Il teatro borghese del secondo Ottocento
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si nasconde il “manager”, occupandosi di tutta l’organizzazione
teatrale, come una sorta di supervisore.
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Le sue responsabilità,
piuttosto logistiche, sono alquanto vaste:
«Ei deve stipulare i contratti con i proprietari dei teatri, o con i
municipi, o con le accademie: si deve regolare ogni imposizione
governativa: ei deve scegliere le produzioni da rappresentarsi,
distribuire ad ogni singolo artista le parti, che a norma del contratto
gli spettano: ei deve dirigere le prove, istruire e consigliare l’attore
sul modo di rappresentare i diversi personaggi: deve comporre le
vertenze che bene spesso sorgono fra gli altri artisti: ei deve leggere
le produzioni che gli vengono presentate: darne un giudizio,
proporre le varianti e bene spesso consigliar l’autore a cambiar
vocazione; ei deve ragguagliare i giornalisti di quanto concerne, più
o meno, l’andamento della sua compagnia; provvedere alle scene,
al vestiario per le comparse, agli attrezzi, agli accessori: dare i
figurini per i costumi agli attori.»
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Comunque sia, gli obblighi degli impresari vengono stabiliti,
di volta in volta, nei contratti stipulati con la direzione e/o con la
deputazione o con la presidenza teatrale.
In secondo luogo il teatro poggia sulla figura dell’agente
teatrale, l’anello di congiunzione tra l’impresa e l’artista o la
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Naturalmente non si può ancora parlare di regia anche se, soprattutto verso la fine
dell’Ottocento, si comincia ad avvertirne l’esigenza, esigenza che nasce dalla necessità di uno
sguardo d’insieme sullo spettacolo e dalla necessità di opporsi all’esibizione troppa individuale
e personalistica degli attori. Il rischio però è quello di confondere e integrare i due ruoli, quello
dell’impresario e quello del regista che vanno invece nettamente separati: il primo è un
mestiere che implica doti amministrative tipiche dell’uomo d’affari, il secondo è un’arte che
dovrebbe essere libera da ogni preoccupazione finanziaria.
3
T. Salvini, Ricordi, aneddoti ed impressioni, Milano, Dumalard, 1895, pp. 175-176.
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compagnia, insomma, l’intermediario tra domanda e offerta. Si
tratta di un lavoro di facile accesso: secondo la legge di Pubblica
Sicurezza del 1865, per essere agenti, basta iscriversi al registro,
avere la fedina penale pulita e possedere una modesta tassa. Inoltre
è necessario avere una certa abilità critica nel valutare e riconoscere
le doti degli artisti.
Anche i compiti dell’agenzia sono molto vari: acquisto di
costumi e di commedie, spedizione degli oggetti teatrali, tutela dei
diritti d’autore per il paese in cui risiede.
L’agente gode di un doppio stipendio: da un lato la
“provvigione”, un compenso che varia tra il 5% e il 6% sulla paga
della persona scritturata,
4
dall’altro lato un po’ di praticaccia
giornalistica, ovviamente nel settore teatrale, creando così uno
strano legame tra agenzia e giornali o riviste teatrali.
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In altre parole, i giornali, accanto ad alti motivi politico-
ideologici, finiscono spesso per essere sorretti anche da gretti
motivi commerciali, ponendosi quali importanti strumenti di potere
delle agenzie. Infatti, oltre alle recensioni, questi giornali
4
Si ricordi che dopo il 1880 le provvigioni salgono all’8% per l’Italia e addirittura fino al 10%
negli USA.
5
Si pensi alla prima agenzia teatrale fondata a Milano nel 1870 da Icinio Palese Santarnecchi e
Pietro Ravizza, sostenuta già dal 1871 dal periodico «L’Arte Drammatica».
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pubblicano molti articoli circa gli attori, le compagnie e le loro
eventuali disponibilità.
L’ultimo elemento alla base del teatro è la compagnia. La sua
situazione, in Italia, è alquanto singolare rispetto al resto
dell’Europa: colpisce la facilità con cui si raggiungono anche i posti
più sperduti e per di più a costi bassissimi. Si tratta di compagnie
itineranti o di giro, che si articolano in compagnie primarie,
operanti nelle capitali o comunque nelle città più importanti;
6
compagnie secondarie, che attraversano i centri di minor rilievo;
infine il sottoproletariato dello spettacolo, cioè le compagnie di
terz’ordine di guitti, limitate ai paesini.
Pian piano le compagnie saranno sottoposte ad una
progressiva trasformazione: dal fenomeno del nomadismo alla
formazione di compagnie stabili, che avrebbero potuto lavorare
tutto l’anno in un solo teatro senza muoversi, salvo che per brevi
tournée, cosa che avrebbe garantito un miglioramento qualitativo
dell’apparato teatrale, perché ci sarebbe stato più tempo per le
prove e quindi una maggiore conoscenza dei testi, del palcoscenico,
della sala, una maggiore attenzione alla scenografia e ai costumi.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
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Le compagnie godono di una produzione amplissima (in
media una trentina di testi in una stagione), poiché molto raramente
concedono delle repliche, dovendo contare su un pubblico di
habitues assai ristretto.
Per quanto riguarda l’organico medio, la compagnia
ottocentesca si avvale del contributo di un economo (cioè l’attuale
amministratore), un suggeritore, un pittore scenografo, un sarto, un
macchinista, un guardarobiere.
Circa i ruoli, una sorta di schema fisso prevede e impone la
presenza del primo attore, la prima attrice, il brillante, il caratterista,
l’attore giovane, la seconda donna, il promiscuo, al di sotto dei
quali ci sono i generici, che interpretano, appunto, parti
drammaturgicamente generiche, cioè appena abbozzate.
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Naturalmente il ruolo più importante gerarchicamente è quello
del primo attore e della prima attrice (fisicamente di bell’aspetto),
che hanno il diritto di scegliere per primi la propria parte.
6
Le tappe maggiormente preferite sono Roma e soprattutto Milano, sebbene anche altre città
come Venezia, Torino, Firenze, Bologna, conservano un’importanza teatrale assai viva sino ai
primi anni del Novecento.
7
È ovvio che i ruoli non sono categorie fisse, pertanto è garantita una certa fluidità e anche la
possibilità della scalata, scalata determinata in primo luogo dalla maggiore o minore
corrispondenza con le caratteristiche fisiche del ruolo, secondo la logica del minimo sforzo.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
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Anche il brillante è un ruolo importante ed assume un duplice
valore a seconda che agisca nelle opere serie o comiche: nelle prime
ha la funzione di alleggerire la pesantezza della vicenda; nelle
seconde diventa motore dinamico dell’azione. Invece nel teatro del
primo Novecento finirà per identificarsi con il “raisoneur”, ossia il
portavoce dell’autore.
Il caratterista si rifà ai personaggi di carattere della
drammaturgia molieriana e goldoniana. Al caratterista si richiede
una corporatura grassa al fine di far cadere nel ridicolo il
personaggio che si rappresenta. Varianti più serie del caratterista
sono rappresentate dal padre o dalla madre nobile, solitamente di
mezza età, e dal tiranno, dotato di prestanza fisica.
L’attore giovane e l’attrice sono - come indica il nome - di
giovane età e spesso ricoprono il ruolo degli innamorati.
Naturalmente per seconda donna si intende la nemica della
prima: si tratta di un personaggio seducente, avventuriero, che
conserva queste qualità non solo nel ruolo di amante ma anche in
quello di sposa o vedova.
Infine il promiscuo ha l’abilità di passare dai ruoli patetici a
quelli comici.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
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Dal punto di vista economico la compagnia ottocentesca è
capocomicale, se di proprietà del capocomico, o sociale, nel caso in
cui tutti i componenti abbiano diritto a percentuali degli utili, anche
se non esattamente uguali: un carato e mezzo per i primi due attori e
il caratterista, un solo carato per tutti gli altri.
8
Infine possiamo trovarci di fronte a un sistema misto di
compagnia sociale con attori scritturati a contratto. I contratti
durano da un minimo di un anno ad un massimo di tre anni, con
possibilità di rinnovo, cosa che garantisce il riequilibrio della
struttura della compagnia ottocentesca, poco stabile a causa del suo
nomadismo.
9
La compagnia è una sorta di micro-società o «ghetto»,
10
in cui
vive e si distingue la figura dell’attore, figura così tanto importante
e determinante da poter parlare di teatro ottocentesco come di
“teatro di attore” essenzialmente per due motivi: in primo luogo
perché tutti gli elementi del discorso scenico esterni alla persona
dell’attore (scenografia, illuminazione, costumi) sono ridotti al
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Naturalmente la compagnia sociale compare, in particolar modo, nei periodi di crisi economica
perché tende a diminuire i rischi finanziari.
9
Il nomadismo se da un lato è sinonimo di instabilità, dall’altro nasconde un certo compiacimento
dell’attore per il viaggio e soprattutto garantisce un certo internazionalismo del teatro.
10
Cfr. E. Barba, La corsa dei contrari. Antropologia teatrale, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 11-15.
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grado zero, in secondo luogo perché la funzione progettuale è
affidata agli attori, ciascuno per la propria parte.
Ma qual è esattamente la condizione in cui versa l’attore?
Rispondiamo con le parole di Antoine:
«Io vorrei (…) tentare di convincervi che gli attori non conoscono
mai niente delle pièces che devono recitare. Il loro mestiere è
semplicemente di recitarle, di interpretare il meglio possibile dei
personaggi la cui concezione sfugge loro; essi sono in realtà dei
manichini, delle marionette più o meno perfezionate, a seconda del
loro talento, che l’autore abbiglia e agita a suo piacere (…) L’ideale
assoluto dell’attore deve essere di diventare una tastiera, uno
strumento meravigliosamente accordato, che l’autore suonerà a suo
gradimento. (…) Se gli è chiesto di essere triste o allegro, egli
deve, per essere un buon attore nel senso esatto del termine,
esprimere al livello più alto la tristezza o l’allegria, senza valutare
perché questi sentimenti gli sono chiesti.»
11
Generalmente l’attore è figlio d’arte e trasmette il proprio
lavoro di generazione in generazione, è autodidatta, fornito perlopiù
di una cultura elementare e si muove tra due poli opposti, senza mai
giungere ad uno stabile equilibrio: da un lato la tradizione del
comico, il suo nomadismo, la sua cultura spesso ridotta a kitsch
della cultura egemonica, la sua condizione di eccezionalità,
dall’altro la cultura borghese, la ricerca del realismo entro i limiti
11
R. Alonge, Teatro e spettacolo nel secondo Ottocento, Bari, Laterza, 1988, p.85. Il testo
originale è in A. Antoine, Le Theatre Libre. Saison 1893-1894, Paris s.d., Verneau, 1893,
pp.21-22.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
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suggeriti dalla critica e dalla produzione teatrale contemporanea,
l’aspirazione a formare delle compagnie stabili sotto la produzione
del governo.
Il nomadismo a cui sono sottoposte le compagnie ci permette
subito di concludere che gli attori non hanno né il tempo per
provare (hanno non più di sette o otto giorni per imparare una parte
nuova), né la possibilità di approfondire volta per volta i
personaggi, anche perché hanno a disposizione soltanto la “parte
levata”, cioè unicamente la propria parte senza conoscere
assolutamente l’intero copione. Quindi ogni attore interpreta il
proprio personaggio grazie alle informazioni sommarie offerte dal
capocomico e facendo prevalere l’istinto, il mestiere, le inclinazioni
del pubblico sullo studio del testo. Addirittura gli attori di maggior
rilievo cominciano a prendere coscienza del valore autonomo della
propria arte, della subordinazione funzionale del testo alla
recitazione, cosa tanto più sbagliata se si pensa che il testo è,
invece, un prius, il dato condizionante, ma non a sua volta
condizionato.
Di contro al gusto per l’improvvisazione, per l’intuito, per
l’adattamento del testo scritto sino ai limiti dell’irriverenza,
testimonianza della battaglia tra attori ed autori, o meglio tra due
Il teatro borghese del secondo Ottocento
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diverse concezioni dello spettacolo, si diffonde, a fine secolo, il
mito del grande attore, cioè il mito dell’individuo romantico,
geniale, spontaneo, totalmente immerso nel culto dell’arte.
Il grande attore italiano è rappresentato da una sorta di triade:
Adelaide Ristori (1822-1906), Ernesto Rossi (1827-1896),
Tommaso Salvini (1829-1915), soggetti all’influenza di Gustavo
Modena 81803-1861), in un rapporto di discepolato.
La novità e la chiave di interpretazione del grande attore
risiede nell’immedesimazione.
12
Per immedesimazione si intende
un’operazione di metamorfosi: lo sforzo di dissolversi e annullarsi
per lasciare trasparire solo l’altro, la capacità di immergersi,
disperdersi e scomparire perfettamente nel personaggio. Per
comprendere meglio questo lavoro di trasfigurazione a cui è
chiamato il grande attore possiamo pensare a due esempi: Salvini
penetra quasi fisicamente ed epidermicamente nel personaggio che
incarna, in virtù di un’attenta «toletta preparatoria» della sua anima
artistica. Nonostante lo spettacolo dell’“Otello” cominciasse alle
otto, egli si presentava a teatro alle cinque, preparandosi non solo
12
Ricordiamo quanto dice Giacosa circa l’immedesimazione, «la più preziosa tra le doti
dell’attore scenico»: «Non domandiamo solamente all’attore l’espressione del dolore, bensì di
quel dato dolore, che occupa quella data anima in quel dato momento». Cfr. G. Giacosa,
Conferenze e discorsi, a cura di I. Cappa, Milano, Cogliati, 1909, pp.193-220.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
12
nel corpo (vestizione e trucco) ma anche nello «spirito
all’immagine corrispondente».
13
Invece Ristori ripone tutta la sua
attenzione nel costume, che per lei è lo strumento necessario per
penetrare nell’intimo del personaggio.
Dunque l’attore è artista proprio in quanto interprete.
L’interpretazione consiste in una sorta di rapporto privato e
interumano tra l’attore e il suo personaggio, rapporto che si articola
in due momenti: in primo luogo definire in termini generali la
personalità globale del personaggio, cioè il carattere; in secondo
luogo precisarne i sentimenti nei singoli passaggi del dramma, cosa
che richiede un attento studio patologico del personaggio, dando
vita ad un teatro psicologistico. Ciò che emerge è che la capacità di
immedesimazione del grande attore è frutto di un equilibrio tra
spontaneità e naturalezza
14
da una parte e applicazione e studio
15
dall’altra.
Il miracolo del grande attore è nel dar vita ad una
comunicazione in grado di accordare in maniera armonica volto,
13
Cfr. K. S. Stanislavskij, La mia vita nell’arte, Torino, Einaudi, 1963, p. 200.
14
Qualità primaria e innata dell’attore è la facilità di trasformare la propria soggettività, per
provare in sé le sensazioni altrui attraverso un procedimento psicotecnico di autosuggestione.
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Alla naturale sensibilità si aggiunge un assoluto dominio della volontà sul sistema nervoso: si
tratta della prima autorevole affermazione della dimensione razionale del recitare. D’altronde
Il teatro borghese del secondo Ottocento
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gesto e voce, in cui la parola è l’elemento dominante, ma non da
meno sono l’espressività del volto, decantato dalla necessità di
recitare in proscenio per la scarsa illuminazione del tempo, e la
mimica, che deve essere universalmente comprensibile, soprattutto
nel grande attore che compie tournées all’estero.
Sarà il grande attore che, agli inizi del Novecento, farà del
teatro un’industria corrotta, immiserita, sgretolata dal fenomeno
della concorrenza, secondo la logica funesta del capitalismo. In
questa sorta di industria-fabbrica il regista assumerà un ruolo
dirigenziale mentre l’attore sarà privato della possibilità di
esprimere le sue capacità creative, offrendo un prodotto sempre
uguale (ogni replica è solitamente uguale alla prima). L’arte, ridotta
a merce, si trascinerà sempre più nel fango.
Dopo quest’ampia parentesi sul mito del grande attore,
ritorniamo al nostro attore nomade. Per quanto riguarda i costumi,
essi sono a carico degli attori perché il ruolo è considerato come
personaggio dell’attore. Si tratta quasi sempre di costumi
anche Giacosa parlava di una concentrazione dell’attore nel dramma «accompagnata e sorretta
da atti di volontà». Cfr. G. Giacosa, Conferenze e discorsi, op. cit. pp. 193-220.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
14
approssimativi per le scarse possibilità finanziarie in cui versano gli
attori.
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Di fronte alla condizione di precarietà in cui vive l’attore
(improvvisazione della recitazione, spese dei costumi e dei viaggi,
paga modesta), si dovranno aspettare gli ultimissimi decenni
dell’Ottocento per poter assistere ad un processo di
sindacalizzazione, perché solo ora gli attori cominciano a prendere
coscienza della propria condizione e a rivendicare i propri diritti.
Quindi faranno proposte quali la modifica dell’anno accademico,
17
l’istituzione di una Agenzia Cooperativa che tuteli attori e
capocomici, l’istituzione di una Banca Cooperativa di sconti e
prestiti, la richiesta ai teatri di provvedere di ogni corredo scenico.
Inoltre abbiamo due importanti conquiste: da un lato il primo
progetto di statuto per il funzionamento della Cassapensione per gli
attori (1891), dall’altro la Società di Previdenza fra gli artisti
drammatici, eretta in Ente Morale il 25 Maggio 1895.
16
Oltre alle spese degli abiti, per tutto l’Ottocento gli attori sostengono anche le spese dei viaggi.
17
L’anno teatrale cominciava con la prima domenica di Quaresima e terminava con l’ultimo
giorno del successivo Carnevale. La scelta ricadeva sul periodo quaresimale perché avrebbe
dovuto unire i componenti della compagnia; in realtà in questo periodo avvenivano i debutti,
tanto che ora si chiede di modificare l’anno comico dal 1° Settembre al 30 Giugno, utilizzando
i mesi estivi per favorire l’inserimento di nuovi attori e predisporre il repertorio.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
15
Siamo ormai alla fine del secolo: ora non si parlerà più di
grande attore bensì di mattatore, di cui i due maggiori
rappresentanti saranno Ermete Zacconi (1857-1948) ed Eleonora
Duse (1858-1924), interpreti d’eccezione di Ibsen.
18
Cosa si può dire invece circa la scenografia? Quello che
emerge è la povertà estetica del teatro. Infatti la scenografia, la cui
cura spetta al capocomico, è fatta essenzialmente di carta o tela
dipinta (soltanto ai primi del Novecento sarà di stoffa). Gli arredi
sono approssimativi e vengono predisposti dal direttore di scena,
generalmente un attore fallito.
Sommaria è anche l’illuminazione, che si avvale
semplicemente delle luci in basso alla ribalta e della “bilancia”, cioè
le lampadine in alto. Si tratta di un’illuminazione fissa che non ha
alcuna valenza rappresentativa o simbolica. L’illuminazione
elettrica farà la sua comparsa soltanto nel decennio 1880-90: ora la
luce si configurerà come strumento essenziale dello spettacolo, da
cui non si può più prescindere, perché vivifica lo spazio e il corpo
dell’attore. Sarà proprio l’uso dell’illuminotecnica, insieme allo
spegnimento della luce in platea, a dar vita al concetto moderno di
18
Si pensi al fenomeno dell’affermarsi della grande drammaturgia europea (accanto a Ibsen,
Stridberg e Cechov), che propone un ritratto doloroso dell’umanità.
Il teatro borghese del secondo Ottocento
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pubblico: un pubblico passivo, ricevente, che assiste come una sorta
di “voyeur” allo spettacolo.
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In attesa della luce elettrica l’attore
recita in proscenio, la parte anteriore del palcoscenico, l’unica
illuminata.
Con i Meininger (1870) il “decor” diventa un elemento
indispensabile per il teatro: dalla scena pitturata, approssimativa e
ridicola, si passerà alla scena costruita, concreta e abitabile da parte
dell’attore; insomma l’attore non è più davanti ma dentro la
scenografia. Dunque si assiste anche ad uno studio accurato per le
ambientazioni perché il teatro è egemonizzato dalla forza catturante
del dato visivo.
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Si farà strada così il concetto della “mise en
scene” (anche se in ritardo rispetto all’Europa), per cui si intende
l’esattezza di decorazione, di costumi, di accessori, la combinazione
di luci, l’imitazione possibile del vero, grazie tra l’altro
all’ampliarsi delle didascalie.
Qual è l’atteggiamento dello Stato italiano verso l’arte
nazionale? Notiamo una discrepanza tra primo e secondo Ottocento:
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Circa il pubblico, si aggiunga che è composto da borghesi che pretendono molto (divertimento e
coinvolgimento nello spettacolo) ma vogliono pagare poco. Inoltre la rappresentazione di
repertori non troppo innovativi garantisce la stabilità e l’estensione del pubblico.
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È soprattutto il teatro di musica ad essere regolato dalla logica del visuale, il piacere
dell’occhio. Infatti la sala è caratterizzata da dorature, velluti, orpelli luccicanti; le attrici si
trasformano in modelle che sfoggiano abiti costosissimi; la recitazione avviene sul bordo del