5
come affermarono con vigore i Comuni nel 1675, il privilegio
parlamentare esiste affinché i membri possano “liberamente occuparsi
dei pubblici affari della Camera, senza turbamenti o interruzioni”
4
. Per
tali motivi, quando uno di questi diritti ed immunità viene trascurato o
colpito, l’offesa è definita “breach of privilege” ed è punibile in base alla
legge parlamentare. Ambedue le Camere inglesi rivendicano altresì il
diritto di punire come “contempts”
5
quelle azioni che, pur non violando
uno specifico privilegio parlamentare, ostacolano o impediscono la
Camera stessa nell’esercizio delle proprie funzioni, oppure sono
considerate come offese alla dignità e all’autorità della stessa
Assemblea, dei suoi membri e dei funzionari. Il privilegio, dunque,
costituisce una parte importante “of the law and custom of Parliament”
6
ed alcuni tipi di esso hanno acquisito inoltre autorità di Statuto: basti
pensare all’insigne disposizione costituita dal Bill of Rights, che fu
approvato nel 1689, e che costituì il riconoscimento giuridico della
libertà di parola e discussione e della libertà di condotta in Parlamento.
In particolare, i privilegi dei Comuni sono stati descritti come
“la somma dei fondamentali diritti della Camera e dei suoi membri in
opposizione alle prerogative della Corona, all’autorità dei tribunali
ordinari e agli speciali diritti della Camera dei Lords”
7
.
4
Nel 1675, i Comuni affermarono che il privilegio esisteva affinche i Membri potessero “freely attend
the public affairs of the House, without disturbance or interruption”; a tal proposito vedasi “the
Journal of the House of Commons” (atti parlamentari) (1667-87), University of London & History of
Parliament trust, 1802, vol. IX, pag.342.
5
T. E. May, op. cit., pag.65.
6
O. Hood Phillips, P. Jackson, “Constitutional and Administrative Law”, Sweet & Maxwell ed.,
London, 2001, chapter 13 – 002.
7
J. Redlich, C. Ilbert, “Procedure of the House of Commons”, Archibald Constable ed., London,
1908, vol.I, pag.46, dove il privilegio dei Comuni è descritto come “the sum of fundamental rights of
the House and of its individual Members as against the prerogatives of the Crown, the authority of the
ordinary courts of law and the special rights ofs of the House of Lords”.
6
A differenza dei Comuni, i Lords, invece, godono di determinati
privilegi semplicemente per l’antichissimo ruolo che hanno svolto in
Parlamento come consiglieri del sovrano
8
. Per tali motivi, quello che è
definito “privilege of peerage” è, in alcuni aspetti, differente dal
privilegio del Parlamento: il secondo, infatti, è goduto da tutti i membri
della Camera dei Lords, che siano o non siano Pari, ma è negato, invece,
ai Pari che siano minori di età, alle nobildonne e alle vedove degli stessi;
inoltre, almeno in teoria, esso potrebbe essere interrotto a causa di lungo
rinvio dei lavori parlamentari o dello scioglimento del Parlamento
stesso
9
. Il “Privilege of peerage”, invece, non è soggetto ad
alcun’interruzione ed appartiene a tutti i Pari, siano o non siano membri
della Camera dei Lords
10
. L’estensione di tale privilegio non è del tutto
chiara, ma recentemente si è osservato che, attraverso questo privilegio, i
pari sono posti al riparo da qualsiasi processo di natura civile. In
generale, tuttavia, il privilegio in questione ha probabilmente avuto
origine dal fatto che, in qualità di più importanti “tenants-in-chief” del
sovrano, i Pari erano tutti membri della sua Corte; perciò, anticamente,
essi non potevano essere processati nelle Corti gerarchicamente inferiori,
le quali ritenevano la loro persona “for ever sacred and inviolable”
11
.
Nel processo di evoluzione storica dei privilegi parlamentari nella storia
costituzionale inglese, il 1497, durante il regno di Enrico VIII (1491-
1547), rappresenta un data estremamente importante poiché, a partire da
quell’anno, ed all’inizio di ogni legislatura, il Presidente della Camera
dei Comuni
8
T. E. May, op. cit., pag.67.
9
Cfr. Sir Edward Coke “First part of the institutes”, R. Pheney & S. Brooks, London, 1823, s. 9
(16b); “The Journal of House of Lords”, University of London and history of parliament trust, Vol.
XI, (1660-66), pag.298.
10
T. E. May, op. cit., pag.67, dove si afferma che il “privilege of peerage is not liable to interruption
and belongs to all peers whether or not they are members of the House of Lords”.
11
T. E. May, op. cit., pag.68.
7
“in nome e nell’interesse dei Comuni, con umile petizione, reclama i
propri antichi e indiscussi diritti e privilegi”
12
.
e, nello specifico:
“In primo luogo di “poter godere della libertà di parola in qualsiasi
discussione;
In secondo luogo “che i membri e i loro servi
13
possano essere liberi
dall’arresto o da qualsiasi altra molestia”;
Ed infine “poter aver accesso a sua maestà ogni qualvolta l’occasione lo
richieda, e che ogni atto del Parlamento sia, da sua maestà, nel modo più
favorevole accolto”
14
.
Successivamente, il Lord Cancelliere, in virtù di una Commissione Reale
sotto brevetto, replica alla petizione del Presidente affermando che
“Sua Maestà assai volentieri conferma tutti i diritti e privilegi che siano
stati, da Sua Maestà o da qualcuno dei suoi predecessori, concessi e
confermati ai Comuni”
15
.
Qualunque possa essere l’origine e la causa di questo uso, e per quanto
possa apparire vasta la concessione ivi fatta dalla Corona, è indubbio che
i privilegi dei Comuni sono assolutamente indipendenti dalla stessa.
12
Cfr. T. E. May, op. cit., pag.68, dove si trovano le seguenti parole: “…in the name, and on behalf of
the Commons, lo lay claim by humple petition to their ancient and undoubted rights and privileges...”.
13
L’estensione del privilegio alle loro tenute fu omesso per la prima volta nel 1853. Si conservò
invece il privilegio personale che, tutt’ora, li garantisce all’interno del Parlamento inglese. Vedasi J.
Hatsell, “Precedents and proceedings in the House of Commons”, 4 vols., Dublin, 1786-1796,
pag.255.
14
T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, trattato di Sir T. E.
May, I traduzione dall’ultima (IX) edizione inglese, Torino, 1888, pag.54.
15
“Her Majesty most readily confirms all the rights and privileges which have ever been granted to or
conferred upon the Commons, by Her Majesty or any of her royal predecessors” cit. in “The Journal
of House of lords”, op. cit., volume 65 (1841), pag. 571.
8
Alcuni di questi privilegi sono stati confermati dagli Statuti e si trovano,
di conseguenza, oltre il controllo della Corona e di altro potere che non
sia il Parlamento. Altri, invece, essendo stati limitati, e qualcuno persino
abolito da disposizioni statutarie, non possono essere riconosciuti o
concessi dalla Corona inglese. Al di là di tutto, è rilevante sottolineare
che, a causa di forti e molteplici contrasti con i Lords e con la Corona,
l’acquisizione e il rafforzamento di tali privilegi, da parte dei Comuni,
furono complessi e prolungati nel tempo.
16
16
T. E. May, “Parliamentary practice” op. cit., pag.68.
9
1.2 LA LIBERTÀ DI PAROLA
E DI CONDOTTA IN PARLAMENTO
La prima rivendicazione contenuta nella petizione del Presidente, è per la
libertà di parola nel dibattito
17
. Questa fondamentale libertà rappresenta
“the essential attribute of every legislature, and may be regarded as
inherent in the constitution of Parliament”
18
. La sua essenza è che
nessun’azione penale o coercitiva può essere intrapresa nei confronti di
membri, per quello che viene detto o compiuto all’interno del
Parlamento inglese. Un primo antichissimo caso, nel quale tale privilegio
è stato violato e poi, successivamente, riconfermato è quello che
riguardò Thomas Haxey
19
, nel 1397, durante il regno di Riccardo II
(1367-1400). L’avvocato Thomas Haxey, allora membro della Camera
dei Comuni, cadde in disgrazia nei confronti del sovrano per aver
proposto un disegno di legge che mirava, sostanzialmente, a ridurre
l’eccessivo dispendio della Casa reale e, per questo suo progetto, fu
condannato in Parlamento come traditore e gli fu confiscato ogni bene
posseduto. Ma, all’assunzione al trono di Enrico IV, nel 1399, in seguito
ad una congiura che costò la vita al precedente sovrano (e che ispirò il
dramma omonimo di William Shakespeare), lo stesso parlamentare
inglese presentò una petizione al monarca contro la condanna di cui era
stato vittima perché “violava la legge e le consuetudini anteriori al
Parlamento”
20
.
17
“the first claim in the speaker’s petition is for freedom of speech in debate”, cit. in T. E. May,
“Parliamentary practice” op. cit., pag.69.
18
O. Hood Phillips, P. Jackson, op. cit., chapter 13.
19
Cfr. Haxey’s case (1396-1397), “Rotuli parliamentorum” (nelle versioni in latino, inglese e
francese), London, pag. 339; vedasi anche W. Stubbs, “The constitutional History of England in its
origin and development”, vol. II, Calendon Press, Oxford, 1896-97, pag.516, 624; T. E. May, “Leggi,
privilegi, procedura e consuetudini del parlamento inglese”, op. cit., pag. 94.
20
T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, op. cit., pag.94.
10
Nello stesso anno, anche i Comuni, a difesa del loro membro,
presentarono una petizione al sovrano inglese, affermando che Haxey
“era stato condannato contrariamente a quanto stabilito dalla legge e
dalla procedura parlamentare e in violazione delle tradizioni dei
Comuni” e “pregavano che tale giudizio fosse respinto tanto per il
trionfo della giustizia che per la salvezza delle libertà dei Comuni
stessi”
21
.
La sentenza, che era stata emanata dal precedente sovrano, fu cassata ed
annullata da Enrico IV, con il consiglio e l’assenso dei Lords spirituali e
temporali
22
, rappresentando dunque il primo grande riconoscimento di
tale privilegio, da parte della più alta autorità giudiziaria, rappresentata
dal Re associato alla Camera dei Lords. Il Re, accogliendo la petizione
dei Comuni stabilì che la sentenza dovesse annullarsi ed essere
considerata priva di forza ed inefficace.
Dalla seconda metà del XV secolo, i Comuni d’Inghilterra sembrano
aver goduto di un indefinito diritto di libertà di parola, ma tale
godimento avveniva “as a matter of tradition rather than by virtue of a
privilege sought and obtained”
23
. Gli antichi Presidenti dei Comuni,
infatti, non rivendicavano tale libertà come un vero e proprio privilegio.
Ciò che essi richiedevano era, in primo luogo, il permesso di correggere
qualsiasi dichiarazione del Re che fosse ritenuta “falsa e inavvertita”
dall’Assemblea parlamentare. Una pratica forse legale in origine ma con
degli ovvi vantaggi politici
24
. In secondo luogo, i Presidenti di turno
21
“si bien en accomplissement de droit, comme pour salvation des libertés de les dites Communes”,
cit. in T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, op. cit., pag.95.
22
Cfr. “Rotuli parliamentorum”, special collection library vol.1-6 (covers the reign of Edward I
through Henry VII (1278-1503), London, 1767, vol. III., 434, cit. in T. E. May, “Parliamentary
practice”, op. cit.
23
T. E. May, “Parliamentary practice”, op. cit., pag.69.
24
Cfr. la rivendicazione effettuata da Mr. Cheney nel 1399, in “Rotuli parliamentorum”, op. cit., vol.
III, pag. 424 e ss., cit. in T. E. May, op. cit., pag.69, nota 2.
11
chiedevano che se l’Assemblea, o il suo Presidente, avessero scontentato
il sovrano o infranto le sue prerogative, il fatto fosse considerato come
involontario. Uno dei più antichi e importanti casi inglesi in relazione al
privilegio della libertà di parola è quello che riguardò, nel 1512, Richard
Strode, durante il regno di Enrico VIII. Egli, membro della Camera dei
Comuni, ed originario del Devonshire, presentò un disegno di legge che
avrebbe regolato l’attività lavorativa dei minatori locali (che estraevano
lo stagno) e che sembrava essere motivato da un interesse personale.
Richard Strode fu processato nella Corte locale del Devonshire (regione
ricca di stagno), la “Stannary Court”, la quale possedeva una
giurisdizione speciale sul lavoro dei minatori, per aver violato una legge
locale e per aver ostacolato il lavoro degli stessi operai. Per tali motivi, il
parlamentare inglese fu insultato e incarcerato
25
. Tuttavia il Parlamento
lo rimise in libertà attraverso una legge speciale, lo “Strode’s Act”. Tale
disposizione, oltre a dichiarare nullo il procedimento della Corte,
stabiliva inoltre:
“che i processi, le condanne, le esecuzioni, le multe, le punizioni, le
rettifiche, i reclami, le accuse e le imposizioni, subite o imposte, o che
saranno subite o imposte in avvenire, dal citato Richard, e da qualsiasi
persona che appartenga a questo presente Parlamento e a quelli futuri,
saranno considerati, per qualsiasi legge, discussione, ragionamento o
dichiarazione in relazione a problemi o materie inerenti alla vita
parlamentare, nulli e privi di effetti”
26
.
E, siccome tutta la procedura degli atti giudiziari contro Strode venne
dichiarata nulla, appare evidente che la libertà di parola venne
riconosciuta come un privilegio già esistente e che non fu proclamato
25
J. Hatsell, op. cit., pag.86.
26
J. R. Tanner, “Tudor constitutional documents” (1485-1603), 2
nd
ed, Cambridge, 1930, pag.558-
559.
12
allora, per la prima volta. Le parole dello Statuto non lasciano dubbi,
inoltre, che tale libertà debba intendersi generalmente estesa per
l’avvenire, tanto da proteggere i membri di entrambe le Camere da
qualsiasi inchiesta sui loro voti o discorsi in Parlamento. Tale caso è
fondamentale perché, indubbiamente, stabilì la posizione privilegiata, dei
Comuni, in opposizione ai tribunali inferiori, come “full partner in
Parliament”
27
.
Ma quando avviene lo spostamento dell’accento dalla fiducia totale nella
tradizione alla mera rivendicazione di un diritto, da parte della Camera
dei Comuni? Ciò sembra essere evidente, per la prima volta, nella
petizione che il Presidente dei Comuni Sir Thomas More presentò, nel
1523, al sovrano Enrico VIII, e nella quale chiese al re:
“to take all in good part, interpreting every man’s words, how
incunningly soever they may be couched, to proceed yeat of a good zeale
towards the profit of your Realme”
28
.
Successivamente, a partire dal regno di Elisabetta I (1533-1603), tale
privilegio è stato regolarmente rivendicato come diritto
29
, anche se i
sovrani non sempre lo hanno rispettato. Infatti, nonostante il
riconoscimento di questo privilegio, la Corona e i Comuni non sono mai
riusciti a raggiungere un’intesa sui limiti di tale prerogativa (va posto
l’accento sul fatto che tale contrasto s’inserisce nella lotta politica tra i
sovrani inglesi e i Comuni, che si ebbe tra fine ‘500 e inizi ‘600). Nel
1593, rispondendo ad una petizione presentata dal Presidente della
Camera dei Comuni Edward Coke, il Lord guardasigilli disse:
27
Per commenti sul caso citato, vedasi T. E. May, “Parliamentary practice”, op. cit., 20
th
edition;
vedasi anche G. R. Elton, “The Tudor constitution: documents and commentary”, 2
nd
ed., Cambridge,
1982, pag. 260.
28
T. E. May, op. cit., 21
st
ed., pag.69.
29
Cfr. “The Journal of House of Commons”, (1547-1628), op.cit., vol. I, pag.37.
13
“la libertà di parola è a voi concessa, ma voi dovete conoscere il
privilegio che avete: non libertà di dire tutto ciò che ognuno vuole: il
vostro privilegio è di dire “sì” o “no”
30
.
Naturalmente, questa presa di posizione era ritenuta inaccettabile dai
membri della Camera “bassa” e, nel 1621, in tutta risposta, i Comuni, in
una protesta, rimasta nella storia, definirono il privilegio in modo più
esatto, specificatamente in relazione ai limiti di tale prerogativa: essi
affermarono solennemente:
“ogni membro, per tutto ciò che a lui piacesse di dire o su cui volesse
ragionare in quanto alle leggi, o a qualsiasi materia relativa alle
operazioni del Parlamento, avesse a ritenersi libero da ogni
“impeachment”, incarcerazione o molestia, fuor della censura della
Camera stessa”
31
.
Ma, nonostante la strenua difesa del privilegio e il tentativo di
aumentarne l’estensione, effettuati dalla Camera dei Comuni, nel caso
“R. vs. Elliot, Hollis & Valentine” (1629) si determinò un’ulteriore
violazione della prerogativa da parte della Corona inglese. Durante il
regno di Carlo I, i tre membri dei Comuni, per l’appunto Elliot, Hollis e
Valentine, furono multati e condannati dalla Corte del Banco Reale per
“seditious words spoken in the Commons and for tumult in the House”
32
.
Durante il processo fu argomentato che lo “Strode’s Act” del 1512
andava applicato a tutti i legislatori, come se fosse una legge generale,
ma la Corte sostenne, al contrario, che si trattava di un “atto privato”.
Successivamente, nel 1641, i Comuni affermarono, con grande forza, che
30
Cfr. “Parliamentary History”, rivista annuale, Edinburgh University Press, vol.I, pag. 611.
31
J. Hatsell, op. cit., pag.79.
32
Cfr. Eliot’s case (1629), 3 St. Tr., 294 a cui rimanda A. Bradley, K. Ewing, “Constitutional and
Administrative Law”, Longman (twelfht ed.), London, 1997, pag.235.
14
il procedimento stesso era “against the Law and Privilege of
Parliament”
33
. La prosecuzione di tali membri fu certamente uno degli
atti illegali che precipitarono i destini di Carlo I e fu severamente
condannata nella “Petition of Rights” del 1628; e dopo la Restaurazione,
ciò non fu assolutamente dimenticato dal Parlamento. La condanna era
stata ottenuta in odio al privilegio del Parlamento, sulla falsa
supposizione che l’atto, emanato durante il regno di Enrico VIII, fosse
un semplice “atto privato”, diretto a liberare Richard Strode e non
avesse, al contrario, efficacia di principio generale. Allo scopo di
condannare quest’interpretazione, ritenuta errata, nel 1667 entrambe le
Camere dichiararono, attraverso una risoluzione formale, che lo Strode’s
Act era invece una legge generale e
“che essa si estende fino ad identificare tutti i membri di entrambi i rami
del Parlamento, in tutti i Parlamenti, per quanto concerne tutte le leggi, le
discussioni, i ragionamenti e le dichiarazioni relative a questioni o
materie parlamentari, comunicate e trattate, e che tale atto è una legge
dichiaratoria degli antichi e necessari Diritti e Privilegi del
Parlamento”
34
.
Un anno dopo, la sentenza fu capovolta dai Lords con un “writ of error”
del 1668, adducendo il motivo significativo “that words spoken in
Parliament could be judged only in Parliament”
35
. Dopo questo caso, è
importante ricordarlo, non fu mai più intrapreso alcun procedimento
legale, da parte della Corona inglese, nei confronti di parlamentari, per le
parole pronunciate nell’Assemblea.
33
Cfr. “The Journal of House of Commons”, op. cit., vol. 2, pag. 203.
34
T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, op. cit., pag.97.
35
A. Bradley, K. Ewing, op. cit., pag.235
15
Seguendo lo storico sviluppo fin qui delineato, il decisivo e legale
riconoscimento del privilegio della libertà di parola per entrambi i rami
del Parlamento inglese avvenne con il Bill of Rights del 1689. Tale
solenne e fondamentale documento è l’atto conclusivo degli scontri
reiterati che si ebbero nel XVII secolo tra il Parlamento e la dinastia
degli Stuart. Tali scontri condussero – attraverso l’accoglimento da parte
di Carlo I, nel 1628, della “Petizione dei Diritti” e l’approvazione, in
forma definitiva, nel 1679, dell’atto di “habeas corpus” (che impediva gli
arresti arbitrari, consentendo al magistrato d’imporre, con un’apposita
ordinanza, al carceriere di portare in giudizio il detenuto, per chiarire i
motivi dell’incarcerazione) – all’esecuzione, dapprima di Carlo I ed
all’allontanamento, poi, di Giacomo II, segnando il definitivo
predominio dell’autorità del Parlamento. Predominio formalmente
proclamato, appunto, nella “Dichiarazione dei diritti” del 1689,
formulata dalle Camere e successivamente sanzionata da Guglielmo
d’Orange, assumendo la Corona inglese
36
. Questo insigne documento
stabilì, all’art.9:
“That the freedom of speech and debates or proceedings in Parliament
ought not to be impeached or questioned in any court or place out of
Parliament”
37
.
Ma, anche se per l’antico costume del Parlamento, e per legge, il
deputato non può essere chiamato a rispondere, al di fuori del
Parlamento stesso, per ciò che egli abbia ivi fatto o detto, egli può
nondimeno essere censurato e punito dalla Camera di cui fa parte.
36
P. B. Di Ruffia, “Introduzione al Diritto Costituzionale comparato”, Giuffrè editore, Milano, 1998,
pag. 177.
37
Cfr. il “Re Parliamentary Privilege Act” 1770.
16
Numerosi sono stati, nella storia costituzionale inglese, i casi nei quali
qualche membro fu chiamato a rispondere di parole offensive
pronunciate nei confronti della Camera e, di conseguenza, punito dalla
stessa
38
. Alcuni furono ammoniti, altri incarcerati e, nella Camera dei
Comuni, alcuni furono addirittura espulsi dall’Assemblea parlamentare.
Oggi, i membri che si comportano meno correttamente nei confronti
dell’Assemblea, sono richiamati all’ordine ed essi, generalmente,
soddisfano la Camera con una spiegazione o domanda di scuse.
39
Sebbene le loro affermazioni possono offendere i sentimenti o ingiuriare
il carattere dei privati cittadini, il privilegio parlamentare li difende da
qualsiasi azione di “libello” (pubblicazione diffamatoria), così come da
ogni altra molestia. Ma se un membro giunge alla pubblicazione del suo
discorso, le sue affermazioni stampate saranno considerate pubblicazioni
separate e distinte dagli atti parlamentari
40
. Né le Camere possono
dolersi di quest’interpretazione giacché i loro ordini e regole interne
proibiscono la pubblicazione delle discussioni. Quest’interpretazione ha
trovato fondamento in due casi fondamentali:
Nel primo di essi, Lord Abingdon fu accusato, nel 1795, di aver scritto
parole diffamatorie. Egli aveva, in un discorso pronunciato ai Lords,
accusato il suo procuratore di mala condotta professionale e, a proprie
spese, aveva deciso di far pubblicare il suo discorso. Il Lord si difese
personalmente, davanti alla Corte del Banco della Regina, e sostenne di
poter stampare tutto ciò che la Legge parlamentare gli dava diritto di
dire, ma Lord Kenion soggiunse:
38
Tratto da “The Journal of House of Lords”, op. cit., vol. 4, pag. 475.
39
T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, op. cit., pag.98.
40
T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, op. cit., pag.98.
17
“un membro del Parlamento ha certamente il diritto di pubblicare un suo
discorso, ma questo discorso non deve essere fatto strumento di
diffamazione contro qualsiasi individuo, se ciò avviene, non può
altrimenti considerarsi che come un libello”
41
.
Dopo averlo multato, la Corte lo condannò a tre mesi di carcere e alla
presentazione di una cauzione per buona condotta avvenire.
Nel secondo caso, un tale Crevey, membro della Camera dei Comuni,
aveva mosso un’accusa contro un privato, nel 1813, in un discorso
pronunciato alla Camera; e, essendo apparse in un giornale delle
relazioni errate del suo discorso, Crevey decise di inviare una copia
esatta del suo discorso all’editore della “Gazzetta di Liverpool”, con la
preghiera di volerla pubblicare nel suo giornale. Accusato di libello, i
giudici lo dichiararono colpevole e il Banco del Re respinse l’appello
presentato dal parlamentare inglese, sulla base delle considerazioni di
Lord Ellenbourough:
“Un membro della Camera dei Comuni ha detto ciò ch’egli credeva
opportuno e ciò che egli aveva libertà di dire, nella sua qualità di
membro di tale Camera. Fin qui il suo privilegio. A cui egli non volle
rimanersi, giacché a lui piacque, senza essere autorizzato dalla Camera,
pubblicare un resoconto di questo discorso nella forma che egli disse
corretta: ed in tale pubblicazione ha lanciato riflessioni ingiuriose al
carattere di un individuo”
42
.
Crevey, multato, si dolse profondamente, di fronte alla Camera, delle
parole espresse.
41
T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, op. cit., pag.98-99.
42
T. E. May, “Leggi, privilegi, procedura e consuetudini del Parlamento inglese”, op. cit., pagg. 98-
99.
18
Il principale effetto di questa statuizione è, comunque, che
“no member may be made liable in the courts for words spoken in the
course of parliamentary proceedings”
43
.
L’origine di questa disposizione si ritrova infatti nel fondamentale scopo,
da sempre perseguito dalla Camera dei Comuni, di iniziare i lavori
parlamentari in modo indipendente e, soprattutto, di proteggere i propri
membri da azioni legali promosse dalla Corona. L’effetto di ciò è che,
oggi, i membri godono di una completa immunità civile e penale per
tutto ciò che è da loro detto o fatto nel corso degli atti in Parlamento.
Sebbene tale privilegio protegga il parlamentare inglese dalle parole
pronunciate e dalle azioni compiute in ambedue le Camere, il privilegio
stesso non si applica alla pubblicazione di dibattiti o atti parlamentari al
di fuori del Parlamento stesso. Come abbiamo visto in precedenza, se un
membro pubblica, separatamente dal resto del dibattito, un suo discorso
reso nella Camera di appartenenza, il suo giudizio stampato diviene una
pubblicazione separata, slegata da qualsiasi procedimento parlamentare,
ed egli è perciò responsabile, secondo il diritto consuetudinario, per
qualsiasi offesa possa essere contenuta all’interno di tale stampato.
Neanche un ordine della Camera, che autorizzi la sua stampa e
pubblicazione, può
“confer parliamentary privilege on proceedings published outside
Parliament
44
, thought it may convey the protection of statute”
45
.
43
A. Bradley, K. Ewing, op. cit., pag.235.
44
Si osservino le considerazioni di Lord Denman nel caso R vs. Dangerfield e in Stockdale vs.
Hansard (1839) 112 ER, 1160, a cui rimanda T. E. May, “Parliamentary Practice”, op. cit., 21
st
ed.,
pag.86.
45
T. E. May, “Parliamentary Practice”, op. cit., 21
st
ed., pag.86.