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spagnoli. Nel regno di Napoli la pressione tributaria e le servitù 
militari, che apparivano invece sopportabili nel Ducato di Milano, 
soverchiavano una popolazione economicamente molto più debole 
e in condizioni di cronico squilibrio sociale. 
Tra gli Stati indipendenti dalla dominazione spagnola, il più 
importante era quello della Chiesa, governato tra la metà del XVI 
sec. e la fine del XVII dai papi promotori ed esecutori della 
restaurazione cattolica. La politica ecclesiastica non distolse tuttavia 
i papi dalla cura degli affari temporali, e fu una cura rivolta ad 
accrescere i domini territoriali e a garantire al complesso di essi la 
sicurezza di fronte ai pericoli sia di disgregazione interna sia di 
attacchi dall'esterno.  
Venezia era rimasta estranea alle guerre d'Italia dopo il 1530, fino 
allo scoppio della guerra contro i Turchi per il possesso di Cipro, 
nella quale ebbe anche il soccorso di una crociata e di navi 
spagnole, sabaude, toscane e pontificie. Gli Stati sabaudi furono i 
meno toccati dal dominio spagnolo, tanto che tentarono di 
conquistare alcuni possedimenti francesi. Tra la fine del 1600 e 
l'inizio del 1700 l'Italia fu nuovamente investita da numerosi scontri 
tra le potenze europee. I Savoia aumentarono il loro peso politico, 
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mentre al dominio spagnolo si venne gradualmente sostituendo 
quello austriaco, sancito infine dal trattato di Utrecht del 16 aprile 
1713. Con esso l'Austria si era assicurata il Ducato di Milano, la 
Sardegna, il Regno di Napoli e lo Stato dei Presidi, mentre Vittorio 
Amedeo II di Savoia, che aveva mirato alla conquista del Milanese, 
dovette accontentarsi del Monferrato e della Sicilia col titolo di re. 
La Lombardia austriaca (comprendente le odierne province di 
Milano, Como, Varese, Cremona senza Crema, che era un 
possedimento veneziano, Mantova e Pavia senza l'Oltrepò) ricevette 
un notevole impulso dal riformismo asburgico e fu, con la Toscana, 
quello tra gli Stati italiani in cui fu maggiore l'efficacia del 
movimento illuministico e in cui i processi di trasformazione 
economica a cui era avviata la penisola si manifestarono nei loro 
aspetti più positivi.  
Qui si assistette ad un riordinamento interno ad un risanamento 
economico ad opera dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria (1717-
1780) e del figlio Giuseppe II (1741-1790): con loro l'istruzione 
pubblica diviene compito dello Stato dopo la soppressione 
dell'ordine dei Gesuiti. 
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Le nuove idee ebbero una grande diffusione attraverso le numerose 
associazioni economiche, culturali e filantropiche, che fiorirono nel 
'700. La più importante fu la Massoneria che, sorta come società 
segreta avente finalità di fratellanza universale, attrasse con le 
nuove idee molti elementi della borghesia e della stessa nobiltà in 
Europa. 
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1.2 In questo nuovo clima culturale ha inizio, a Milano, la 
pubblicazione del “Caffè”, giornale dei fratelli Pietro ed Alessandro 
Verri. Nel 1764 viene pubblicato “Dei delitti e delle pene” di 
Cesare Beccaria, opera fondamentale dell'Illuminismo italiano, di 
risonanza europea.  
In Toscana le riforme investirono le vecchie strutture dello Stato: il 
codice voluto dal granduca Pietro Leopoldo, figlio di Maria Teresa, 
abolì la pena di morte ed eliminò gli ultimi resti dell'ordinamento 
feudale, promuovendo una specie di libero mercato. 
Il ducato di Parma e Piacenza fu rinnovato dall'opera del ministro 
francese Guglielmo Du Tillot (1711-1774). 
A Torino, dopo l'opera di Vittorio Amedeo II tendente al 
rafforzamento dello Stato, al rinnovamento dell'apparato 
burocratico, alla limitazione dei privilegi feudali, i governi di Carlo 
Emanuele III (1730-1773) e di Vittorio Amedeo III (1726-1796) 
rimasero saldamente ancorati ai princìpi dell'Ancien Régime. 
Con lo spirito innovatore, diffuso dalle riforme, venne 
progressivamente sviluppandosi, nell'Italia della seconda metà del 
'700, l'aspirazione all'indipendenza ed all'unità nazionale. 
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Il filosofo ed economista Antonio Genovesi (1713-1769), ad 
esempio, osservando il danno prodotto in Italia dalle barriere tra 
Stato e Stato, aveva vagheggiato l'idea di una Italia unita, e, con 
Vittorio Alfieri (1749-1803), si era fatto interprete della nuova 
coscienza nazionale.  
L'Italia della fine del Settecento fu travagliata da un'acuta crisi 
sociale, rappresentata in particolare dalla crescente miseria delle 
popolazioni contadine, su cui si innestava la crisi della politica 
riformatrice, che nasceva dal contrasto tra l'autoritarismo dei 
sovrani e la debolezza delle forze innovatrici; inoltre quasi tutti gli 
Stati italiani si trovavano in difficoltà finanziarie, proprio nel 
momento in cui si avvertivano i prodromi della Rivoluzione 
francese del 1789 i cui principi di "libertà, eguaglianza, fraternità" 
venivano portati in Italia nel 1796 con la discesa di Napoleone 
Bonaparte (1769 - 1821), alla testa dell'armata che rappresenta i 
successi della Rivoluzione, le cui idee trovavano un terreno 
particolarmente adatto nei gruppi più vivi dei ceti intellettuali 
italiani, specie tra i più giovani, che dall'Illuminismo avevano 
ricevuto un'educazione ispirata alle idee di libertà e di uguaglianza, 
di sovranità popolare e dei diritti dell'uomo. 
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Sull'esempio di questi principi, sorgono quindi le prime 
Costituzioni democratiche e le Repubbliche indipendenti. 
Su questa situazione avrebbe enormemente influito anche la 
Rivoluzione francese. 
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1.3 L'età illuministica segna la fine della figura dell'intellettuale 
cortigiano al servizio della nobiltà e assoggettata ad essa. La 
liberazione dalla dipendenza dai nobili e il forte proposito di 
sostenere idee di libertà, tolleranza, eguaglianza e i valori 
dell'individualismo sono i mezzi grazie ai quali il ceto intellettuale 
si erge a nascente interprete delle esigenze della nuova classe 
borghese. 
Il bisogno di identità del ceto intellettuale si identifica in un 
movimento che muove i suoi passi in senso riformista, in quanto 
l'intellettuale si pone essenzialmente come legislatore della società, 
capace di intervenire in ogni campo per produrre soluzioni più 
razionali rispetto al passato. È in questo modo che egli si riconosce, 
quindi, in una sorta di agitatore di idee: il suo obiettivo è quello di 
creare un'opinione pubblica tramite i propri libelli, opuscoli e 
giornali.  
Le condizioni proprie di questo periodo sono rappresentate da una 
forte crescita dell'alfabetizzazione, dall'ampliarsi del pubblico e 
dallo sviluppo dell'editoria, che permettono di occupare un nuovo 
spazio autonomo rispetto al potere politico ed economico. Per 
valorizzare questo nuovo spazio, per occuparlo con impegno e 
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competenza, l'intellettuale deve diventare un poligrafo, per essere in 
grado di saper intervenire in diversi campi, grazie alla sua 
versatilità di giornalista, di autore di brevi trattati, che indicano un 
problema e ne propongono una soluzione (tali furono per esempio 
“Dei delitti e delle pene” di Beccaria).  
Sulla scia di questo nuovo campo di indagine, grazie alla nascente 
individualità giornalistica, nasce una nuova forma di trattatistica, 
per la quale si inizia ad avere un approccio di distacco o addirittura 
di disprezzo nei riguardi della figura del letterato. Mentre all'inizio 
del secolo questo termine indicava proprio la figura 
dell'intellettuale, ora letterato  passa ad assumere una connotazione 
negativa, ad individuare colui che si occupa esclusivamente di 
letteratura disinteressandosi dei problemi civili che stanno a cuore 
agli illuministi. Questo aspetto, di aspirare ad una autonomia 
intellettuale, diviene una condizione necessaria dell'autocoscienza 
degli uomini colti e parte della loro identità sociale, che però si 
scontra con due esigenze che le si oppongono: l'intellettuale pur 
essendo in grado di influenzare l'opinione pubblica non riesce a 
segnarla se non influenza lo Stato, i ministri, il sovrano stesso: 
deve, quindi, cercare un compromesso con i principi, tentare di 
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diventarne ispiratore o consigliere, ma deve per questo rinunciare 
alla propria autonomia, deve cessare di obbedire esclusivamente 
alla logica della propria categoria o alla logica cosiddetta di 
"partito" e magari integrarsi nei meccanismi del potere divenendone 
un funzionario.  
L'Encyclopèdie francese e lo spirito enciclopedico dell'Illuminismo 
costituiscono un tentativo di risposta al duplice problema: 
l'intellettuale mira a una conoscenza universale, ma allo stesso 
tempo egli necessita di una cultura specializzata. A Parigi gli 
illuministi si riunivano in salotti o in case private in "gruppi" di 
lavoro  e discussione: gli enciclopedisti avevano il loro punto di 
incontro nella casa del barone d'Holbach,  mentre gli idèologues 
vedevano nel salotto di madame Helvètium il loro forum, dando 
luogo a una "Société". Nel 1761 anche in Italia si sente un forte 
impulso di queste emozioni e di questa aria nuova: nasce 
l'Accademia dei Pugni, cui partecipano Pietro ed Alessandro Verri e 
Cesare Beccaria, e dai cui sarebbe poi scaturita anche la 
pubblicazione della rivista "Il Caffè".  
Tuttavia il differente impulso subito dai rinnovamenti delle figure 
intellettuali faceva sentire il proprio peso anche nella 
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trasformazione dalle accademie. Mentre alcune di esse, come 
l'Accademia dei Pugni, tesero a istituirsi come centro di formazione 
e diffusione del nuovo elemento intellettuale, altre risposero invece 
all'esigenza di quella specializzazione scientifica in settori specifici 
che sempre più a gran voce veniva richiesta.  
La forte presenza intellettuale vide anche la sua voce ben difesa 
dalle riviste o dai giornali. Infatti questi sono gli anni in cui il 
numero dei lettori si moltiplica vertiginosamente, complice il fatto 
che cambiano gli argomenti trattati: non più teologia, erudizione e 
scienze astratte, ma economia, diritto, educazione, astronomia, 
fisica. Con l'evoluzione di questo importante elemento cartaceo, 
cambiano anche le figure dei direttori o dei curatori dei giornali: 
non ecclesiastici, ma professionisti laici. In Italia dopo il Trattato di 
Campoformio il ruolo degli ideologi è ormai in crisi. Con 
l'instaurazione del regime napoleonico, si mirò a organizzare il 
consenso inserendo nelle file dell'amministrazione statale gli 
intellettuali disposti a collaborare e ostacolando e perseguitando gli  
oppositori. Si verifica, in seguito a queste vicende, una scissione nel 
ceto intellettuale: una minoranza resta fedele agli ideali giacobini e 
si dedica alla propaganda ideologica e politica dei valori di libertà e 
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di uguaglianza; la restante parte, la maggioranza, si inserisce nella 
cultura ufficiale promossa dal regime. La cultura napoleonica 
agisce su un aspetto già presente nella cultura illuministica 
rappresentato dalla tendenza alla specializzazione scientifica e 
tecnica, incoraggiandola contro ogni pretesa di universalità e di 
intervento complessivo da parte degli intellettuali; essa favorisce il 
ritorno a un purismo sterile e innocuo, a una cultura classicistica 
eminentemente letteraria. Tuttavia, tra tutti questi aspetti certamente 
poco felici, la politica napoleonica presentava degli aspetti positivi: 
anzitutto sviluppò la presenza di elementi borghesi nei quadri delle 
istituzioni culturali e statali che ormai facevano a meno della 
protezione nobiliare e delle carriere ecclesiastiche; in secondo luogo 
produsse un notevole sforzo di razionalizzazione e di accentramento 
statale con risultati importanti nel campo dell'istruzione scolastica. 
Mentre l'ispirazione dell'Illuminismo francese fu fortemente 
indirizzata verso gli esempi e le elaborazioni teoriche inglesi, 
l'Illuminismo italiano si sviluppò invece grazie allo stimolo della 
combattività degli intellettuali francesi e della loro efficace opera di 
divulgazione delle nuove idee, anche se si caratterizzò ben presto, 
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presentando motivazioni particolari e raggiungendo risultati non 
meno originali e rilevanti, se non altro dal punto di vista culturale.  
Il motivo per il quale gli ideali settecenteschi di rinnovamento 
morale, civile e intellettuale non portarono a concreti risultati 
positivi nel costume e nella vita globale del paese dipese da una 
moltitudine di fattori che travalicavano la portata decisionale dei 
nostri ceti intellettuali, soltanto in parte schierati totalmente dalla 
parte dei Lumi, e si spiega con la debolezza di una borghesia 
imprenditoriale, incapace di sostituirsi ai centri del potere 
tradizionale, che erano rappresentati dalla proprietà terriera e dalla 
Chiesa, disinteressati a qualunque tipo di innovazione significativa 
dell'assetto economico e sociale. 
I centri principali della cultura illuministica in Italia furono Napoli e 
Milano. Nella città partenopea, il movimento trasse impulso dalla 
politica di riforme inaugurata dalla nuova dinastia dei Borboni, al 
potere dal 1734 in uno Stato che si mostrava finalmente autonomo. 
Gli intellettuali illuministi appoggiavano ogni tipo di apertura, 
sostenendo le iniziative giurisdizionaliste dei sovrani, intese a 
rivendicare i diritti dello Stato contro i secolari privilegi della 
Chiesa. Tra questi illuministi, tra gli intellettuali meridionali che si 
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annoverano nelle pagine di letteratura e storia italiana, figurano 
insigni studiosi come Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani  e 
Gaetano Filangieri , che posero le basi della moderna economia 
politica, delle discipline economiche e monetarie e predispongono, 
soprattutto nella figura di Filangieri, una riforma generale della 
giurisprudenza destinata a rinnovare nel profondo la vita civile del 
Regno. 
A Milano fu il dominio austriaco la condizione che permise il 
sorgere di un movimento illuministico, grazie all'appoggio dei 
sovrani illuminati Maria Teresa e Giuseppe II che, in accordo con i 
ceti borghesi in formazione, condussero un'opera di svecchiamento 
delle strutture feudali, di riorganizzazione dell'apparato 
amministrativo e burocratico, di incremento delle attività industriali 
e commerciali. Questo tipo di politica fu in grado anche di dare 
impulso a nuove energie culturali. Gli intellettuali come Pietro e 
Alessandro Verri, Cesare Beccaria guardavano con favore al 
riformismo di Maria Teresa e collaboravano col governo, entrando 
spesso in prima persona nell'amministrazione pubblica (anche se in 
seguito, con le meno caute riforme di Giuseppe II, se ne 
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distaccarono, e alla fine del secolo finirono per guardare con 
sospetto e avversione alla Rivoluzione francese).  
Se l'Illuminismo napoletano fu caratterizzato soprattutto dalle 
personalità di insigni studiosi e docenti, quello milanese si 
preoccupò anche di condurre una battaglia, in forme più spigliate e 
briose, più estemporanea, diffondendo le nuove idee non soltanto ad 
un pubblico di letterati, agendo con il mezzo giornalistico. Il 
programma culturale degli illuministi milanesi puntava su una 
letteratura fatta di argomenti vivi ed attuali, civilmente impegnata 
ed intesa a promuovere l'utile pubblico attraverso la diffusione dei 
“lumi”. Il gruppo si poneva in posizione vivacemente battagliera e 
polemica nei confronti della cultura tradizionale ed accademica, e 
auspicava l'uso di un linguaggio immediato, libero dagli impacci 
del classicismo, pronto ad impiegare i termini più adatti ad 
esprimere con chiarezza le idee, senza badare se fossero consacrati 
o meno dalla Crusca. L'elevatezza dei risultati teorici pone in alcuni 
casi gli intellettuali italiani al centro dell'attenzione europea.