6 
collaborazione con le missioni archeologiche, le università e i centri di 
ricerca. La frequentazione della Rassegna è eterogenea, interessa 
tanto il settore specialistico quanto gli appassionati, le scuole e un 
pubblico assortito di curiosi.   
Nel 2008, l’anno in cui ho svolto il mio stage presso il museo di 
Rovereto, l’argomento privilegiato della Rassegna è stato l’Egitto 
Antico, un argomento sul quale il museo dispone di circa un’ottantina 
di documentari: mi è sembrato dunque di avere a disposizione 
materiale sufficiente per elaborare una tesi al riguardo.   
 
Il mio lavoro ha preso dunque avvio “sul campo”, attraverso la 
visione diretta delle opere. Il secondo passo è stato di analizzare 
ciascun filmato attraverso una particolareggiata scheda tecnica: 
produzione, durata, provenienza, sinossi, tipo di conduzione e così 
via. 
Le opere sono state successivamente confrontate secondo un 
criterio tematico, stilistico e tecnico: questo confronto ha reso 
possibile di distinguere i due stili principali, quello informativo e quello 
spettacolare, e d’individuare sette tematiche principali sotto cui 
raggruppare i documentari; riassumendole, troviamo: tombe/mondo 
funerario, città, personaggi storici, grandi scoperte, arte, vita 
quotidiana ed eventi storici. 
Infine, è importante sottolineare che le opere della Rassegna 
provengono da differenti Paesi europei e dagli Stati Uniti. Ho cercato 
dunque, d’individuare peculiarità ed analogie rispetto alla provenienza 
geografica del documentario: risulta che ogni nazione ha sicuramente 
sviluppato un carattere proprio – e che le differenze sono ancora più 
notevoli confrontando latini e anglosassoni.  
Nonostante il progressivo sviluppo, negli ultimi due secoli, 
dell’egittologia come scienza, l’immagine comune dell’Egitto Antico 
non ha conosciuto cambiamenti radicali. Restano infatti delle costanti 
pressoché immutabili: da una parte gli stereotipi dell’Egitto biblico, 
 7 
sacerdotale e misterioso, in bilico tra scienza e superstizione, tecnica 
e magia; dall’altra, parallelamente, la presenza di alcuni cliché, quali 
sono i diventati i simboli dell’antico Egitto ovvero le piramidi, i faraoni 
e le sfingi. 
Questa mistificazione cronica nel modo di comunicare l’Egitto 
Antico, è stato uno dei presupposti da cui sono partita: presupposto 
che ha poi trovato ampia conferma nell’analisi dei contenuti, dei temi 
e dei modi di presentare l’Egitto Antico da parte non solo 
dell’industria culturale ma anche da parte di settori più specializzati. 
La tesi è divisa in due parti: nella prima ho cercato d’individuare 
le ragioni storiche di questa continua stereotipizzazione. Ho deciso 
perciò di ricostruire, attraverso i momenti fondamentali, la storia 
della comunicazione dell’Egitto Antico e della sua immagine, dal 
mondo classico al Novecento, soffermandomi ovviamente sulla tappa 
fondamentale costituita dalla nascita e dallo sviluppo dell’egittologia.  
La seconda parte è dedicata al tema centrale del mio lavoro, là 
dove definisco le caratteristiche del documentario archeologico 
sull’Egitto Antico, analizzandolo nelle sue caratteristiche principali. 
Come detto, si tratta di un’analisi volta soprattutto a individuare e a 
descrivere le tendenze stilistiche e tematiche della recente produzione 
europea e statunitense.     
In ultimo, presento le schede tecniche dei documentari più 
rappresentativi che ho visionato, ovvero il materiale su cui ho 
sviluppato le mie argomentazioni.    
 8 
 9 
2. L’Egitto nel mito 
2.1 Mito e miticità: il doppio valore del mito 
nell’egittologia 
Esiste certamente un mito “storico” dell’Antico Egitto, ovvero 
una storia di come l’Egitto apparve prima della decifrazione dei 
geroglifici ad opera di Champollion, la quale aprì la strada a una 
comprensione razionale del “fenomeno Egitto”. Ripercorreremo allora 
le tappe fondamentali di questo mito. 
Bisogna però aggiungere che la nascita dell’egittologia – resa 
possibile appunto dalla decifrazione dei geroglifici e dal conseguente 
affermarsi di un sempre crescente interesse della comunità scientifica 
vieppiù organizzata – non ha se non in parte annullato la possibilità 
che aspetti mitici sorgessero e si sviluppassero tanto all’interno 
dell’egittologia quanto fuori di essa; a tal riguardo, non è scontato 
precisare da subito che l’Antico Egitto non visse e non vive solo 
nell’egittologia, né prima né dopo Champollion. 
Accanto al mito “storico” bisogna dunque rilevare la presenza di 
una “costante mitica”, o di una miticità costante, tanto nella scienza 
quanto nell’attività e nella produzione più latamente culturale che 
ruota intorno al fenomeno dell’Antico Egitto. 
Questa che abbiamo appunto chiamato costante mitica, è 
dovuta sia alla natura della scienza che studia l’Antico Egitto, ovvero 
l’archeologia – più recentemente chiamata egittologia – sia alla 
natura dell’oggetto di tale scienza, ovvero lo stesso Egitto. 
Da una parte quindi c’è un problema soggettivo, epistemologico 
ed euristico, che cercheremo di esaminare per sommi capi, dall’altra 
c’è un problema oggettivo: cercheremo di spiegare a breve come 
l’Antico Egitto sia un oggetto che di per sé tende a sottrarsi alla 
comprensione razionale e scientifica e alle cosiddette certezze. 
 10 
2.2 La peculiarità dell’egittologia come scienza 
L’egittologia è una scienza che nasce insieme al suo oggetto. 
Nel momento in cui l’Antico Egitto riemerge dalle sabbie, attraverso 
gli scavi, emerge anche la possibilità di una scienza che lo prenda in 
considerazione e lo interpreti come oggetto. 
L’archeologia in Egitto è stata per molto tempo 
incontestabilmente, in parte, una “scienza del piccone” e della 
dinamite1. Le ipotesi formulate dallo scienziato non differivano per 
calcolo ed acutezza da quelle dei tombaroli, e le “modalità” di 
riesumazione dei reperti non differivano appunto da quelle 
dinamitarde praticate nelle miniere nordamericane per l’estrazione 
dell’oro e di altri minerali2. 
Questo che abbiamo ora presentato, è già il primo aspetto non 
scientifico, bensì epico e suscettibile di coloriture mitiche, che 
attraversa il progresso dell’egittologia per molto tempo dopo 
Champollion e almeno per tutto il XIX secolo. 
Proseguendo nell’analisi epistemologica, notiamo allora che 
l’archeologia e l’egittologia in particolare sono a tal punto suscettibili 
di cadute nella mistificazione, nell’inverosimile e nell’improbabile 
proprio per le pratiche a cui il suo oggetto le costringe: come 
abbiamo visto, l’archeologia deve prima costituire il suo oggetto 
attraverso il reperimento e la catalogazione, poi identificarlo e quindi 
analizzarlo3. A questo livello dell’indagine – se non già prima! – 
dovrebbe cominciare la specializzazione: lapidaria, epigrafia, 
architettura, filologia, ecc. Ma inizialmente l’egittologo, per tutto 
                                                 
1
 Cfr.  Moberg, 1981, p. 25.  
2
 Cfr. Ceram, 1952, pp. 122-123. Parlando di uno dei padri dell’egittologia, l’italiano 
Giovanni Battista Belzoni, scrive Ceram:”Non dobbiamo stupirci se la passione 
collezionistica, rivolta solo all’oggetto, e non al sapere, finì col produrre più 
distruzioni che scoperte, più oscurità che conoscenza. Belzoni , neppure lui, 
conosceva ostacoli alla cupidigia che lo spingeva alla ricerca dell’oggetto; e faceva 
saltare con l’ariete i vani ermeticamente chiusi delle tombe”. 
3
 Ibidem, p. 30. 
 11 
l’Ottocento e occasionalmente anche nel Novecento, fu “tuttologo” – 
o, a volte, addirittura dilettante4. A prescindere dal multiforme 
oggetto del suo studio, si occupava di tutto, tanto di epigrafi quanto 
di sculture, monumenti, scritture, decifrazione di fenomeni religiosi, 
politici e così via. 
È questo dunque un secondo aspetto mitico legato alla ricerca 
egittologica, aspetto questo che viene sempre meno, ma che ha 
caratterizzato buona parte dell’impresa scientifica d’interpretazione 
dell’Antico Egitto. 
Disseppellire la civiltà egizia, dunque: ci sarebbe voluto ancora 
molto tempo dopo la spedizione napoleonica in Egitto e il 
ritrovamento della stele di Rosetta, perché la civiltà egizia fosse altro 
che una collezione disorganica di oggetti e che tali oggetti 
cominciassero davvero a “parlare”5. Oggi si è arrivati prima con il 
cinema e poi con il virtuale, all’ipersimulazione della vita quotidiana 
degli Egizi, che vengono così definitivamente “integrati” e omologati 
nella memoria collettiva globale. 
Ma prima che l’industria culturale arrivasse a queste simulazioni 
e riproduzioni sempre più verosimili, generate a partire da un codice 
ormai immenso di conoscenze, l’egittologia che ha accumulato e 
divulgato tali conoscenze, si è limitata per molto tempo alla sola 
accumulazione di oggetti di cui dicevamo sopra, destinati tanto ai 
musei quanto alle collezioni private.  
Da parte loro, i musei e le collezioni, solo a tratti sono riusciti a 
restituire un’immagine in qualche modo organica dell’Antico Egitto. 
Aggiungiamo che la creazione di un museo di per sé, pure seguendo i 
più nobili intenti e più saldi principi scientifici, non assicura la 
                                                 
4
 Per quanto riguarda i “dilettanti”, la storia dell’archeologia è ricca di spiriti 
pioneristici e avventurieri, nonché di figure che oggi chiameremmo outsider e 
freelance. Il caso più celebre è forse quello di Schliemann, un mercante 
appassionato del mondo antico, autodidatta e self-made-man, che rinvenne Troia 
seguendo le indicazioni e le descrizioni dei testi omerici.  
5
 Cfr. Fagan, 2006, p. 23. 
 12 
trasmissione di un’immagine razionale dell’Egitto. E proprio a riguardo 
dei nobili e scientifici intenti, è opportuno in questa sede insistere sul 
fatto che per più di un secolo dopo la sua nascita, l’egittologia nella 
figura dei suoi archeologi si è preoccupata forse più che altro di 
arricchire le già menzionate collezioni private6, trasferire e trafugare 
reperti d’ogni genere – obelischi, sarcofagi, mummie, colonne, 
addirittura interi templi – verso l’Europa avida d’antico e d’esotico7. 
Il collezionista, figura chiave per spiegare e definire la ricezione 
dell’Antico Egitto in Occidente, è del resto colui che nella 
conservazione e nell’apprezzamento dei suoi oggetti, vuole far 
rivivere la sua piccola parte di antico o meglio “simulare” l’Antico 
Egitto con i pochi o molti pezzi-mezzi che ha a disposizione. 
E in tutti questi fatti che abbiamo ora menzionato continuiamo a 
scorgere il profilo mitico della storia dell’egittologia. 
Di nuovo, tra le ragioni che consegnano l’egittologia al mito, c’è 
l’inevitabile sconfinamento della storia nella preistoria e di questa 
nell’ignoto. L’archeologia, in quanto tale, tenderà sempre a spingersi 
più indietro verso quell’inizio che rappresenta il suo oggetto 
privilegiato8. 
Operazione audace, quest’ultima. Operazione dove, fra l’altro, 
l’archeologia diventa pura scienza di rilevazione statistica e 
mineralogica che non è nemmeno più raccontabile. E in questo si 
                                                 
6
 Ibidem. 
7
 Ibidem. Dobbiamo però aggiungere che la stessa sorte toccò anche all’Italia, 
durante la campagna di Napoleone, anch’essa un saccheggio d’opere d’arte di cui 
abbiamo larga testimonianza nelle sale del Louvre. Interessante notare che tra i 
membri della Commissione scientifica che accompagnò l’esercito francese in Egitto, 
v’era anche Gaspard Monge “matematico e chimico, un fervente repubblicano e un 
esperto di spade e di polvere da sparo; il suo ultimo impiego era stato presso la 
Commissione governativa per la ricerca di oggetti artistici e scientifici nei paesi 
conquistati. Questa commissione aveva seguito la scia dell’esercito napoleonico in 
Italia ed esaminato collezioni d’arte, musei, biblioteche, decidendo quali oggetti 
avrebbero dovuto essere ceduti alla Repubblica francese nei termini del trattato di 
pace”. Ibidem, p. 73. 
8
 Cfr. Moberg, 1981. 
 13 
rinsalda magicamente all’ineffabile, attributo principale del mistero. 
Ovvero, di nuovo, del mito. 
La divulgazione appassiona anche la gente comune agli studi e 
alle ricerche della scienza, nel dominio della quale, giustamente, 
cercano risposte alle domande fondamentali della vita – chi siamo, da 
dove veniamo, dove andiamo ecc. Il mistero, di cui sopra, è 
sicuramente un potente catalizzatore tanto per gli scienziati stessi 
quanto per la gente comune.  
A tal proposito, l’Antico Egitto dovette apparire e ancora oggi 
appare come un complesso sistema di scatole cinesi dove un mistero 
ne contiene un altro, dove una scoperta ne richiede e ne anticipa 
un’altra. 
Del resto, il mistero, così come la misticità –cioè l’aspetto per 
così dire religioso del mistero – sembrano essere strutturali nel 
sistema culturale egizio, là dove l’elemento mitico e oscurantista 
sembra dominare l’intera società nella figura del sacerdote. 
Il mito dell’Antico Egitto si è alimentato da sempre di questo 
aspetto elitario della civiltà egizia. Gli infiniti enigmi che essa pone, 
spesso non sembrano dovuti tanto alla distanza temporale e culturale 
che ce ne separa, quanto appunto da una precisa e metodica volontà 
enigmistica caratteristica dei rituali e dei culti che contrassegnano la 
vita di questi Antichi. 
Dicevamo, intrinseca sembra essere la possibilità di mistificare 
il fenomeno: e forse non potrebbe essere altrimenti dove tutto, agli 
occhi dell’Europeo, sembra eccesso, monumentalità pura, 
incommensurabilità, eccellenza, nonché ipnotica esoticità. Ed è in 
tutte queste pieghe che abbiamo menzionato, seppur succintamente, 
che continua a vivere e prolificare il mito dell’Egitto, che sembra non 
volersi piegare al positivismo della scienza. E perché poi dovrebbe? 
 14 
2.3 La pre-egittologia: l’Egitto nei secoli dal mondo 
classico al Settecento 
I primi a raccontare l’Egitto con più dovizia di particolari furono 
due Greci, Ellanico ed Ecateo da Mileto, tra il VI e il V sec. a.C., 
quando non era un fatto di per sé rarissimo quello di visitare la 
regione nilotica in veste di mercanti o semplici viaggiatori, il più delle 
volte sulla scia dei guerrieri mercenari assoldati in gran numero dai 
regnanti egizi. 
Molti Greci erano già ospiti di queste regioni del Basso Egitto e 
bisogna pure menzionare ivi la fondazione di Naucrate, una città 
ordinata secondo il modello della polis greca. C’è già dunque 
un’esperienza collettiva su cui si basa il viaggio di questi primi 
visitatori. Di conseguenza, spiega M., riferendosi proprio a Ellanico ed 
Ecateo, questi “erano penetrati in Egitto con l’idea preconcetta di 
ritrovarvi il corrispettivo di molte delle cose che già erano loro 
familiari nella terra natia”9; questo vale tanto per la funzione degli 
edifici, là dove scambiarono un grande sepolcro composto da 
numerose stanze per un “secondo labirinto”, o davanti a una grande 
città ricca di pilastri e sontuose entrate, deducendo che si dovesse 
trattare della famosa “Tebe dalle cento porte” cantata da Omero 
nell’Iliade. E così via, fino a che giunsero a supporre che gli dèi 
adorati in Egitto fossero gli stessi dèi greci chiamati con altro nome. 
Pare comunque che Ecateo da Mileto, il solo di cui ci resta qualche 
breve frammento, fosse più interessato agli aspetti geografici e 
naturalistici della regione che non alla storia e alle tradizioni di quel 
popolo. 
Erodoto, “il primo degli storici”, è colui il quale ci dà la prima 
vera ampia descrizione dell’Egitto; s’avventurò fino alla prima 
                                                 
9
 Gardiner, 1971, p. 5. 
 15 
cateratta in un viaggio che secondo i critici moderni dovette durare 
all’incirca tre mesi. 
L’Egitto per Erodoto, scrive Donadoni, “è una terra esemplare… 
e insieme un modello di società, retto da leggi e consuetudini, 
concezioni religiose che derivano dalla sua stessa struttura ma che 
possono essere universali e che valgono entro una visione che è 
anche greca. L’Egitto è maestro da cui sono venuti in Grecia divinità e 
suggerimenti, ma soprattutto è il paese in cui si attua un’utopia 
speculativa e morale”10. 
Nasce dunque propriamente con Erodoto il mito, l’utopia 
dell’Egitto. L’Egitto, secondo Erodoto, così come sarà per Platone, è il 
luogo dove meglio si conservano il passato e i suoi insegnamenti; gli 
Egiziani conoscerebbero meglio dei Greci il mito di Eracle e del ratto 
di Elena, calcolano con maggiore precisione i giorni dell’anno, 
secondo cioè un calendario più razionale, sono quelli che sanno 
meglio divinare e hanno raccolto più presagi: sono insomma più 
sapienti dei Greci. 
Abbiamo accennato poc’anzi a Platone, il quale è il secondo 
grande autore antico a dare un rilievo speciale e incisivo all’Egitto. 
Caratteristica dell’Egitto platonico è di essere il paese che meglio di 
tutti ha resistito alle trasformazioni, il più antico e perciò il più vicino 
agli dèi, all’età dell’oro, al principio. Come per Erodoto, anche per 
Platone l’Egitto è soprattutto luogo di sperimentazione delle proprie 
concezioni, e così dovrà rimanere a lungo. 
Lo stesso vale infatti anche per l’autore successivo che è 
d’obbligo citare in questa breve ricognizione delle fonte classiche 
dell’Egitto Antico: Diodoro Siculo. Diodoro è l’autore di una storia 
universale, la Biblioteca Istorica, dall’origine del mondo a Giulio 
Cesare. Notevolissimo e fondamentale è il confronto con i miti e le 
credenze dell’Egitto. Di nuovo, come i suoi predecessori, egli 
                                                 
10
 Donadoni, 1990, p. 17. 
 16 
considera gli Egiziani come i primi uomini. Lunghissimi e numerosi si 
sono succeduti i regni, anche se egli non crede al computo, fatto dai 
sacerdoti, di ventitremila anni dal primo originario regno del dio Sole. 
Diodoro riporta anche il fortunatissimo mito di Osiri, insieme a 
quello di Hermes-Thot inventore della scrittura, citato anche dal Fedro 
platonico. Diodoro descrive monumenti, elementi geografici e più in 
generale naturalistici. Anche il suo Egitto è un luogo esemplare, un 
confronto imprescindibile per la cultura del suo autore.  
L’Egitto torna di continuo nella letteratura classica e il mito 
dell’Egitto si arricchisce di miti, dati e leggende, nomi di luoghi e 
persone nei testi di autori celebri come Strabone (I sec. a.C.), Plinio il 
Vecchio (23-79 d.C.) e Plutarco (50-120 d.C.). 
Imprescindibile quindi è il riferimento a Orapollo, 
presumibilmente un erudito egiziano del V secolo dopo Cristo. Si 
tratta dei Geroglifici di Orapollo di Nilopoli, che questi ha composto 
nella parlata egiziana, e che Filippo ha tradotto nella lingua greca, 
dove non ci è dato di sapere chi sia questo Orapollo e tantomeno 
Filippo, né quali siano le fonti di quest’opera. È un testo chiave nella 
storia della decifrazione dei geroglifici, perché sarà considerata 
ancora nel Settecento il testo più autorevole nell’ambito di questa 
“scienza”. 
Nel codice di Orapollo di Nilopoli viene privilegiata 
esclusivamente l’interpretazione ideografica della scrittura egizia e 
scartata l’ipotesi fonetica, ripresa decisivamente solo da Champollion. 
Con Orapollo viene dunque esaltata la valenza allegorica ed 
enigmatica di tale scrittura. 
La via indicata da Orapollo dunque, “ eccitava la fantasia ma 
portava a un vicolo cieco. Questo era d’altronde più consono a quella 
visione dell’Egitto luogo di una sapienza profonda e dissimulata che 
 17 
ne faceva l’esemplarità agli dei filosofi e dei dotti timorosi del 
volgo”11.  
Infine, terminando questa pur breve rassegna, non possiamo 
dimenticare la figura di Alexander Kircher (Geisa 1602- Roma 1680), 
famoso innanzitutto per essere l’ideatore e l’artefice della lanterna 
magica. Il merito di Kircher, professore di matematica, fisica e lingue 
orientali al Collegio Romano dei Gesuiti, è la giusta intuizione, ripresa 
dallo stesso Champollion, di aver indicato nella lingua copta il 
continuatore dell’egiziano antico. 
A partire dal Rinascimento si vanno formando già alcune 
collezioni di oggetti antichi provenienti dall’Egitto, anche se gli 
obelischi presenti sul suolo italico dai tempi dell’Impero Romano, 
restano le testimonianze autentiche più importanti, vistose ed 
autorevoli dell’antichità egiziana. È proprio sugli obelischi che si 
concentrano gli sforzi interpretativi del Kircher, su testi dunque 
autentici: si tratta dell’obelisco di Piazza Navona e quello della 
Minerva. Ma ancora il Kircher, nonstante l’importante intuizione del 
copto, segue la via di Orapollo e, appoggiandosi alla propria 
dottissima cultura, interpreta i geroglifici come linguaggio figurato, 
come scrittura d’enigmi e simboli che sono insieme sfida e protezione 
per il sapiente. 
È nel Settecento che si fa sempre più frequente l’esperienza 
diretta dell’Egitto. I viaggi di esplorazione sostituiscono quelli di 
pellegrinaggio12. D’altra parte, nel diffuso interesse per la classicità, 
risvegliato dagli scavi di Ercolano e Pompei, prolifica anche l’approccio 
classicista, neoplatonico ed ermetizzante. Se questo secondo 
approccio porta ad opere ammirevoli come il Flauto magico di Mozart 
e i “romanzi egizi” di Terrassen, l’esperienza diretta dell’Egitto sfocia 
nella spedizione in Egitto di Napoleone e nel fondamentale 
ritrovamento della stele di Rosetta. 
                                                 
11
 Ibidem, p. 46. 
12
 Ibidem, p. 84.   
 18 
Bisogna sottolineare che il Flauto magico mette in luce quello 
che è stato uno dei miti privilegiati da sempre, dal mondo classico al 
Rinascimento: il mito di Osiride del suo viaggio civilizzatore attraverso 
i popoli della terra; un mito che poneva l’Egitto come padre e faro 
della scienza e della tecnica d’ogni tempo. 
Notevole, dicevamo, fu il Settecento per quanto riguardo i 
viaggi, agevolati anche dalla più stabile e sicura situazione politica 
interna della regione nilotica. Il secolo si chiuderà appunto con 
l’invasione del generale Bonaparte e del suo seguito di savants, e con 
essa si chiude l’epoca cosiddetta pre-egittologica. 
Abbiamo voluto soffermarci su di essa per notare come il mito 
dell’Egitto abbia attraversato i secoli e formato una tradizione di 
studi, ipotesi e leggende che ha di per sé un valore proprio, pur nella 
sua non-scientificità, e che rappresenta comunque un patrimonio 
imprescindibile per capire lo sviluppo generale della cultura che l’ha 
generato.