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INTRODUZIONE 
Le Novelle per un anno di Luigi Pirandello sono un corpus redatto durante tutto 
l’arco della produzione letteraria dell’autore, per questo è possibile cogliere al 
suo interno i temi principali della poetica pirandelliana. Il genere della novella è 
particolarmente adatto alle esigenze dell’umorismo pirandelliano, trattandosi di 
un testo breve che permette di presentare di volta in volta un personaggio 
diverso che si presti alle esigenze della narrazione. Il corpus delle Novelle, 
essendo molto ampio, raccoglie una serie copiosa di personaggi con 
caratteristiche diverse che rende complicato l’approccio del lettore all’opera nel 
suo insieme. A questo si deve aggiungere il problema dell’assenza di una 
cornice. Le novelle sono infatti divise in raccolte che non sembrano rispondere a 
un ordine cronologico o tematico, anche se il progetto del volume unico delle 
Novelle per un anno sembrava basarsi inizialmente su un criterio logico: quello 
di scrivere 365 novelle da dividere in ventiquattro volumi in modo da coprire, 
una novella per ogni giorno, l’arco di un intero anno solare. L’unica legge che 
sembra regolare la successione dei racconti è paradossalmente quella del 
caos/caso: non solo, come già sottolineato manca una cornice, ma 
l’innumerevole varietà di personaggi costituisce un caos di forme che 
corrisponde realisticamente al caos che guida lo sviluppo dei singoli racconti. 
Come afferma l’autore nell’Avvertenza dell’edizione del 1922, le novelle 
costituiscono «tanti piccoli specchi» che riflettono «intera» la sua amara visione 
della vita
1
.  
Il presente lavoro nasce dalla volontà di analizzare gli spazi attraversati dai 
personaggi delle Novelle per un anno, con l’obiettivo di capire che relazione si 
instauri tra l’uomo e lo spazio che abita. I personaggi delle novelle, in linea con 
la tendenza novecentesca, sono caratterizzati dalla frammentazione e dalla 
ricerca incessante del loro essere, di una forma; e spesso i sentimenti e gli 
 
1
 M. ARGENZIANO, Le novelle, in L. PIRANDELLO Novelle per un anno, Roma, Newton 
Compton Editori, 1993, p. 22.
4 
 
scombussolamenti dell’animo si riverberano o trovano corrispondenza nello 
spazio occupato dal personaggio di volta in volta preso in esame. 
La prima parte della tesi è incentrata sull’analisi dello spazio interno, 
principalmente dell’ambiente domestico, ed è guidata dalla riflessione sul tema 
della morte che sembra trovare nell’ambiente domestico una scenografia 
privilegiata. L’altro ambiente preso in esame è quello che in varie novelle si 
configura come una prigione sia fisica che psicologica per il personaggio; la 
parte conclusiva è dedicata a una riflessione riguardante lo spazio che si presta 
ad accogliere il tema della memoria. 
La seconda parte è dedicata all’analisi dell’ambiente esterno e più 
specificamente dello spazio che si configura come lontano e sul rapporto 
dialettico che questo spazio esterno instaura con quello interno e con il 
personaggio che vi si rapporta.  
La terza parte è infine dedicata ad alcune novelle che fanno un uso specifico di 
due spazi separati ma che si potrebbero definire adiacenti, come nel caso de Il 
lume dell’altra casa (e Lumie di Sicilia); e a novelle che invece, introducendo il 
tema del sogno, si fondano su una confusione tra lo spazio reale e quello onirico. 
Le raccolte prese in esame in questo lavoro sono quelle di più recente 
pubblicazione: La giara (1927), Il viaggio (1928) e Una giornata (quest’ultima 
uscita postuma nel 1937), all’interno delle quali è preponderante l’attenzione 
accordata al tema dello spazio. Numerose opere teatrali pirandelliane sono 
adattamenti e rielaborazioni di novelle precedentemente pubblicate, per questo 
la metafora utilizzata da Macchia per descrivere il teatro dell’autore, cioè quella 
secondo cui il teatro sarebbe equiparabile alla stanza della tortura dei castelli 
medievali, può risultare funzionale anche per descrivere il rapporto che i 
personaggi delle Novelle stabiliscono con lo spazio che abitano:  
Il luogo (qui, ora) non può essere cancellato. Esso deve imporre la sua densità, il 
suo spessore, deve resistere più del personaggio che dentro è rinchiuso. Anche nelle 
novelle e nei romanzi si aggirano, come mosche in una bottiglia, un’infinita serie di 
claustrati. A un certo punto qualcuno si rintana in casa per una ragione o per un’altra, o
5 
 
anche senza alcuna ragione […] Se essi escono dal carcere, invece di godere di quell’attimo 
di liberazione, pensano che, dentro o fuori, per loro è sempre lo stesso. 
2
 
Il personaggio sequestrato, cui è dedicato parte del primo capitolo, è un esempio 
lampante del significato che assume la tortura in Pirandello. In Questa sera si 
recita a soggetto
3
, adattamento della novella «Leonora, Addio!», è la stanza 
dove viene rinchiusa la protagonista a configurarsi come stanza della tortura in 
quanto “la stanza della tortura deve essere il luogo della solitudine”
4
.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
2
 G. MACCHIA, Pirandello o la stanza della tortura, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1992, 
p. 16. 
3
 Scritto tra il 1928 e il 1929, rappresentato per la prima volta il 25 gennaio 1930 a Könisberg poi 
il 14 aprile 1930 a Torino. 
4
 G. MACCHIA, Pirandello o la stanza della tortura, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1992, 
p. 180.
6 
 
CAPITOLO 1 
LO SPAZIO INTERNO 
1.1 Personaggi, spazio, corpo 
Per comprendere quale ruolo svolga lo spazio all’interno delle Novelle bisogna 
prima definire quali tipi di personaggi abitano o si muovono in questi spazi. 
Rispetto a questo argomento assume molta importanza l’elemento del corpo, 
che costituisce il mezzo utilizzato dal soggetto per rapportarsi con lo spazio.  
Prima delle innovazioni introdotte nel campo della psicoanalisi all’inizio del 
Novecento da Freud, la psiche era identificata con la coscienza tout court, 
mentre con la “scoperta” dell’inconscio si afferma l’esistenza di una serie di 
processi psichici che condizionano l’agire dell’individuo pur senza pervenire al 
livello della coscienza razionale.  
I personaggi del cosiddetto “romanzo della crisi” e in generale delle opere 
letterarie di questo periodo sono degli antieroi che si relazionano con una realtà 
di cui non comprendono i meccanismi e in cui non si sentono perfettamente 
integrati. La società con cui l’individuo deve rapportarsi è la società di massa, 
sorta a cavallo tra i due secoli come conseguenza diretta dell’industrializzazione, 
della produzione in serie e dell’urbanizzazione. All’interno della massa il 
soggetto perde la propria individualità finendo per ricoprire un ruolo marginale 
e fare esperienza della solitudine. Questa perdita di coordinate nell’uomo 
moderno ha come conseguenza sul piano letterario un’affermazione del proprio 
io dato dalla ricerca introspettiva e dall’autoanalisi che spesso coincide con la 
ricerca delle proprie origini o con il ricongiungimento a un passato che si 
credeva perduto. Il romanzo della crisi mette in primo piano il profondo disagio 
che il personaggio prova nei confronti della realtà anche attraverso artifici 
narrativi come la moltiplicazione dei piani della narrazione, l’alterazione della 
successione cronologica degli eventi e la commistione dei registri linguistici. In 
Italia sono soprattutto autori come Pirandello e Svevo ad allinearsi con la 
tendenza europea della narrazione della crisi. I due autori conoscono le 
tendenze europee grazie alla loro particolare esperienza biografica: Pirandello
7 
 
aveva studiato filologia romanza all’università di Bonn mentre Svevo era nato a 
Trieste, città aperta alle influenze della cultura europea.  
Nei romanzi pirandelliani il senso di alienazione dei personaggi, sorto 
dall’insofferenza verso i ruoli familiari e sociali, conduce alla perdita d’identità. 
Nel 1904 viene pubblicato Il fu Mattia Pascal, romanzo in cui il tema della 
frantumazione dell’io è elaborato tramite l’artificio della creazione di un doppio. 
Mattia Pascal, subito dopo aver ricevuto la notizia di essere stato riconosciuto 
nel cadavere di un suicida, decide di approfittare dell’accaduto per fingersi 
davvero morto e crearsi una nuova identità, quella fittizia di Adriano Meis, 
iniziando così una nuova vita. Adriano Meis avverte ben presto il vuoto di una 
vita solitaria, senza relazioni e si scontra con le difficoltà burocratiche dovute 
alla sua particolare condizione sociale. Adriano decide di tornare dalla sua 
famiglia ma essendo impossibilitato a riappropriarsi della sua identità 
precedente si rassegna a farsi chiamare “fu” Mattia Pascal. La volontà di 
Adriano di tornare alla sua identità originaria è espressa tramite la metafora del 
radicamento al luogo natale: 
…rinnestarmi alle mie radici sepolte. […] Come mi ero illuso che potesse vivere un 
tronco reciso dalle sue radici? 
5
  
Come spiega Gibellini, quella delle radici è un’«immagine dal significato 
essenziale; implica infatti che la ricerca del proprio destino, prima indirizzata 
verso la liberazione e la fuga, cioè verso il futuro, va invece rivolta verso il 
passato, verso il recupero di una verità perduta e di un’identità smarrita».
 6 
Il personaggio moderno, caratterizzato dalla scissione interiore e dalla perdita 
di punti di riferimento, si trova a fare i conti da una parte con il moderno spazio 
cittadino in cui non si sente radicato, dall’altro proietta sui luoghi che occupa i 
caratteri dell’inadeguatezza e della negatività. Nella maggior parte dei casi 
questa inappartenenza si traduce nell’irrefrenabile desiderio di fuga e 
 
5
 L. PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal, Milano, Mondadori Editore, 1977, pag. 226.  
6
 P. GIBELLINI, Mattia Pirandello fu Pascal, in Critica letteraria, n. 91- 92, 1996, pp. 163- 
187, https://www.liberliber.it/online/autori/autori-p/luigi-pirandello/il-fu-mattia-pascal/.
8 
 
nell’allontanamento del soggetto dai luoghi che normalmente esprimono il 
radicamento, come il paese natale o quello in cui risiede la propria famiglia. 
Come si evince anche dalla conclusione del romanzo Uno, nessuno e centomila 
(1926), la contrapposizione tra città e campagna è un argomento presente nella 
letteratura di questo periodo e si inserisce nella riflessione più ampia circa lo 
spazio che l’antieroe moderno occupa. La campagna viene rappresentata come 
una sorta di locus amoenus in cui è possibile vivere la propria solitudine in 
chiave positiva, spesso sottolineando la comunione del soggetto con gli elementi 
naturali. La città è invece il luogo in cui l’individuo si scontra con la folla. Da 
questo scontro e dalla mancata assimilazione del soggetto all’ambiente cittadino 
deriva il sentimento di isolamento che si contrappone per la sua accezione 
negativa alla solitudine che pertiene all’ambiente naturale. Questo stesso tema 
era stato efficacemente trattato da alcune autrici nell’800 e continua ad essere 
presente principalmente nella scrittura femminile per tutto il secolo successivo. 
Per esempio, Barberina, la protagonista del romanzo Una fra tante (1878) di 
Emilia Ferretti Viola, si scontra con la folla nel momento stesso in cui arriva 
nella stazione della città che, come altri luoghi della modernità quali l’ospedale 
o le città stesse, si configura come un «nonluogo». L’ospedale è l’ambiente più 
strettamente legato all’idea della morte, infatti è dopo il ricovero che la 
concezione di Barberina della morte cambia: se in campagna la morte era 
considerata come la tappa finale del ciclo della vita, in città e in particolar modo 
all’ospedale si rende conto dell’espropriazione che il corpo subisce dopo la 
morte. Barberina si rende conto che tutto in città è piegato alle logiche del 
guadagno, per questo le persone meno abbienti come la stessa protagonista del 
romanzo si trovano relegate ai margini della società. La posizione marginale è 
quella che pertiene agli anelli più deboli della società, come erano ad esempio le 
donne nell’800; anche nelle novelle di Pirandello, in particolare nella raccolta Il 
viaggio, le donne sono solitamente sottomesse al volere degli uomini e 
prigioniere dei rigidi costumi della società e del loro ruolo di madri. Ancora nel 
romanzo Una fra tante, assumono particolare importanza la descrizione dei 
luoghi che Barberina si trova casualmente ad attraversare, in particolare la casa
9 
 
in cui viene “accolta” dalla donna che le offre di prostituirsi per guadagnarsi da 
vivere. All’interno di questa casa, “una porticina semplice e chiusa come se non 
vi stesse nessuno” simboleggia il confine che immette Barberina nella 
depravazione. Anche se la camera che viene assegnata alla protagonista è bene 
ammobiliata, l’impossibilità di aprire le finestre configurano l’ambiente come 
una vera e propria prigione; 
Le finestre della camera erano aperte, ma le gelosie chiuse sino a metà altezza della 
finestra non lasciavano penetrare nella camera senonché la luce che veniva dall’alto. 
Barberina, stanca di starsene oziosa ad aspettare, s’avvicinò alla finestra e volle aprire le 
gelosie. Ma erano chiuse e assicurate in modo che non le riescì di aprirle.
7
 
 I temi trattati nel romanzo di Emilia Ferretti Viola, quali il contrasto tra città e 
campagna, la casa come prigione, l’isolamento del soggetto nella folla e 
l’importanza di porte e finestre, intese sia come spazi di confine che come 
simboli dell’altrove, sono presenti anche nella raccolta Il viaggio. La maggior 
parte delle novelle analizzate presenta, forse non a caso, dei personaggi 
femminili. Un topos strettamente correlato al tema dello spazio nelle autrici 
dell’800 è del resto quello del corpo della donna, che può manifestare la propria 
predominanza in modi diversi: il primo e più evidente è quello della maternità, 
un altro è quello della malattia attraverso la quale spesso si esprime un disagio 
morale del soggetto.  
 In tempi più recenti Augé definisce il «nonluogo» come «non storico, non 
identitario, non relazionale
8
». All’inizio del capitolo X de Il fu Mattia Pascal 
Adriano afferma di aver scelto di stabilirsi a Roma perché gli «parve più adatta 
a ospitar con indifferenza, tra tanti forestieri, un forestiere come me». Roma è 
caratterizzata da una forte presenza di stranieri, di persone provenienti da 
luoghi geografici diversi e arrivati nella città per necessità o per visitare le sue 
rovine, ma in pochi vi si stabiliscono definitivamente. La descrizione di Roma 
 
7
 E. F. VIOLA, 1a edizione elettronica del 23 maggio 2008, p.35, 
https://www.liberliber.it/mediateca/libri/e/emma/una_fra_tante/pdf/una_fr_p.pdf. 
8
 M. AUGE’, Nonluoghi, Elèuthere, 1992 in M.C. Storini, Il secchio di Duchamp. Usi e riusi della 
scrittura femminile in Italia dalla fine dell’Ottocento al terzo millennio, Pisa, Pacini Editore, 
2016, p.204.
10 
 
come città «triste»  e «ormai morta»  fatta da Anselmo Paleari è in linea con 
questo cambiamento di prospettiva riguardo alle città: 
I papi ne avevano fatto-a loro modo s’intende- un’acquasantiera; noi italiani ne 
abbiamo fatto a modo nostro, un portacenere. D’ogni paese siamo venuti qua a scuotervi la 
cenere del nostro sigaro, che è poi il simbolo della frivolezza di questa miserrima vita 
nostra e dell’amaro e velenoso piacere che essa ci dà.
9
 
Se infatti fino ad allora l’identità di Roma era saldamente fondata sulla gloria 
del passato adesso non è che un punto in cui convergono identità diverse che 
non vi trovano soddisfazione nella vita cittadina e che non colgono nessun 
elemento di “sacralità” in una città come Roma. Le nuove costruzioni («Son 
forse di Roma queste nuove case?») sono il simbolo di questo fallimento storico 
e sociale avvertito dal Paleari.  
Per inquadrare il rapporto dei personaggi presenti nelle novelle con lo spazio 
risulta particolarmente funzionale la metafora spaziale utilizzata nella novella 
Non è una cosa seria (La giara), che descrive l’interiorità dei personaggi e lo 
scarto che esiste tra quest’ultima e il loro aspetto esteriore. Il protagonista è 
Perazzetti, un uomo ritenuto pazzo a causa delle risa, spesso inopportune, a cui 
si lascia andare all’improvviso in presenza d’altri. Il tema del relativismo e del 
modo in cui il soggetto appare agli occhi degli altri (simile al tema centrale del 
romanzo Uno, nessuno e centomila) è molto importante in quanto costituisce il 
fondamento e la ragione delle risa di Perazzetti, le quali sono dovute alla sua 
particolare fantasia che gli permette di immaginare l’«antro»  interiore di ogni 
uomo, dove è rintanata la bestia, diversa per ognuno, che ne influenza i 
comportamenti. Il termine “antro” suggerisce infatti una profondità fisica che, 
posta sul piano del soggetto, diventa profondità morale. Nel passo che segue è 
specificato come la bestia sia posizionata «sotto tutti gli strati di coscienza»: 
 
9
 L. PIRANDELLO, Il fu Mattia Pascal, Milano, Mondadori Editore, 1977, p. 145.