INTRODUZIONE
La società sta attraversando una fase di profonde e rapide
trasformazioni tale da mettere in crisi alcune delle sue
istituzioni più importanti, quali lo Stato e il Mercato. I
fallimenti di questi due sono riconducibili ai loro
“fallimenti relazionali”, cioè alla loro incapacità o
impossibilità di trattare problemi sociali di tipo
relazionale . Il Welfare State ha, infatti, commesso il
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grande errore di aver legittimato politicamente la
separazione tra sfera economica e sfera sociale e da ciò è
derivato il paradosso che affligge la nostra collettività: per
un verso, in nome della solidarietà si moltiplicano le prese
di posizione a favore di chi resta indietro nella
competizione quotidiana e di mercato; per l’altro verso,
tutto il sistema di valori della società è incentrato
sull’efficienza, sulla capacità cioè di generare valore
aggiunto. Anche se le imprese si muovono sempre più
come attori sociali, oltre che economici, attribuendo alla
capacità di produrre valore sociale un’influenza diretta
sulle performance di profitto, il loro obiettivo rimane
indissolubilmente legato alla massimizzazione di
quest’ultimo, condizione essenziale per accrescere il
consenso (specie degli azionisti) e dunque per
sopravvivere nel tempo. Sarebbe, invece, necessaria una
gestione che avvicini la sfera economica a quella sociale,
in quanto la produzione di beni sociali con una logica
STANZIANI S., La specificità relazionale del terzo settore, Franco
1
Angeli, Milano, 1998, pag. 10.
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imprenditoriale rappresenta un processo capace di
concorrere allo sviluppo delle comunità e dell’intero
sistema economico. Ecco perché oggigiorno assumono
sempre più importanza nuove forme organizzative che
possono essere racchiuse nella categoria concettuale del
“Terzo Settore”: le imprese sociali. Esse, seppure
attribuiscono all’economicità di gestione il carattere di
c o n d i z i o n e n e c e s s a r i a p e r i l m a n t e n i m e n t o
dell’organizzazione nel tempo, perseguono finalità di
carattere esclusivamente sociale; sono, dunque,
impegnate, nella creazione di valore sociale aggiunto .
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Per garantire il sostenimento e lo sviluppo di tali forme
imprenditoriali è stato necessario innanzitutto far
chiarezza dal punto di vista legislativo. Con il decreto
legislativo 24 marzo 2006, n. 155 “Disciplina dell’impresa
sociale” e con i successivi decreti attuativi, si è arrivati a
definire giuridicamente le imprese sociali come “le
organizzazioni private, ivi comprese gli enti di cui al libro
V del codice civile, che esercitano in via stabile e
principale un’attività economica organizzata, al fine della
produzione e dello scambio di beni o servizi di utilità
sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”.
Quindi, si tratta di organizzazioni che realizzano finalità
sociali mediante l’esercizio di attività d’impresa, cioè
gestendo le proprie attività nel modo più efficace ed
efficiente possibile.
FINIZIO M., La creazione di valore nell’impresa sociale. Dal
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valore economico al valore sociale aggiunto, Rubettino editore,
Catanzaro, 2011, pag. 11.
2
Le imprese sociali, al pari delle altre aziende, devono
porre particolare attenzione all’innovazione, intesa non
solo come innovazione tecnologica, ma bensì come un
cambiamento che può originarsi da tutti gli elementi che
compongono il modello di business, compreso il territorio,
un elemento spesso trascurato, ma che è invece fortemente
rilevante. Oggi, infatti, il “luogo” dell’innovazione
diviene in molti casi non tanto l’impresa, quanto il suo
tessuto relazionale locale. Non si può, dunque, fare ancora
riferimento al cosiddetto modello della closed innovation,
secondo cui le aziende devono completare al loro interno
tutte le fasi del processo innovativo, ma si deve rivolgere
l’attenzione a nuovi paradigmi. Sempre più
frequentemente, sia in contesti accademici che industriali,
si sente parlare di “open innovation” e di “innovation
network”, ossia della crescente tendenza delle imprese a
creare un sistema di relazioni con l’esterno per scambiare
e/o condividere tecnologie e competenze al fine di
sviluppare innovazione tecnologica. “Catturare idee dal
mondo e collaborare in rete” sono, infatti, gli elementi
fondamentali della nuova logica che governa i processi di
innovazione. Le organizzazioni che fanno parte di un
innovation network si sviluppano puntando non tanto su
investimenti diretti, quanto sui legami ed i rapporti con le
imprese esterne. L’idea di fondo di tali modelli è che, in
un contesto come quello attuale, in cui la conoscenza
viene largamente diffusa e distribuita, i cicli di
innovazione sono sempre più brevi e i costi di ricerca
crescenti, le aziende non possono pensare di basarsi solo
sui propri centri di ricerca interni, ma dovrebbero
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usufruire di nuove spinte tecnologiche provenienti
dall’esterno. Al contempo, esse dovrebbero cedere ad altre
organizzazioni le idee sviluppate in house, ma inutilizzate
nel proprio business, riuscendo così a ricavarne
ugualmente dei profitti . Nelle relazioni interorganizzative
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l’elemento essenziale è proprio l’esistenza di ambiti
concreti di collaborazione nei quali, attraverso la
ricombinazione delle conoscenze scambiate, l’impresa da
vita a processi innovativi indispensabili per la sua stessa
sopravvivenza sul mercato.
Il descritto comportamento relazionale si impone in primis
nelle organizzazioni imprenditoriali ricomprese nella
categoria dell’impresa sociale, che non a caso
rappresentano l’oggetto di osservazione del presente
lavoro. Si tratta, infatti, di imprese che mantengono forti
legami con la comunità territoriale in cui operano e che
traggono le risorse di cui hanno bisogno da una pluralità
di fonti: dalla pubblica amministrazione quando i servizi
hanno una natura meritoria riconosciuta, dalle donazioni
di denaro e di lavoro, ma anche dal mercato e dalla
domanda privata. È necessario, però, precisare che lo
scopo delle innovazioni realizzate dalle imprese sociali è
quello di soddisfare un bisogno sociale, si parla perciò di
social innovation, ovvero di innovazioni che si
differenziano da quelle tradizionali che sono, invece,
Tale atteggiamento si pone come alternativa alle tradizionali
3
strategie “difensive”, secondo cui anche le informazioni e la
conoscenza meno codificata devono rimanere protette all’interno
dell’azienda, al fine di evitarne lo sfruttamento da parte dei
concorrenti.
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generalmente motivate dallo scopo di massimizzare il
profitto. Quindi, l’innovazione si definisce sociale in
primo luogo in relazione alla categoria di bisogni cui dà
risposta, ed in secondo luogo in relazione alle finalità del
soggetto che la pone in essere.
L’innovazione fondamentale avvenuta in questi ultimi
anni nel sistema delle imprese sociali è legata sia al
funzionamento interno (innovazioni organizzative), sia
alla proiezione esterna, cioè alle idee di “costruire reti” . Il
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concetto di social innovation trova, infatti, le sue radici in
quello di social economy , con il quale condivide le
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condizioni di base: una fitta rete di relazioni, una forte
enfasi sulla collaborazione, sulla cura e sulla
manutenzione piuttosto che su un consumo irresponsabile,
un forte ruolo dei valori e della mission. La rete induce
l’organizzazione a costruire percorsi di senso insieme ad
altri, a contaminare e lasciarsi contaminare, a progettare il
proprio sviluppo in relazione allo sviluppo di altre
organizzazioni. L’impresa sociale diventa in questo modo
un “nodo” della rete, punto di raccordo tra diverse
variabili: altre imprese sociali, sviluppo dei territori e
delle comunità, capacità di interpretare fattori locali in
Euricse, “Social innovation. Analisi dell’innovazione sociale sulla
4
stampa generalista ed economica negli stati uniti, in Europa e in
Italia”, dossier n. 2, gennaio 2010 - giugno 2011, pag. 3, download
del 10/04/2013.
Si definisce economia sociale per distinguerla dalle economie basate
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sulla produzione e sul consumo di beni, rispetto alle quali presenta
delle caratteristiche molto distanti.
5
ottiche più ampie, strutturare strategie di cambiamento e
di sviluppo dell’intero contesto.
Date queste premesse, il lavoro di tesi si prefigge di
analizzare dapprima cosa si intende oggi per innovazione.
Essa non va considerata solo nella sua dimensione
materiale e tecnologica, ma anche con riferimento ai
diversi aspetti che ne caratterizzano la gestione e
l’organizzazione (approvvigionamenti, produzione,
vendite, marketing e comunicazione, etc.). I tradizionali
approcci technology push e market pull sembrano,
nell’attuale contesto competitivo, scarsamente in grado di
spiegare i comportamenti innovativi delle imprese e la
loro genesi, devono dunque cedere il posto a modelli più
articolati che potremmo definire di natura interattiva, cioè
su approcci che si basano sull’operare contestuale e
congiunto di una pluralità di fattori interni ed esterni
all’impresa. Il processo innovativo avviene non più solo
per linee interne, ma anche per linee esterne, mediante la
cooperazione tra imprese e la creazione di vere e proprie
reti di innovazione. In quest’ottica anche le tradizionali
fonti dell’innovazione (quali la R&S, la creatività
dell’imprenditore, la conoscenza), si integrano con altre
fonti quali le relazioni con i clienti e i fornitori, il
territorio. Nel capitolo sono poi delineate le diverse
tipologie di innovazione e le modalità con cui avviene il
finanziamento all’innovazione, i rischi, gli ostacoli e le
politiche da attuare per garantire uno sviluppo equo a
livello nazionale.
Il secondo capitolo è dedicato interamente al fenomeno
dell’innovation networking, principio cardine
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dell’innovazione contemporanea. Vengono tracciati
obiettivi, rischi, benefici e costi del lavoro in rete, nonché
le diverse modalità di collaborazione, tra cui le alleanze
strategiche che rappresentano un fenomeno in rapida
ascesa in virtù del fatto che oggi le imprese operano in un
ambiente che richiede flessibilità, innovazione ed una
specializzazione sempre più forte.
Il terzo capitolo parte da alcune considerazioni sul welfare
state, che è stato il punto di arrivo di un processo di
crescente coinvolgimento dello Stato nella tutela dei diritti
sociali di cittadinanza (salute, disoccupazione). Dagli anni
‘80 del secolo scorso questo modello è entrato in crisi
provocando l’avvio di un processo inverso di riduzione
dell’intervento pubblico e di trasferimento del suo ruolo
ad altri soggetti quali le famiglie, le organizzazioni di
terzo settore e le organizzazioni for profit. Si delineano,
quindi, dei welfare mix, cioè misti di protezione sociale
che vedono il coinvolgimento di attori sia pubblici che
privati . Il capitolo si sofferma ad analizzare in particolare
6
l’impresa sociale, la sua evoluzione, il suo ruolo, le sue
caratteristiche e peculiarità, nonché gli strumenti di
management più idonei per la gestione e lo sviluppo di
questa particolare tipologia di organizzazione. Emerge
chiaramente che il ruolo del management è gestire
COLOSSI I., BASSI A., Da terzo settore a imprese sociali.
6
Introduzione all’analisi delle organizzazioni non profit, Carocci
Faber. I ed. 2003, pag. 243.
7
efficacemente processi di indirizzo, di programmazione,
di comunicazione e di controllo entro la cornice comune
di riferimento culturale e in un’ottica di sviluppo
sostenibile. A tal proposito, è importante specificare che
non esiste un’unica one best way, bensì si possono
evidenziare diversi tipi di politiche di sviluppo per le
imprese sociali, a cui corrispondono specifiche
caratteristiche organizzative e gestionali ; le principali
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sono: il controllo politico del mercato, la competizione sui
costi (competizione in base all’offerta economicamente
più vantaggiosa), la competizione sulla qualità, la
specializzazione, lo sviluppo comunitario e l’innovazione
sociale. Focalizzando l’attenzione su quest’ultimo aspetto,
innovare vuol dire sviluppare programmi o interventi
innovativi che aprano nuove opportunità di crescita e di
sviluppo per affrontare proattivamente la sfida del
miglioramento continuo. Nell’ambito delle imprese sociali
si parla di social innovation, ossia innovazione che ha
l’obiettivo di soddisfare un bisogno sociale. Essa
rappresenta una leva promettente per una necessaria
riorganizzazione delle relazioni produttive e sociali, ma
affinché possa effettivamente avere successo, deve
realizzarsi entro un ecosistema di servizi, competenze,
procedure che facilitino il reperimento e la messa in opera
COLOSSI I., BASSI A., Op. Cit., pag. 206.
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8
delle risorse critiche lungo tutta la filiera
dell’innovazione. A conclusione del lavoro è presentato un
caso di studio che permette di valutare se la teoria, esposta
nei precedenti capitoli, trova un riscontro anche nella
pratica. Lo scopo è fondamentalmente quello di
individuare ed analizzare eventuali reti di innovazione
presenti nel Mezzogiorno ed in particolare in Campania,
una regione in cui, a causa di una serie di condizioni
storiche, culturali, economiche e sociali, si è rallentata o
talvolta impedita la formazione di reti tra imprese. Ciò ha
significato, e significa tuttora, una barriera di non poco
conto lungo il processo di sviluppo dell’economia
regionale. Attraverso una ricerca quantitativa-descrittiva si
desidera comprendere quali fattori possono influire sul
successo di un’alleanza e se le imprese che presentano una
maggiore propensione all’innovazione sono anche quelle
in cui si riscontra un migliore spirito collaborativo. Al fine
di realizzare tale ricerca viene utilizzata la Social Network
Analysis, una metodologia che consente l’analisi
interorganizzativa e che, quindi, può essere utilizzata per
mappare e misurare le relazioni e le interazioni tra i
diversi attori del campione di riferimento.
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