5 
INTRODUZIONE 
 
Non sarebbe esagerato sostenere che nel Medioevo ogni forma letteraria è 
didascalica. È risaputo che la poesia lirica, l’epopea, il romanzo, sotto forme diverse, 
propongono ai lettori una morale, determinano più o meno esplicitamente uno stile di vita. 
Parallelamente a questi generi ben definiti si è sviluppata un’importante produzione 
letteraria dai caratteri formali imprecisi, che costituisce una disorganica summa dei valori 
morali e delle conoscenze teoriche e pratiche della società medievale. 
La letteratura didascalica comprende composizioni in prosa e in versi, ampie o brevi, con 
le quali in ogni tempo sono stati svolti argomenti di carattere scientifico, tecnico, morale, 
teologico, ecc., allo scopo di ammaestrare e divulgare il sapere. 
 
Nell'antica Grecia già alcuni passi dell'Iliade e dell'Odissea hanno un contenuto 
didascalico, così come Le opere e i giorni
1
 di Esiodo e molti poemi di autori alessandrini. I 
Latini, per il loro stesso carattere volto alla vita pratica, fin dai primi tempi della loro vita 
letteraria lasciarono numerose manifestazioni di questo genere: il De rerum natura di 
Lucrezio, le Georgiche di Virgilio, le Metamorfosi, Halieutica, Ars amandi, i Fasti di 
Ovidio, l'Epistola ai Pisoni o Ars poetica di Orazio. Nel Medioevo la letteratura 
didascalica ebbe grande fortuna con i numerosissimi bestiari, erbari, lapidari, con le 
compilazioni enciclopediche (Livres du trésor di Brunetto Latini; Roman de la Rose di 
Guillaume de Lorris e Jean de Meung) e quindi con le “visioni”, le “piacevoli finzioni”, le 
“allegorie”: elementi che confluiranno nel grandioso poema dantesco che ebbe numerose 
imitazioni. 
 
Jean de Condé, menestrello «attiré» alla corte di Guglielmo I di Hainaut, fu autore 
di settantasette pièces, per un totale di circa ventimila versi, edite complessivamente nel 
1866-67 da A. Scheler, Dits et Contes de Baudouin de Condé e de son fils Jean de Condé, 
tomi II e III, tra cui anche cinque fabliaux editi da A. Landolfi Manfellotto, I «Fabliaux» di 
Jean de Condé. Edizione critica con introduzione, note e glossario nel 1979. A p. 27, la 
                                                 
1
 Documento importantissimo dell'etica greca arcaica (sec. VIII a. C.), il poemetto di Esiodo contiene, pur 
nella durezza della precettistica, squarci di grande poesia. Cfr. A. De Petris, Prometeo. Un mito, Firenze, 
Olschki, 2003, p. 12.
6 
studiosa afferma che «tra l’altro sono proprio i componimenti a carattere strettamente 
narrativo quelli in cui la vena poetica di Jean de Condé si è espressa più felicemente». Altri 
due componimenti, La Messe des Oiseaux e Le Dit des Jacobins et des Fremeneurs, sono 
stati editi da J. Ribard nel 1970. È anche disponibile l’eccellente contributo di S. Mazzoni 
Peruzzi, Jean de Condé, Opera, vol. I, I manoscritti d’Italia, 2 tomi, Firenze, 1990, con 
l’edizione critica di venticinque componimenti. Si veda anche l’importante contributo in 
francese di J. Ribard, Un ménestrel du XIV
e
 siècle: Jean de Condé, Genève, 1969. 
Nel presente lavoro, si è cercato di mettere un po’ di ordine nella vasta bibliografia a 
riguardo, composta per lo più di saggi sparsi in numerose raccolte, offrendo, in questa 
sede, un unico studio monografico del menestrello. 
 
Il primo capitolo si prefigge di dare notizie biografiche su Jean de Condé, 
tracciando un panorama storico-politico dell’Hainaut nel XIV secolo. Si passa in seguito 
alla tradizione manoscritta che contiene i componimenti di Jean de Condé per poi giungere 
alle varie edizioni critiche delle sue opere. Si conclude enumerando alcune caratteristiche 
sulla lingua dell’autore. 
 
Il secondo capitolo vuole essere uno schema riassuntivo dei settantasette 
componimenti di Jean de Condé. Dapprima, sono state apportate delle delucidazioni 
riguardo alla terminologia utilizzata dall’autore per definire le proprie opere (lais, fabliaux, 
dits), dove il confine fra generi letterari è molto labile. Poi, si è tentato di fornire una 
classificazione di tipo tematico delle opere, lavoro che non era mai stato fatto in 
precedenza. Ciò ha permesso di fare emergere tre tendenze nella produzione di Jean de 
Condé; opere di carattere narrativo, opere «ibride» sia di carattere narrativo che 
moraleggiante e opere di carattere didattico - moraleggiante. 
Questa constatazione, alla quale è giunta anche Ribard, vale da sé a sfatare un luogo 
comune alquanto diffuso, che cioè il menestrello hainuyer sia prevalentemente un autore 
didascalico. Pochi individui, sulla base di pretesi principi universali, classificano gli 
uomini e le idee, i sentimenti e i comportamenti. Con rigoroso «determinismo» Jean 
riunisce, stratifica, divide, in una serie minuta di ipotesi previste, tutti i dati dell’umano, 
facendosi portavoce di un microcosmo.
7 
Nel terzo capitolo, si è cercato di rintracciare le possibili fonti che hanno 
influenzato la produzione di Jean de Condé. Le indagini prendono avvio fra i 
contemporanei e i compaesani dell’autore per poi andare indietro nel tempo fino a giungere 
all’influenza delle fonti classiche. 
 
Il quarto capitolo propone un’analisi di quello che si ritiene in genere il capolavoro 
del menestrello: La messe des Oisiaus. L’opera risulta da subito composita, a metà strada 
tra la morale religiosa (messe) e il codice cortese (oisiaus). 
 
È utile, dunque, ripercorrere sinteticamente l’intero tessuto connettivo di Jean de 
Condé, al fine di coglierne gli elementi di specificità, a tutti i livelli, quali emergono 
dall’ordito dei singoli componimenti. 
 
Tutti i passi citati in antico francese sono supportati da una nostra traduzione in 
italiano. L’intento è infatti quello di far conoscere il menestrello hainuyer ad un pubblico 
di non soli specialisti della letteratura francese medievale e tardo medievale.
8 
1. JEAN DE CONDÉ: UN MENESTRELLO ALLA CORTE DI GUGLIELMO I 
DI HAINAUT 
 
1.1. Brevi cenni biografici 
Jean de Condé è un troviero originario di Condé-sur-l’Escaut
2
 nella contea dell’ 
Hainaut
3
. Data di nascita e di morte del poeta sono incerte. Secondo J. Ribard
4
, uno dei 
maggiori studiosi del menestrello, a giudicare da alcuni riferimenti storici riscontrati 
all’interno dei suoi componimenti, si può attestare la nascita del Condé intorno al 1295-
1300. La sua carriera potrebbe essere stata abbastanza lunga (quarantacinque anni circa), 
ciò che non contraddice la vastità sua produzione a noi giunta (circa 20000 versi). La data 
della morte di Jean è sconosciuta ma potrebbe situarsi verso il 1345. Questo dato si evince 
da tre dei suoi componimenti che possono facilmente essere datati: De l’ipocrisie des 
Jacobins, in cui allude alla morte dell’imperatore Enrico VII che, secondo il troviero, 
sarebbe stato avvelenato dai Giacobini, potrebbe essere collocato nel 1313; De mons. 
Engeran de Marigni è contemporaneo dell’esecuzione del ministro di Philippe le Bel (30 
aprile 1315) e Li dis du boin conte Willaume, orazione funebre del conte che fu il 
benefattore del poeta, è stata composta nel 1337: 
 
C’ert li peres des menestrés; 
cil doivent bien eiestre espierdu 
Quant il ont leur pere pierdu
5
. 
 
Jean de Condé segue le orme del padre Baudouin, già poeta di corte, pressappoco come, 
più tardi, Clément Marot succede al padre Jean. 
 
K’en ce chemin le vœl poursuivre
6
. 
                                                 
2
 Nel XIII secolo, era una cittadina di confine che faceva parte della contea di Hainaut, regione storica dei 
Paesi Bassi. Oggi, è in Francia, nella regione Nord-Pas-de-Calais, pur sempre al confine con il Belgio. 
3
 Cfr. F. Fery-Hue, Jean de Condé, in Dictionnaire des lettres françaises: le Moyen-Âge, G. Hasenohr e M. 
Zink (a cura di), Paris, Fayard, 1992, pp. 762-764. 
4
 Cfr. J. Ribard, Un ménestrel du XIVe siècle, Jean de Condé, Genève, Droz (Publications romanes et 
françaises, 104), 1969, pp. 69-99. 
5
 Cfr. Dis dou boin conte Willaume, in Jean de Condé, Opera Omnia, edizione critica a cura di S. Mazzoni 
Peruzzi, Firenze, Olschki (Studi dell'Accademia toscana di scienze e lettere "La Colombaria", 94), 1990, p. 
366, vv. 54-56. «È il padre dei menestrelli, quelli devono sentirsi persi, ora che hanno perso il proprio padre».
9 
Non si conoscono con certezza le tracce della vita precedente alla sua permanenza 
nell’Hainaut. Qui accolto dal conte Guglielmo I
7
, guadagna una posizione sicura a corte. I 
suoi settantasette componimenti non lasciano quasi mai spazio alla storia, né ai grandi 
rivolgimenti politici e militari che riguardano la Francia in quel periodo. Anche lì dove 
pare esservi un preciso riferimento a fatti storici determinanti, questi vengono sempre 
utilizzati come spunto per una riflessione morale o un plauso alla condotta del conte 
Guglielmo I. 
 
 
Fig. 1 Guglielmo I d’Asvenes, conte di Hainaut 
8
 
                                                                                                                                                    
6
 Cfr. Dit du Lévrier (XXXIV), in S. Mazzoni Peruzzi, Opera Omnia cit., pp. 381-441, v. 45. «Perché in 
questo cammino lo voglio seguire». 
7
 Guglielmo I d’Avesnes, detto le Bon, nato verso 1286, morto a Valenciennes le 7 giugno 1337, è conte di 
Hainaut, di Olanda (con il nome di Guglielmo III) e di Zelanda dal 1304 al 1337. È figlio di Giovanni I 
d’Avesnes e di Filippina di Lussemburgo. Sposa il 19 maggio 1305 Giovanna di Valois († 1352) figlia di 
Carlo di Francia e di Marguerite d'Angiò. 
8
 Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique, Biographie Nationale, 
Bruxelles, Établissements Émile Bruylant, t. 8, 1885, pp. 475-478.
10 
1.2. Il poeta di corte 
All’inizio del XIV secolo, i giullari nomadi sono ormai discreditati. Sempre più 
spesso, ai grandi signori piace circondarsi da poeti a loro intimi, che frequentano la loro 
cerchia. Durante il XIII secolo, rari furono i trovieri che trascorsero la loro vita a corte. 
Adam de la Halle segue Roberto d’Artois a Napoli; Thibaut de Champagne seleziona 
qualche menestrello a lui caro, ma sono solo eccezioni. Invece, sin dall’inizio del XIV 
secolo, all’eccezione si sostituisce la regola: nei ricchi castelli, presso i falconieri e araldi 
vivono anche i menestrelli. Pertanto, la dignità del mestiere accresce subito. I menestrelli, 
diventati veri e propri uomini di lettere, iniziano a disprezzare i loro colleghi nomadi. 
Inizia così un periodo di transizione
9
, in cui i menestrelli difendono con garbo la propria 
corporazione
10
. Così si esprime Jean de Condé: 
 
Je sui des menestres al conte. 
Car biaus mos trueve et les reconte. 
Dis et contes, et lons et cours, 
En mesons, en sales, en cours 
Des grans seigneurs, vers cui je vois 
Et haut et bas oient ma vois 
 
De mal à fere les repren 
Et à bien fere leur apren ; 
De ce jour et nuit les sermon, 
On ne demande autre sermon 
En plusours lieus ou je parole. 
(…) 
Jehan de Condé sui nommez, 
Qui sui en maint lieu renoumez
11
. 
Sono il menestrello del conte 
Perché trovo delle belle storie e le narro 
Dit e racconti, lunghi e corti, 
nelle case, nelle sale, alla corte 
dei grandi signori, versi di cui vedo 
in alto e in basso che ascoltano la mia voce. 
 
Del mal agire li avverto 
E del fare bene insegno loro 
Poiché giorno e notte li indottrino 
Non mi chiedono altri sermoni 
Nei molteplici luoghi in cui prendo la parola 
(…) 
Sono chiamato Jean de Condé 
e in molti luoghi sono conosciuto. 
 
                                                 
9
 Questa fase di transizione è spiegata molto bene sulla base del confronto di testi in  J. Bédier, Les fabliaux, 
Études de littérature populaire et d’histoire littéraire du Moyen-âge, Paris, Champion, 1982, pp. 418-426. 
10
 Cfr. B. S. Merrilees, Jean de Condé, in «Speculum», 47 (1972), pp. 111-113. 
11
 Cfr. Jean de Condé, Dit des Jacobins et des Fremeneurs (LXVI), in A. Scheler, Dits et contes cit., t. II, pp. 
249-260, vv. 247-267 e vv. 312-314.
11 
Jean è molto presto in contatto con il milieu aristocratico e la cultura classica. Riceve dalla 
contessa di Hainaut, Giovanna di Valois, delle gratifiche ufficiali negli anni a cavallo fra il 
1325 e il 1333: diventa il menestrello autorizzato della corte di Hainaut, a Valenciennes 
dove era ubicato l’Hôtel de Hollande, residenza invernale del conte, e al Quesnoy, 
prediletto per l’estate. Il suo ruolo di poeta di corte gli permette di affermarsi come 
«epigono» della tradizione cortese e come educatore dei giovani baccellieri (Li castois dou 
jouene gentil home; Dit des. III. Mestiers d’armes). Le interminabili descrizioni dei tornei 
del Lai du blanc chevalier e del Dit dou chevalier a le mance sono giustificate dalla 
meticolosa professionalità nella formazione.  
Come conferma Scheler: 
 
Il suffit, pour fixer le rang littéraire de notre poète, de rappeler qu'il appartient à 
cette période de la décadence de la poésie française que l'on appelle l'époque des 
moralités, des allégories, de la prédication poétique
12
, et que, malgré les estimables 
qualités que ses compositions nous découvrent en ce qui concerne son caractère 
personnel, sa muse est empreinte des vices et des travers qui marquent cette 
époque
13
. 
 
E ribadisce Pâris: 
 
Ennemi du libertinage d'esprit et de mœurs, il ne paraît pas avoir voulu fonder sa 
réputation, comme la plupart des trouvères ses contemporains, sur la séduction des 
récits romanesques ou le scandale des révélations satiriques. Il aima mieux se 
vouer au culte, et, pour ainsi dire, à la prédication des vertus les plus propres à 
former le chevalier irréprochable et le chrétien accompli
14
. 
 
Ci è ignota la durata della sua permanenza alla corte di Hainaut, né si può affermare con 
certezza che il soggiorno all’Hôtel di Guglielmo I sia stato preceduto da un periodo più o 
                                                 
12
 Cfr. Jean de Condé, Dit des Jacobins et des Fremeneurs, in A. Scheler, Dits et contes cit., v. 245; «De ce 
jour et nuit les sermon». 
13
 A. Scheler, Dits et contes cit., pp. V-VI. 
14
 A. P. Pâris, Histoire littéraire de la France, où l'on traite de l'origine et du progrès, de la décadence et du 
rétablissement des sciences parmi les Gaulois et parmi les François par des religieux bénédictins de la 
Congrégation de S. Maur, P. Paris, Paris, 1895, t. XXIII, p. 267.
12 
meno lungo di «vie nomade»
15
; almeno in questo senso Scheler – ed altri con lui
16
- 
interpreterebbero alcuni versi del Dit des Jacobins et des Fremeneurs. Jean de Condé restò 
sempre profondamente legato all’Hainaut, più volte ricordato con i toni di affettuosa 
familiarità: 
 
Si assambla as Hainujers
17
. 
 
Li quens de Hainnau s’aprestoit 
De lui honnerer, qui estoit 
Vaillans et de moût boin renon
18
. 
 
En Haynau ot une bourgoise, 
En une ville, assez courtoise, 
Plaine de jeu et de soûlas, 
K'amours la tenait en ses las
19
. 
 
Nella sua poesia, la «petite patrie», prospera e tranquilla sotto l’accorta guida del Conte 
buono, è un mondo completo che basta a se stesso. Anche la storia, pur così densa di eventi 
in questa prima metà del XIV secolo, vi appare ristretta nei primi angusti della provincia, 
filtrata, ovattata, spesso assente
20
. 
Le opere di Jean e degli altri autori di quel periodo non erano destinate ad essere lette nelle 
piazze (il che è testimoniato anche dal ruolo che il poeta assegna ai suoi personaggi villani 
                                                 
15
 A. Scheler, Dits et Contes cit., t. III, p. XIX. 
16
 Si veda, ad esempio: 
- J. Wiegrand, Jean de Condé, literarhistorische Studie, inaugural-Dissertation, Borna-Liepzig, 1914. 
- A. Langfors, Jean de Condé, in «Revue critique d’histoire et de littérature», nouvelle série, LXXVII (1914), 
pp. 510-511. 
- M. Roques, Jean de Condé, in «Romania», XLIII (1914), p. 160. 
- C. V. Langlois, Jean de Condé, ménestrel et poète français, in Histoire littéraire de la France, Paris, 
Imprimerie nationale, t. 35, 1921, pp. 421-454. 
17
 Jean de Condé, Lays dou blanc chevalier in A. Scheler, Dits et contes cit., p. 24, v. 776. «Egli si unì agli 
Hainuyers». 
18
 Jean de Condé, Dit dou chevalier a le mance, in S. Mazzoni Peruzzi, Opera Omnia cit., p. 244, vv. 827-
829. «Il conte di Hainaut si affretta ad onorare, colui che è coraggioso e di buona fama». 
19
 Jean de Condé, Du clerc qui fu repus deriere l’escring, in A. Landolfi Manfellotto, I “Fabliaux” di Jean 
de Condé, Japadre, L’Aquila, 1981, p. 105, vv. 6-10. «Nell’Hainaut, vi è una borghesia, in un paese, 
abbastanza cortese, piena di giochi e di gioia, tanto che Amore la teneva ben stretto». 
20
 Cfr. J. Ribard, Un ménestrel cit., p. 83.
13 
e cittadini nei componimenti), tuttavia non è escluso che la loro commissione potesse 
venire anche da parte di borghesi arricchiti, per i quali poter pagare un troviero era segno 
di innalzamento sociale. 
 
1.3. Il contesto sociopolitico dell’Hainaut nel XIV secolo 
L’Hainaut, nella prima metà del XIII secolo, prima dell’inizio degli spaventosi 
disordini provocati dalla Guerra dei Cento Anni, conosce un periodo stabile e prospero
21
. 
La lunga querela dei D’Avesnes e dei Dampierre è ormai archiviata
22
, dato che nel 1246 vi 
fu la sentenza del re Luigi IX che ne segnò definitivamente la fine e, da quella data, la 
dinastia degli D’Avesnes regna sulla contea dell’Hainaut, al quale vengono annessi nel 
1299, l’Olanda e la Zelanda. Piccolo principato indipendente, rurale più che urbano, a 
differenza della sua potente vicina la Fiandra, il cui sviluppo delle città mercanti 
permetterà senz’altro di “modernizzarla” più in fretta ma a singhiozzi. L’Hainaut è un 
paese relativamente ricco, in cui non ci sono rilevanti problemi interni. All’esterno, si può 
affermare che la contea dell’Hainaut assume, in quell’epoca, una convivenza intelligente 
con le potenze vicine, che si tratti dell’Imperatore o del re di Francia, o del re d’Inghilterra. 
Questa situazione pacifica, l’Hainaut la deve in gran parte al proprio sovrano, Guglielmo I, 
che gli storici si accordano nel considerare come un principe il cui regno fu 
particolarmente benefico per i propri sudditi e che meritò, si sa, il soprannome de “il 
buono”. Succedette a suo padre Giovanni II d’Avesnes e fu designato a presiedere al 
destino dell’Hainaut dal 1304 al 1337 - date che, si noti, corrispondono in maniera 
abbastanza esatta con le date in cui studiosi hanno delimitato il periodo di attività letteraria 
di Jean de Condé – prima di lasciare il posto al figlio, Guglielmo II (1337-1345). Il regno 
di Guglielmo il Buono fu, in ogni modo, felice. Principe abile e prudente, seppe mantenere 
il paese in pace con le potenze limitrofe, grazie anche ad alleanze fra le famiglie. Infatti nel 
                                                 
21
 Cfr. L. Theis, Histoire du Moyen-âge français, chronologie commentée de Clovis, Paris, Broché, 1999, p. 
293. 
22
 Giovanni I d'Avesnes, nato a Houffalize, in Lussemburgo nel 1218, morto a Valenciennes nel 1257, padre 
di Guglielmo I, fu conte di Hainaut. Era il figlio di Bouchard d'Avesnes e di Margherita di Costantinopoli, 
contessa delle Fiandre e di Hainaut. Il matrimonio dei suoi genitori era stato sciolto dal papa, poiché la sua 
nascita era stata infangata di bastardaggine. Inoltre, sua madre se era risposata con Guglielmo II di Dampierre 
ed aveva anche avuto figli da questa unione. Di fatto, una querela opponeva i fratellastri. Giovanni I 
d'Avesnes e Baudouin d'Avesnes, suo fratello consanguineo, intrapresero di fare ammettere la loro 
legittimità, che fu riconosciuta da l’imperatore Federico II nel marzo 1243, da Luigi IX nel 1246 e dal papa 
Innocenzo IV nel 1250.
14 
1305 sposò Giovanna di Valois, figlia di Carlo di Valois e di Margherita d'Angiò, quindi 
sorella del futuro re di Francia Filippo VI. Nel 1325 Guglielmo I aiutò la regina 
d'Inghilterra Isabella di Francia (cugina di Giovanna di Valois) a preparare una spedizione 
contro il re (e marito) Edoardo II. Con l'occasione il futuro re d'Inghilterra Edoardo III si 
fidanzò con la figlia di Guglielmo, Filippa di Hainaut. Era anche il suocero dell’imperatore 
poiché l’altra figlia, Margherita, contessa di Hainaut, di Olanda e di Zelanda, era andata 
sposa a Ludovico IV di Baviera, Imperatore del Sacro Romano Imparo dal 1328
23
. 
Per di più, si è ormai certi che all’epoca la Francia settentrionale e l’Hainaut conobbero 
una considerevole fioritura letteraria. Infatti, come precisa Ribard: 
 
Le «centre de gravité» littéraire de la France se déplace vers le Nord. A Lille, 
Valenciennes, Tournai, Arras, Douai se tiennent des puys réputés et, pour d’assez 
nombreuses années, la terre des Jean le Bel, des Froissart, des Baudouin, et des 
Jean de Condé donnera le ton à la littérature de la langue française
24
. 
 
Una tale effervescenza letteraria, che si spiega probabilmente delle favorevoli condizioni 
storiche che sono state spiegate prima, era uno stimolo certo per gli scrittori e si può 
pensare che un tale climax non era estraneo allo sbocciare di una personalità e di un talento 
come quello di Jean de Condé
25
. 
Non c’è da stupirsi che in quelle condizioni la corte di Valenciennes, capitale della contea 
di Hainaut, sia stato un luogo brillante in cui la civiltà cavalleresca e feudale batteva gli 
ultimi colpi, già colpita a morte e presto “laminée” per riprendere l’espressione di Léopold 
Génicot, «entre monarchie et bourgeoisie
26
». 
 
1.4. Il menestrello e la Chiesa 
Gli attacchi, spesso violenti, che Jean rivolge agli Ordini Mendicanti
27
, sono 
testimoni di un’aggressività che contrasta con la solita moderazione del proprio carattere. 
                                                 
23
 Cfr. G. H. Dumont, Histoire de la Belgique, Bruxelles, Le cri, 2000, pp.110-125. 
24
 J. Ribard, Un ménestrel cit., p. 82. 
25
 Cfr. H. Pirenne, La civilisation occidentale au Moyen-âge: du 11
ème
 au milieu du 15
ème
 siècle, in L’Histoire 
du Moyen-âge, H. Pirenne - G. Cohen - H. Focillon (a cura di), Paris, PUF, 1941, p. 361. 
26
 L. Génicot, La noblesse dans l'occident médiéval, London, Variorum reprints, 1982, p. 281. 
27
 Gli ordini mendicanti, sorti tra il XII ed il XIII secolo in seno alla Chiesa cattolica, sono quegli ordini 
religiosi ai quali la regola primitiva imponeva l'emissione di un voto di povertà che implica la rinuncia a ogni
15 
In realtà, il poeta riflette attraverso in suoi componimenti il clima di ostilità velata del suo 
entourage nei confronti degli Ordini mendicanti che trattano la «menestrandie» d’«œvre de 
malfé
28
», ovvero seguace di Satana
29
. 
Ma c’è di più, è nel Dit des Jacobins et des Fremeneurs (Frères Mineurs) che si trova il 
motivo essenziale di questa vera esplosione di rabbia e di odio: i Mendicanti sur les 
menestreus sermonnent
30
 e li rappresentano come dei veri e propri esseri usciti dalle 
Tenebre. E se si riflette sull’epoca in cui queste affermazioni sono state dette, non era una 
semplice accusa. Si capisce che questo fatto abbia scatenato l’ira di Jean e di conseguenza 
la violenza e il carattere molto personale che traspaiono nei suoi componimenti. 
È interessante assistere, in un contesto medievale pieno di vita ma anche di virulenza, ad 
un episodio di questa lotta, aperta e sorda, che una buona frazione della Chiesa ha portato 
avanti contro gli «amuseurs» di ogni specie, accusati da essa, di portare alla depravazione. 
C’è da dire che Jean de Condé -benché fosse protetto dalla corte di Hainaut- ha avuto un 
coraggio non trascurabile per essersi attaccato di petto ad una potenza della quale non 
bisogna sottovalutare né l’influenza né i mezzi di azione. 
 
1.5. La tradizione delle opere 
1.5.1. I testimoni 
Cinque manoscritti e alcune trascrizioni del XVIII secolo conservano l’opera di Jean de 
Condé: 
                                                                                                                                                    
proprietà non solo per gli individui, ma anche per i conventi, e che traevano sostentamento unicamente dalla 
raccolta delle elemosine. Occasione storica della fondazione dei primi ordini mendicanti (l'Ordo 
Praedicatorum di Domenico di Guzmán, l'Ordo Minorum di Francesco d'Assisi) fu la grave situazione 
creatasi in seno alla Chiesa in seguito alla massiccia penetrazione fra i ceti più umili (soprattutto in Italia e 
nella Francia meridionale) della propaganda pauperistica dei catari e dei valdesi. Francesco, Domenico e i 
loro seguaci rappresentarono la risposta alla Chiesa ad alcune legittime esigenze fatte valere da quelle sette: 
perseverando all'interno della Chiesa, cercarono di realizzare l'ideale evangelico dell'imitazione di Cristo in 
una vita semplice, fatta di povertà e penitenza, predicazione e opere di carità: provvedevano al loro 
sostentamento unicamente tramite la raccolta di offerte e il lavoro (insegnamento, cura d'anime). Questa 
scelta venne fatta in netta contrapposizione con l'evidente ricchezza del clero secolare, non legato da alcun 
voto di povertà, e dei monaci del tempo, tenuti alla povertà individuale ma non a quella collettiva, la cui 
predicazione era ritenuta meno efficace nella difesa del Vangelo. Cfr. M. Heim, Introduzione alla storia della 
Chiesa, Torino, Einaudi, 2002. 
28
 Cfr. Jean de Condé, Dit des Jacobins et des Fremeneurs (LXVI), in A. Scheler, Dits et contes cit., t. II, pp. 
249-260, v. 279. 
29
 Cfr. J. Ribard, Un ménestrel cit., pp. 120-128. 
30
 Cfr. Jean de Condé, Dit des Jacobins et des Fremeneurs (LXVI), in A. Scheler, Dits et contes cit., t. II, pp. 
249-260, v. 3.