2
del loro o li ostacoliamo nella loro ricerca”
1
. Ritengo che il fine
degli esseri umani sia il più elevato e armonioso sviluppo delle
potenzialità di ognuno nell’assoluto rispetto della più coerente e
completa unità; la libertà degli individui dovrebbe avere come
unico limite quello di non creare fastidi al prossimo o di non
delegittimare le prospettive altrui cancellando la personalità dei
singoli e uniformando il pensiero attraverso un discutibile
meccanismo di omologazione. Uno degli elementi fondamentali del
bene comune è la libera espressione della propria individualità,
perché è in essa che risplendono termini come civiltà e cultura, e
quando la società prevale sull’individualità, stemperando
nell’uniformità le caratteristiche personali e negando, di fatto, la
libertà, si pratica una seria minaccia per la natura umana.
Procedendo lungo questa direzione, è facile intuire il legame
che unisce la fantascienza e la libertà alla politica, intendendo con
tale termine le istituzioni – e le leggi – preposte al mantenimento
dell’ordine sociale che, a volte, trascendono il proprio compito
trasformando lo Stato in un Leviatano onnipresente e dotato di
poteri illimitati.
La tesi è divisa in due parti, ciascuna delle quali prevede due
capitoli. Il primo capitolo analizza l’evoluzione dell’utopia – sia
sotto il profilo storico, sia sotto quello filosofico-letterario – dalle
1
Cfr. John Stuart Mill, On Liberty, 1859, trad. it. Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano,
1981, p. 36.
3
origini fino alla fine del XIX secolo, quando l’ottimismo e la
speranza di edificare una società idilliaca lasciarono il posto al
pessimismo e al timore che l’ipertrofia delle istituzioni – alimentata
dal prepotente sviluppo tecnologico – avrebbe potuto annichilire
qualsiasi libertà individuale. I tre paragrafi relativi all’utopia si
propongono di ricostruire il percorso ideale della “società giusta e
fraterna”, ribaltandone tuttavia gli elementi, al fine di dimostrare
che alcuni fattori considerati virtuosi – ordine, stabilità sociale,
felicità collettiva – costituiscono, in realtà, il primo passo verso
quella forma di omologazione denunciata successivamente dalla
letteratura distopica e da quella fantascientifica. A tale proposito, il
secondo paragrafo esamina l’etimologia del termine utopia nelle
due diverse accezioni, eutopia – inteso come “buon luogo” – e
outopia – inteso invece come “nessun luogo” – cercando di
dimostrare che, anche tra gli studiosi, esistono alcune incertezze
legate ai progetti utopistici, se essi siano, cioè, da pensare come
realizzabili o se debbano rimanere sogni da vagheggiare.
Il secondo capitolo analizza, invece, la distopia, vale a dire
quella visione della società (“il luogo del male”) in cui i fattori
mitizzanti legati al pensiero utopistico, da mitopoietici – pervasi da
una forte valenza positiva – divengono mitagogici, caricandosi cioè
di un significato deteriore e fortemente negativo, volto a
evidenziare i profondi mutamenti sociali manifestatisi dalla seconda
metà dell’Ottocento in poi.
4
Sotto questo profilo, la distopia costituisce senza dubbio il
punto di contatto tra l’utopia classica e la fantascienza moderna,
tanto è vero che alcuni dei migliori autori di questo genere –
Souvestre, Butler, Zamjàtin, Huxley, Orwell, Bradbury – vengono
spesso annoverati dai critici come gli anticipatori (i primi due) o i
fondatori (insieme a Herbert George Wells) della science fiction
contemporanea.
Il primo paragrafo del secondo capitolo esamina il periodo
storico all’interno del quale origina la distopia: prendono corpo
nuove forme di pensiero (come l’evoluzionismo darwiniano) che
sgretolano le certezze – religiose filosofiche, sociali – del passato e
inducono un disorientamento che non lascia più spazio alle facili
illusioni utopistiche. Il secondo paragrafo mette in rilievo alcune
analogie tra utopia e distopia, come, ad esempio, la negazione di
ogni forma di diversità o la condanna del dissenso; il terzo
paragrafo è una profonda analisi delle opere migliori di questo
genere – Noi, Il mondo nuovo, 1984, Fahrenheit 451 – che
anticipano, di fatto, alcune tematiche fondamentali della
fantascienza, mentre il quarto – che prende spunto da un’opera di
Michel Foucault, Sorvegliare e punire – intende dimostrare come il
controllo panottico (dal Panopticon di J. Bentham), esteso dalle
carceri a tutte le strutture pubbliche, possa costituire un serio
pericolo alla libertà individuale e una chiara forma di omologazione
imposta dallo Stato.
5
La seconda parte è interamente dedicata alla fantascienza. Il
primo capitolo è diviso in quattro paragrafi: nel primo si cerca di
mettere ordine tra i diversi punti di vista dei critici circa le origini
della science fiction, tra quanti, cioè, sostengono che alcuni
elementi di questo genere letterario siano rintracciabili fin
dall’antichità, e quanti invece ritengono che esso sia nato in epoca
moderna, e specificamente con il romanzo di Mary Shelley
Frankenstein or the Modern Prometheus, scritto nel 1818. Vedremo
come esistano almeno tre correnti di pensiero, e come molti scrittori
(Aldiss, Asimov, Le Guin, tanto per citarne alcuni) abbiano
addirittura un’idea completamente diversa rispetto a tutti gli altri. Il
secondo paragrafo, invece, ricostruisce le analogie esistenti tra
utopia e fantascienza, avallando, di fatto, la tesi – sostenuta, tra gli
altri, da Darko Suvin – che fa risalire alla letteratura fantastica del
passato alcuni elementi fondanti della fantascienza contemporanea.
Il terzo paragrafo analizza l’evoluzione del genere passando
attraverso i differenti termini – gothic romance, scientific romance,
scientifiction, science fiction, speculative fiction – che l’hanno
connotato, mettendo anche in risalto la distinzione, non sempre
chiara, tra estrapolazione scientifica, cioè divulgazione narrativa
intorno ai temi della scienza, e speculazione filosofica, cioè
riflessione intorno a questioni epistemologiche, morali e sociali. Il
quarto paragrafo pone l’accento sul pensiero originale sotteso ai
romanzi di alcuni autori: in particolare, si analizzerà il rapporto
6
esistente tra la rivendicazione di uno spazio in cui esprimere la
propria libertà da parte degli individui e le storture della scienza
applicata e della tecnologia che, se esasperate, riducono l’azione dei
singoli e ne atrofizzano le capacità di pensiero.
Il secondo capitolo è diviso in due paragrafi, e analizza le
diverse forme di libertà presenti nella narrativa fantascientifica,
prendendo spunto da alcuni famosi romanzi o racconti. Nel primo
paragrafo verranno toccati alcuni temi – la manipolazione sociale,
l’immortalità, la clonazione – che, in qualche modo, mettono in
questione la libertà degli individui o ne distorcono e snaturano la
sostanza, mentre nel secondo paragrafo saranno esaminati tutti
quegli archetipi letterari – il robot, il cyborg, l’androide, il vampiro
e il mutante – che costituiscono spesso un’autentica difesa della
diversità (etnica, biologica, culturale, linguistica) umana, mostrando
ancora una volta che la libertà, mai disgiunta da un profondo senso
etico di inclusione, si realizza compiutamente nel rispetto di tutti gli
esseri umani.
PARTE PRIMA
UTOPIA E DISTOPIA
1.
L’UTOPIA
9
La nascita dell’Utopia
Da sempre il sogno e la speranza legate all’utopia accompagnano il
genere umano. Gli individui, nel corso della faticosa evoluzione che
ha condotto alle società contemporanee, hanno elaborato – prima
col pensiero e poi con l’azione – progetti di società apparentemente
perfette, fondate sulla felicità assoluta e sull’annullamento di ogni
sofferenza. Tali progetti, sebbene non siano mai andati a buon fine,
hanno tuttavia avuto il merito di migliorare lentamente le
condizioni di vita degli esseri umani, spingendoli a lottare per
affrancarsi dalle ingiustizie, dalla schiavitù e dalla fame.
A partire dalla costruzione ideale del Paradiso Terrestre, fino
ad arrivare alle teorie positivistiche del XVIII secolo, e all’apologia
del progresso scientifico del XIX secolo, passando attraverso il
“rimpianto delle origini” di platonica memoria e le “città perfette”
dell’epoca moderna, l’utopia ha tentato di rappresentare il progetto
storico della società giusta e fraterna. Se in un primo tempo essa era
rivolta al passato – e proprio per questo viene definita passatista
1
–
successivamente, grazie alla tradizione giudaico-cristiana, la
speranza si sostituì al ricordo, e la visione circolare della vita lasciò
spazio a una nuova concezione, escatologica e soteriologica, in
1
Cfr. Raymond Trousson, Scienza, felicità e libertà nell’utopia. Dal sogno all’incubo, in
Utopia ed antiutopia, a cura di Valerio Verra, Paideia Editrice, Brescia, 1985, p. 3.
10
virtù della quale ciò che era stato tolto agli individui (l’Eden),
sarebbe stato restituito nella vita oltre la morte.
La prima utopia che si impossessò dell’immaginazione degli uomini fu
senza dubbio quella del paradiso terrestre, nostalgia di un mondo perso
dall’infanzia dell’umanità, sogno compensatorio alle difficoltà della vita
quotidiana. La presenza, in tutte le mitologie, di diverse forme di questo
paradiso – età dell’oro, isole felici, eden, terra promessa – attesta la
permanenza e l’universalità del sogno.
2
Il crinale che separa l’utopia passatista da quella esotica e
trascendente è dunque questo. Rivolta in un primo tempo al passato,
età dell’oro mitica e luogo di assoluta felicità – come l’Atene ideale
descritta da Platone nel Timeo e nel Crizia – l’utopia assume in
seguito un nuovo significato, metafisico e ultraterreno, ma legato
ineluttabilmente alla condotta virtuosa e, allo stesso tempo,
espiativa degli individui che operano in questa vita.
Nondimeno, questa differente concezione dell’utopia non
assume più una dimensione antropocentrica, ma muove da
presupposti che trascendono l’azione umana. Infatti, la città ideale
non viene più edificata dagli uomini e dalle donne su questa terra,
ma diviene un premio futuro e incerto donato da Dio a quanti
abbiano ottenuto la grazia attraverso la cancellazione dei peccati
3
.
Comunque, in entrambe le prospettive (quella passatista e
quella trascendente) l’utopia autentica non è ancora stata creata. Sia
2
Ibidem, p. 3.
3
Cfr. Raymond Trousson, La distopia e la sua storia, in Utopia e distopia, a cura di Arrigo
Colombo, Edizioni Dedalo, Bari, 1993, pp. 19-20.
11
che si tratti del paradiso perduto o di un Eden ritrovato dopo la
morte, esso non è mai frutto della volontà umana, ma promessa e
dono della divinità agli individui che accettano le sue leggi. Sotto
questo profilo, la costruzione della storia, intesa come azione
prometeica opposta all’ineluttabilità del destino, si stempera e perde
intensità, in quanto gli individui, non disponendo del libero arbitrio
e del dominio della propria sorte, non sono sollecitati a migliorare
la propria esistenza, ma accettano passivamente le verità rivelate
4
.
La tensione tra volontà divina e libero arbitrio, tra potere
dello Stato e libertà dei singoli permea tutta la letteratura utopistica.
Da un lato emerge l’esigenza di creare un modello di società
immutabile – in quanto perfetta e, per questo, non migliorabile – in
grado di assicurare la felicità agli esseri umani mediante leggi
rigorose e uno stile di vita uniforme; dall’altro nasce la volontà di
rivendicare la personalità di tutti gli uomini e le donne, negando lo
strapotere dei tiranni e l’infallibilità delle leggi:
Fin dai tempi di Platone, l’elaborazione razionale di modelli ideali di
vita e di società appare come l’espressione più tipica del primato del
cognitivo che ha caratterizzato, per molti secoli, la tradizione del
pensiero occidentale. In base al presupposto che l’ordine della
razionalità fosse dotato di una più elevata dignità rispetto alla realtà
contraddittoria e confusa dell’agire umano, quest’ultimo, anziché essere
osservato empiricamente nella sua complessa natura, veniva per lo più
percepito come una dimensione inquietante da sottoporre al controllo di
norme fondate sui principi rigorosi della conoscenza teorica.
5
4
Cfr. Raymond Trousson, Scienza, felicità e libertà nell’utopia. Dal sogno all’incubo, op. cit.,
p. 4.
5
Cfr. Franco Crespi, Crisi e rinascita dell’utopia, introduzione a Storia dell’Utopia, di Lewis
Mumford, Donzelli Editore, Roma, 1997, p. VII.
12
Il bisogno di appagamento e di felicità personale, quindi, si
scontrò apertamente con la laboriosa edificazione delle società, le
quali necessitano di un alto grado di collaborazione tra gli esseri
umani e di una sorta di “rinuncia” da parte dei singoli in cambio del
benessere collettivo.
E’ proprio su questo punto fondamentale che i pensatori
utopisti presero strade diverse. In un mondo che appariva invivibile
alla maggior parte della gente a causa della mancanza di certezze, il
bisogno di verità sulle quali puntellare la propria esistenza si fece,
col passare del tempo, sempre più pressante. L’utopia, attraverso le
epoche, è così divenuta di volta in volta credenza religiosa,
sicurezza ideologica, fede cieca in capi carismatici, passando da una
valenza positiva di fratellanza e felicità collettiva ad una visione
decisamente negativa, legata al dominio delle masse da parte di
pochi tiranni.
Nella storia del pensiero utopistico si manifestano quindi due
distinti orientamenti. Il primo stabilisce che la felicità discende
dalla libera espressione delle idee e della personalità degli
individui; la libertà dei singoli non può essere sacrificata agli
interessi dello Stato. Il secondo orientamento, invece, considera la
felicità degli esseri umani come un riflesso del benessere materiale,
ottenuto mediante l’annullamento dell’individualità e la “fusione”
delle persone in una massa indistinta che soggiace al potere
incontrollato dello Stato.
13
Questi due opposti punti di vista discendono da una diversa
concezione del progresso. Gli utopisti anti-autoritari rivendicano
l’unicità di idee di ogni singolo individuo, la propria alterità, il
diritto di ognuno di possedere una personale visione del mondo. In
quest’ottica, il progresso si trasforma in uno strumento di
emancipazione degli esseri umani, in grado di garantire una piena
soddisfazione, ma anche autoconsapevolezza e gioia.
Al contrario, gli utopisti autoritari considerano gli esseri
umani come un gregge di pecore da ammansire, incapaci di
risolvere i propri problemi senza l’intervento dello Stato-pastore. In
questo modo il progresso funge da strumento di omologazione; la
felicità deriva dalla routinizzazione della vita e dall’acquiescenza
degli individui allo status quo. Ognuno si identifica negli altri in
virtù dell’appartenenza alla stessa specie, ma l’identità dei singoli
viene cancellata per lasciare spazio all’onnipresenza dello Stato che
permea ogni ambito della vita dei cittadini. Uomini e donne sono
così costretti a sottostare – senza alcuna possibilità di rivalsa – a un
codice di comportamento morale creato in maniera arbitraria e
artificiale dai tiranni al potere, siano essi filarchi – come nell’opera
di Thomas More – o guardiani – come nella Repubblica di
Platone
6
.
6
Cfr. Maria Luisa Berneri, Viaggio attraverso Utopia, edizione a cura del Movimento
Anarchico Italiano, Archivio Famiglia Berneri, Pistoia, 1981, p. 21.
14
L’immagine che l’utopia fornisce di sé è dunque duplice e
contraddittoria: in alcuni casi essa partorisce un mondo ordinato e
pulito, con una struttura sociale granitica e immutabile, in cui la
ragione totalizzante ha annullato ogni distinzione tra gli esseri
umani. La felicità degli individui scaturisce dalla condivisione dei
beni materiali – senza distinzioni di sorta, se non tra i prescelti al
comando – e dalla comune appartenenza sociale. Il dissenso viene
considerato una forma intollerabile di ribellione ed è punito
severamente.
In altri casi, invece, l’utopia esalta l’individualismo e il
bisogno di sogni che alimentano le speranze degli uomini in luogo
della razionalità astratta e delle norme assolute. La rivendicazione
di una più completa libertà si sostituisce alla concezione autoritaria
che si cela dietro ai propositi di molti pensatori utopistici – che
troppo spesso hanno barattato la felicità dei singoli con il benessere
materiale garantito da uno Stato “virtuoso” – ma, in ultima analisi,
lo spauracchio dell’anarchia è sempre dietro l’angolo.
Le contraddizioni inerenti alla maggior parte delle utopie son dovute a
questa concezione autoritaria. Gli artefici di utopie volevano dare
libertà alla gente, ma la libertà che vien concessa non è più libertà. (…)
i creatori di utopie, nella loro maggioranza, son decisi a rimanere i
padroni delle loro immaginarie comunità. Mentre pretendono di dare la
libertà, emanano un dettagliato codice che dev’essere seguito
minuziosamente. Ci sono legislatori, re, magistrati, preti, presidenti di
assemblee nazionali nelle loro utopie; e tuttavia, dopo aver decretato,
codificato, ordinato matrimoni, imprigionamenti ed esecuzioni,
pretendono ancora che la gente sia libera di fare quel che desidera.
7
7
Ibidem, p. 22.