la 
necessità di una vita di qualità dei pazienti, seguiti e curati da ambulatori 
territoriali. 
La legge 180 demandò l'attuazione alle Regioni, le quali legiferarono in 
maniera eterogenea, producendo risultati diversificati nel territorio. Nel 
1978 solo nel 55% delle province italiane vi era un ospedale psichiatrico 
pubblico, mentre nel resto del paese ci si avvaleva di strutture private 
12
(18%) o delle strutture di altre province (27%). 
Di fatto solo dopo il 1994, con il Progetto Obiettivo e la razionalizzazione 
delle strutture di assistenza psichiatrica da attivare a livello nazionale, si 
completò la chiusura effettiva dei manicomi in Italia. 
Nonostante critiche e proposte di revisione, la legge 180 è ancora la 
legge quadro che regola l'assistenza psichiatrica in Italia. 
12
 edscuola.it, Dossier sulla legge Basaglia, 2003. 
14 
L‟analisi della produzione legislativa degli anni ‟70 sottolinea come il 
disagio giovanile del ‟69 e del periodo successivo non sia stato solo 
contestazione e protesta ma che è stato anche motivo di grande riflessione e 
ristrutturazione delle istituzioni pubbliche e della riflessione sull‟importanza 
dell‟uguaglianza e dell‟integrazione. 
Tutto ciò non fa che ulteriormente sottolineare l‟importanza 
dell‟osservazione e dello studio del disagio per poter permettere ad ognuno e 
alla società di riflettere su particolari problematiche e di trovare una soluzione 
ideale alle nuove esigenze emerse. 
1.3 Le possibili interpretazioni 
La vita dell‟uomo, di ogni uomo, è così complessa e ricca di sfumature 
che risulta quasi impossibile analizzarne un aspetto in modo univoco, attraverso 
un‟unica analisi. 
Anche il disagio può quindi essere letto attraverso lenti differenti e grazie 
ad ognuna di esse si cercherà di meglio comprendere questa area di analisi del 
vissuto dell‟uomo, di ogni uomo. 
13
1.3.1 Il disagio letto attraverso l‟arte e la letteratura del novecento 
Da sempre l‟arte, la letteratura, la filosofia, la musica e ogni altra forma di 
espressione del pensiero umano è stata uno strumento per riflettere, sfogare e 
dare luce ad ogni forma di esistenza possibile, quindi anche a situazioni di 
disagio proprie di tutti gli esseri umani, in ogni fase della loro storia. 
Per questo è possibile individuare espressioni del disagio esistenziale in 
ogni corrente artistica e di pensiero che ha caratterizzato e caratterizza ora 
l‟umanità, come il romanticismo o il decadentismo. 
13
 Paragrafo steso grazie alla collaborazione con Angelo Crippa, docente di Lettere e Filosofia 
presso l‟Istituto “Villa Greppi” di Casatenovo (LC). 
15 
Ho scelto di concentrare la mia riflessione sull‟epoca contemporanea, 
essendo quella che ha maggiore influenza sul tempo presente. l punto di 
partenza è una lirica composta a Recanati nella primavera del 1830 da un 
grande scrittore della letteratura italiana: Giacomo Leopardi. 
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, 
silenziosa luna? 
Sorgi la sera, e vai, 
contemplando i deserti; indi ti posi. 
Ancor non sei tu paga 
Di riandare i sempiterni calli? 
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga 
Di mira queste valli? 
Somiglia la tua vita 
La vita di un pastore. 
[…] 
Dimmi, o luna: che vale 
Al pastor la sua vita, 
la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende 
questo vagar mio breve, 
il tuo corso immortale? 
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, G. Leopardi 
Il poeta veste i panni primitivi del pastore per ammirare con ingenuo 
stupore l‟universo e per lanciare alla luna angosciosi interrogativi sulla vita e sul 
destino del mondo, rappresentando attraverso la poesia lo smarrimento e 
14
l‟angoscia del cuore umano. 
Tutta la produzione letteraria di Leopardi e di altri autori dell‟800, insieme 
agli scritti filosofici di Nietzsche e Kierkegaard, saranno i punti di riferimento 
della riflessione artistico - letteraria della prima metà del XX secolo, in 
particolare negli anni tra le due guerre mondiali. Essi vengono recuperati e 
ritornano molto di moda negli ambienti culturali di questo periodo. 
Questi anni vedono un grande disagio diffuso in tutte le generazioni e i 
motivi storici di questa sensazione sono evidenti: il primo grande conflitto 
mondiale della storia dell‟umanità sconvolge tutti in primo luogo perché si era 
arrivati a pensare che le guerre, grazie alla tecnologia, sarebbero state 
esclusivamente scontri brevi tra eserciti regolari. In realtà si rivela una 
carneficina di civili e militari. 
14
 G. LEOPARDI, Canti e operette morali, Ed, Fabbri, Milano, 1968, pag. 103. 
16 
Inoltre la condizione politico-economica che segue porta confusione e 
incertezza tra i popoli, fino alla creazione di gruppi di pensiero estremista che 
porteranno alle contraddizioni e alle tragedie della seconda guerra mondiale. 
Questa condizione è maggiormente percepita dagli stati austroungarici e 
la parola che meglio sintetizza questo sentimento è Unbehagen: è una 
situazione psicologica di straniamento, di “sentirsi fuori posto”, di disagio, di 
spaesamento. 
Nietzsche stesso esprime l‟ideale del super-uomo (ubermensch), di colui 
che non ha paura di nulla, diventando attraverso Freud il filosofo 
dell‟inquietudine, dell‟incertezza, della difficoltà di vivere. 
In lingua tedesca scrive F. Kafka, un ebreo di Praga, che vive in una 
condizione di disagio e spaesamento per molti motivi: è ebreo in un periodo 
storico in cui era un grosso problema esserlo, soprattutto se di lingua tedesca, 
scrive le sue opere subito dopo la caduta dell‟impero austroungarico quindi vive 
in pieno la crisi politica. 
Oltre a Kafka si afferma l‟opera di Freud, per il quale la vita nasce da 
una condizione infantile in cui tutte le caratteristiche umane sono ancora 
indistinte e indefinite, e col passare del tempo, col l‟esperienza di vita si 
definisce la propria identità. Quindi sostiene la vita come ricerca di sé. 
In lingua francese troviamo Proust, ebreo, che sostiene l‟idea di Freud di 
ricercare il sé nell‟infanzia, nella nostalgia del passato e delle proprie origini. 
In Italia abbiamo come principali scrittori L. Pirandello e I. Svevo i “due 
grandi solitari del Novecento” che scrivono per lunghi anni nel silenzio della 
critica, cercando di creare una anti-letteratura in definitiva rottura con gli stili 
15
consueti. 
La Coscienza di Zeno è il libro della ricerca del sé, il libro dell‟uomo che 
ha perso ideali, obiettivi e riferimento e che quindi cerca se stesso e ricerca un 
senso nella sua vita. 
Sei personaggi in cerca d’autore può essere letto come l‟espressione 
della spersonalizzazione, della mancanza e quindi della continua ricerca di una 
propria identità, di un senso nel mondo. È un romanzo “da fare”, da costruire 
dal nulla. I protagonisti degli scritti pirandelliani non sono che incompresi, 
15
 P. DI SACCO, L‟epopea del personaggio, uno studio sul teatro di Pirandello, Ed. Lucarini, 
Roma, 1984, pag. 8-10. 
17 
16
uomini perdenti e derisi, che stanno al limite della società e in continua lotta 
per la sopravvivenza e la ricerca, in un continuo errare. 
Se il nome è una cosa; se un nome è in noi il concetto di 
ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il 
concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e 
non definita; […] 
Volto subito gli occhi per non vedere più nulla fermarsi 
nella sua apparenza e morire. Così intanto posso vivere, 
ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il 
pensiero si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi 
faccia il vuoto delle vane costruzioni. 
Uno, nessuno, centomila, L. Pirandello 
Entrambi gli autori sono tornati molto di moda negli ultimi anni, 
certamente per un‟affinità di pensiero e di riflessione in riferimento ai vissuti 
delle nuove generazioni, siccome con la globalizzazione è riemersa la 
percezione di uno spaesamento, di una mancanza di orizzonte di riferimento 
conosciuto e conoscibile. 
L‟arte figurativa ha come suo grande portavoce del disagio P. Picasso: 
anche la bellezza e l‟estetica sono messe in discussione e non vi certezza 
nemmeno di ciò che possiamo vedere e giudicare bello, come ne Les 
damoiselles de Avignone. 
Dopo la seconda guerra mondiale, con l‟avvento anche delle nuove 
tecnologie, il cinema e la televisione diventano innovativi canali di 
comunicazione con le masse, per raccontare al mondo il proprio disagio. 
Un grande artista del Novecento italiano utilizzerà proprio il cinema come 
principale mezzo di espressione: Pier Paolo Pasolini. 
Pasolini è molto importante perché è stato un polemista verso la società, 
ad esempio la critica verso la scuola media o verso la televisione (“Niente di più 
17
feroce della banale televisione”). In generale fa una critica verso la società dei 
consumi accusandola di omogeneizzare gli individui attraverso la pubblicità e 
l‟acquisto. 
Gli anni ‟60 e ‟70, momento della vera esplosione del disagio giovanile 
che parte dagli Stati Uniti fino a raggiungere l‟intera Europa, fa della musica il 
proprio urlo di aiuto. 
16
 Ivi, pag. 72. 
17
 www.youtube.com 
18 
Questi sono gli anni della beat generation, di J. Kerouac e di A. 
Ginsberg, degli hippies, delle marce contro la guerra in Vietnam e della musica 
18
pop e rock. 
In Italia è l‟epoca dei grandi cantautori, molti con le note intrise di politica 
e di protesta. Tra tutti emerge la figura di F. De Andrè, genovese, chitarrista e 
cantautore, che spesso riesce a lasciare da parte l‟aspetto sociale e politico per 
esprimere il disagio esistenziale degli anni in cui vive. 
Non è possibile tralasciare questo grande cantautore, il più grande, 
nell'anno del decennale della sua scomparsa. Ha cantato le vere persone 
disagiate della sua epoca: rivoluzionari, prostitute, anarchici, poveri, pazzi, soli. 
La validità del pensiero degli artisti fin qui citati è stata confermata anche 
dal tempo, rimanendo sempre attuale nella riflessione umanistica 
contemporanea. 
Avvicinandoci ai giorni nostri, moltissimi sono gli autori che denunciano 
un disagio, personale o sociale, attraverso numerose forme artistiche. Ancora il 
tempo non li ha consacrato ma sono certo un grande, grandissimo stimolo di 
riflessione per questa generazione e quelle future. 
1.3.2 Il disagio come ricerca di identità ed erranza umana 
Il disagio è, per ogni individuo e in ogni età della vita, quella situazione di 
spaesamento, di tensione interiore che porta la persona a riflettere sulla sua 
condizione, sulla sua vita, cercando attraverso questi pensieri una via migliore 
per la propria esistenza. 
Questa condizione è necessaria per la strutturazione della propria 
identità, Queste riflessioni somigliano alle soste necessarie quando si è alla 
guida di un‟auto in un lungo viaggio: è fondamentale fermarsi per rifocillarsi, 
controllare che la strada intrapresa sia quella esatta per raggiungere la meta, 
18
 AAVV, Enciclopedia della musica, Ed. Garzanti, Milano, 2003, pag. 1037. 
19 
verificare il carburante ancora disponibile,… Questo è il tempo in cui ci si 
riposa, in cui si possono anche fare incontri nuovi, in cui ci si ritrova. 
L‟identità di una persona rappresenta l‟attrezzatura con cui essa sceglie 
e si impegna ad affrontare il mondo e la vita e costruisce a ragione un nucleo di 
resistenza per proteggersi dagli attacchi che vengono dall‟esterno. 
Il concetto di identità si presenta come l‟interazione di più fattori, che la 
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modificano o la stabilizzano sotto la loro influenza: 
 fattori biologici (età, sesso,…) 
 fattori sociali (classe sociale, background originario, etnia,…) 
 fattori ambientali (contesto socio-economico, città,…) 
 fattori psicologici (emotività, affettività, motivazioni,…) 
Su questi fattori agiscono degli elementi attivi, come ad esempio i modelli 
genitoriali, formazione ed istruzione, esperienze particolari, rapporto con gli altri, 
programmi di politiche sociali; e l‟identità di una persona, sia del bambino molto 
piccolo che dell‟anziano, si presenta come un sistema complesso che va dal 
fisico allo psichico, passa attraverso l‟esperienza quotidiana di vita e costituisce 
il suo essere più profondo. 
La strutturazione dell‟identità personale avviene dunque attraverso la 
strutturazione interiore delle componenti cognitive, affettive e relazionali che 
ogni soggetto realizza attraverso un processo di crescita lungo e complesso. 
Ricoeur propone di considerare l‟identità personale come un‟identità 
narrativa, ovvero un tessuto di storie, di relazioni e di eventi di uomini e 
comunità: non basta disegnare se stessi come autori dei propri atti, ma è come 
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se si rispondesse agli altri che mi interpellano e che contano su di me. 
Il soggetto, infatti, è una persona in relazione, non nasce solo su un‟isola 
ma in una società complessa e definita, in cui deve cercare un senso e un 
posto da occupare. 
Nella relazione con gli altri vi è la propria affermazione. Sono gli altri, 
infatti, che ci forniscono i feedback necessari alla crescita e alla definizione 
della nostra identità. 
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 S. CALAPRICE, Alla ricerca d‟identita‟, per una pedagogia del disagio, La Scuola, Brescia, 
2004, pag. 19. 
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 P. RICOEUR, Le temps raconte‟, Parigi, 1985 in S. CALAPRICE, Alla ricerca d‟identità, per una 
pedagogia del disagio, pag. 21. 
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