UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA 
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA 
 
 
TESI DI LAUREA 
 
 
 
Maurizio Duce Castellazzo 
 
 
 
PUÒ DARSI UN DIRITTO 
DI SOPRAVVIVENZA? 
 
Giustizia e giusnaturalismo in alcune proposte di 
etica politica contemporanea: 
John Rawls, Robert Nozick, Giuliano Pontara  
 
 
 
 
 
 
 
 
Relatore:  
Chiar.mo Prof. Flavio BARONCELLI  
 
Correlatore:  
Chiar.mo Prof. Paolo COMANDUCCI 
(Facoltà di Giurisprudenza)  
 
 
 
 
ANNO ACCADEMICO 1991/92  
 2
  
 
 
Oggetto del presente lavoro sono l'opera di John Rawls A Theory of Justice ed 
Anarchy, State and Utopia di Robert Nozick, assieme a quella seconda parte 
di Filosofia pratica in cui Giuliano Pontara analizza il contributo offerto dai 
due studiosi americani. Tema comune a questi lavori è quello della 
redistribuzione della ricchezza da gruppi più avvantaggiati a gruppi che lo 
sono di meno. Va detto che l'impostazione offerta dai tre studiosi è differente: 
Rawls è ancora - al momento - il massimo teorizzatore del ‘welfare state’, e 
propone quindi un principio (il principio di differenza) che realizzi nella 
società una continua redistribuzione, volta a massimizzare i benefici dei meno 
avvantaggiati; Nozick, al contrario, citando e discutendo le proposte e le 
argomentazioni del filosofo di Harvard, nega che tale redistribuzione possa 
darsi senza una violazione grave dei diritti delle persone; sostiene, anzi, che 
ogni Stato più esteso di quello minimo della teoria liberale classica, violi 
necessariamente i diritti degli individui; Nozick è, probabilmente, il massimo 
propugnatore delle tesi neo-libertarie. Pontara, per parte sua, sostiene la 
necessità di una redistribuzione, per un verso non così spinta come quella di 
Rawls - giacché la limita al solo diritto alle risorse per sopravvivere - ma per 
l'altro verso più estesa, tant'è che egli sostiene la necessità di un diritto di 
sopravvivenza a livello mondiale.  
 
Nel presente lavoro, il mio obiettivo sarà quello di ampliare il campo 
d'indagine di Pontara, estendendolo anche ad aspetti delle teorie americane in 
questione (come il I principio di Rawls) che non sono direttamente connesse 
con il tema della redistribuzione della ricchezza e, per quanto riguarda il tema 
suddetto, cercare - se possibile - di amplificare le osservazioni di Pontara e 
fornire loro ulteriore forza e fondamento. 
 
Infatti, il problema della morte per fame di migliaia di bambini ogni giorno, 
non si è affatto ridimensionato da quando è stata discussa questa tesi di 
laurea, nel febbraio del 1993: per questo mi è parso utile pubblicarla, anche 
a così grande distanza di tempo. Inoltre, rileggendo i paragrafi finali, in cui 
si fa cenno ai possibili rischi insiti in una politica occidentale che si ostini ad 
ignorare i bisogni delle popolazioni più svantaggiate, vi ho trovato segni 
premonitori di ciò che è poi effettivamente avvenuto l’11 settembre 2001 a 
New York, ma anche l’11 marzo 2004 a Madrid. Perciò questo lavoro è 
dedicato, oltre che alle vittime della fame, anche alla memoria di tutte le 
vittime del terrorismo di matrice islamica. 
 
Prima di iniziare, è necessario precisare che si tratta di una discussione di 
etica normativa. Questo è rilevante per diverse ragioni; la più importante mi 
sembra essere questa: in ambito normativo, l'etica si trova ad avere piena 
autonomia rispetto a qualunque impostazione metafisica. I problemi che tratta 
vengono dunque affrontati senza la necessità di ricorrere ad alcuna cornice 
metafisica, ad alcun procedimento dimostrativo a partire da principi 
metafisici. Viene al massimo fornita una cornice etica all'interno della quale 
possano venir collocati i problemi in questione; ma, sovente, tale cornice non 
riveste ruoli fondamentali, se non per alcuni singoli aspetti che, generalmente 
 III
molto condivisibili, possono validamente proporsi come piattaforma comune 
per la discussione. Tale osservazione è molto importante per le opere di Rawls 
e Nozick – e, quindi, per l'analisi di Pontara). Infatti, in entrambe manca lo 
sfondo di un sistema metafisico cui possano ‘agganciarsi’ i principi etici 
proposti; ma manca anche una trattazione generale dell'etica in cui inserire i 
ragionamenti esposti. Questo fatto, almeno per la tradizione di pensiero 
europea, risulta poco familiare e fa emergere in primo piano delle difficoltà 
che lo stile americano, probabilmente, sottovaluta in partenza. Non si troverà, 
quindi, né in Rawls né in Nozick, alcuna compiuta trattazione di cosa siano i 
valori, quali possibilità abbia l'uomo di attingerli, quale possa mai essere il 
loro contenuto. E anche a livello di problemi più tipicamente giuridici (ma 
assolutamente rilevanti) non verrà fornito un adeguato inquadramento in una 
compiuta filosofia del diritto. Entrambi usano centinaia di volte termini come: 
diritto, giustizia, proprietà, libertà, diritti, Stato, senza che al lettore sia dato 
di intendere quale preciso significato vado loro assegnato; dal contesto si può 
risalire - non senza difficoltà - all'accezione corretta ma, in ogni caso, le 
motivazioni (o peggio: le giustificazioni) delle scelte operate, restano, 
sostanzialmente, inattingibili. Ecco dunque che Rawls fonda (in modo 
surrettizio, come vedremo) i suoi due principi di giustizia su di un 
esperimento mentale, mentre Nozick rinuncia esplicitamente a tentare alcuna 
fondazione per la sua teoria della validità del titolo, dichiarando di volersi 
inserire nella tradizione lockiana, ma autoimmunizzandosi subito dalle 
critiche eventuali dicendo, nel contempo, che tale cornice non risulta 
soddisfacente: nel capitolo a lui dedicato ho comunque cercato di verificare la 
rispondenza della sua teoria ai principi di Locke e mi è parso di poter 
concludere, come si vedrà, che quella non è armonizzabile con questi.  
Stando le cose in questi termini, un lavoro critico efficace può anche 
prescindere dal fornire una propria impostazione, bastando accogliere la 
piattaforma offerta e verificare la coerenza delle diverse proposte con essa, 
nonché - e questa è forse la cosa più importante - l'effettiva rispondenza delle 
soluzioni ai problemi corrispondenti. La cornice etica offerta da Pontara non 
risulta, infatti, per nulla rilevante nell'esame delle due teorie in questione; 
assume, probabilmente, maggior rilievo nella pars construens del suo libro  
Filosofia Pratica, che si incentra su una proposta di stampo utilitaristico, che 
però io non prendo in esame per non allargare troppo il discorso. Per parte 
mia, posso quindi rinunciare del tutto a fornirne alcuna; desidero tuttavia 
professare esplicitamente la mia fede cattolica.  
 
Prima di terminare, vorrei solo anticipare che, nel capitolo III, verrà tentata 
una fondazione del diritto di sopravvivenza, sulla falsariga dell'impostazione 
di Giuliano pontara; essa non si fonderà su considerazioni inerenti il campo 
della morale, ma piuttosto sull'elaborazione di alcuni dati relativi all'odierna 
impostazione positiva del diritto internazionale; nulla quindi per cui si possa 
rendere necessaria una elaborazione generale e completa di filosofia morale 
o del diritto.  
 
Concludo queste righe introduttive dichiarando di essermi appoggiato, per lo 
più, alla traduzione italiana delle due opere in questione, fatti salvi i casi in 
cui il pensiero dell'autore non era evidente e bisognava quindi analizzare il 
più precisamente possibile ogni singola espressione: in quei casi ho tradotto 
personalmente dall'inglese, riportando il testo originale.  
 IV
 Vorrei ora proporre di seguito alcune osservazioni sulle tre opere in oggetto, 
all’uopo di render meno scuro il tenore delle considerazioni che vengono 
svolte nel mio lavoro. 
Per quanto riguarda Rawls, innanzi tutto, alle critiche che ho da muovere al 
suo libro va premessa la considerazione che merita, comunque, per la 
formulazione del principio di differenza, che mi pare condensare un'idea di 
convivenza sociale davvero avanzata ed elevata moralmente.  
Ciò premesso, bisogna pur notare che A Theory of Justice si fonda sulla 
persuasività di un esperimento mentale, il che presta il fianco ad una serie di 
osservazioni critiche forse non irrilevanti. I principi di giustizia trovano il 
loro sostegno nel 'fatto' che verrebbero scelti nella posizione originarla; anzi, 
sono quelli perché verrebbero scelti: questo costituisce - è evidente - una, sia 
pure sottile, fallacia naturalistica. In ogni modo, è da notare che Rawls stesso 
riconosce che la deduzione dei due principi dai vincoli della posizione 
originaria, non può essere rigorosa: 
«[...] da un punto di vista ideale vorrei riuscire a dimostrare che adottare [i 
due principi] è l'unica scelta compatibile con la descrizione completa della 
posizione originaria. In realtà, si vorrebbe che quest'argomento fosse 
rigorosamente deduttivo. [...] Dovremmo quindi ricercare una specie di 
geometria morale, con tutto il rigore che connota questo termine. 
Sfortunatamente gli argomenti che darò sono ben lontani da ciò, essendo nel 
complesso altamente intuitivi».  
Ma, al di là di questa 'confessione' di Rawls, bisogna osservare che la 
deduzione dei due principi di giustizia dalla descrizione della posizione ori-
ginaria, è molto ardua di per sé, per il contenuto dei vincoli proposti. Questi 
possono risultare, infatti, ad un attento esame, addirittura contraddittori.  
Al di là della corretta deducibilità dei due principi dalla posizione originaria 
poi, resta da constatare come almeno il primo principio si presti a gravi 
obiezioni sul suo contenuto. È di Paolo Comanducci l'osservazione che questo 
può agevolmente venir scorporato in tanti sub-principi quante sono le libertà 
fondamentali riconosciute da Rawls, e queste possono facilmente entrare in 
conflitto le une con le altre, senza che Rawls fornisca adeguati criteri 
gerarchici per dirimere tali difficoltà, cosicché risulterebbe praticamente 
molto difficile stendere una costituzione conforme alla teoria della giustizia 
dell'americano. In continuità con questi problemi, si colloca quello circa la 
stabilità che si può immaginare per una società conforme alla teoria 
rawlsiana. Ho cercato di verificare la questione rifacendomi a Montesquieu, 
che offre una definizione di libertà affatto diversa da quella rawlsiana, 
sostanzialmente riconducibile alla "libertà dalla paura di essere turbati nel 
pacifico godimento della vita e dei possessi ad opera di altri cittadini". Questa 
impostazione sarebbe davvero conforme al desiderio di mantenere libera la 
società dalla piaga dei “free-riders”, non quella rawlsiana, troppo garantista e, 
a tratti, perfino ingenua, come quando paragona il potere stabilizzante del 
monarca assoluto di Hobbes a "rapporti di amicizia e fiducia reciproca”.  
Per quanto riguarda il contenuto del principio di differenza, ho solo rilevato 
come i suoi limiti di applicabilità sembrino arbitrari. Rawls li fa coincidere 
con quelli di una società “a scarsità limitata”, ove "le condizioni non sono 
così dure da costringere inevitabilmente al fallimento imprese fruttuose”. 
Questo esclude a priori il Terzo Mondo, costituito da società che abbiamo 
chiamato “a scarsità grave", per le quali Rawls non ha nulla da dire: perché 
 V
questa sorprendente limitazione? Sembrerebbe, infatti, che l'azione del 
principio di differenza sia - in tale contesto - assai più urgente ed 
auspicabile. Non ho trovato alcuna giustificazione di questa scelta. La mia 
impressione è che Rawls abbia voluto mantenersi in un ambito più asettico, 
più politicamente corretto, ma che non abbia saputo trovare plausibili 
giustificazioni filosofiche della sua scelta.  
 
 
L’opera di Robert Nozick Anarchy, State and Utopia è dichiaratamente priva 
di una sua cornice etica: ne mutua una dal Second Treatise di John Locke. 
Questo fatto è risultato di primaria importanza per il lavoro critico svolto nei 
paragrafi successivi.  
Per il momento desidero solo accennare al principio di rettificazione che, nel 
libro di Nozick, viene chiamato in causa come parte integrante della sua teoria 
del titolo valido; a noi non importa che poi tale importanza venga, nei fatti, 
dimenticata: resta il fatto che l'autore americano conferisce a questo principio 
tanta importanza da arrivare a dire che  
 
«per ogni società un problema importante sarà il seguente: data la sua 
particolare storia, quale attuabile regola empirica approssima meglio i risultati 
di una particolareggiata applicazione, in quella società, del principio di retti-
ficazione?».  
 
E dunque un'ammissione di Nozick stesso a permetterci di concludere che 
ogni Stato occidentale che volesse ambire a diventare Stato minimo, dovrebbe 
- per essere in regola - applicare prima (e per un tempo significativo) principi 
redistributivi del reddito, per rettificare passate ingiustizie di cui si fosse 
eventualmente macchiato; e siccome non c'è troppo da sperare che, da quel 
momento in poi, tutto proceda in modo ineccepibile, non sarebbe assurdo 
concluderne la necessità di mettere all'opera 'in pianta stabile' principi 
redistributivi, volti a rimediare ‘a ciclo continuo’ alle ingiustizie che via via 
si realizzassero.  
Nozick, invece, si è impegnato a dimostrare che ogni Stato più esteso di 
quello minimo viola i diritti delle persone, nel suo operare. Non presenta un 
teorema morale al riguardo, ma sceglie la via della confutazione degli 
argomenti opposti; in particolare, riserva la sua attenzione al lavoro di Rawls 
e alle teorie egualitarie. Sulle sue critiche a queste ultime non mi sono 
soffermato, intanto perché, personalmente, giudico quelle teorie piatte e 
inconcludenti, e poi perché - comunque - la confutazione più importante è 
quella relativa alla teoria di Rawls che, al momento, è la più accreditata a 
sostegno dello Stato redistributivo.  
Ebbene, nel tentativo di mostrare che nella posizione originaria ideata da 
Rawls non potrebbero in nessun modo venir accolti principi della validità del 
titolo (perché gli individui in questione giudicherebbero tutto manna dal 
cielo") Nozick, a mio avviso, cade vittima di una confusione: è vero che gli 
individui nella posizione originaria nulla sanno della loro particolare 
situazione economica nella costituenda società, ma non è vero che ignorino i 
principi del diritto privato, visto che Rawls ammette una conoscenza generale 
completa; dunque, potrebbe darsi benissimo che venisse scelta una configu-
razione liberista; cosa che, oltre tutto, in misura moderata avviene, giacché 
 VI
sussiste l'opzione per la tutela del diritto di proprietà tra le libertà 
fondamentali che Rawls vuole difendere.  
Comunque, il nocciolo dell’argomentazione di Nozick è altrove: Rawls non ha 
prodotto, contrariamente a quanto dichiarato, alcuna ragione morale a 
sostegno del principio di differenza. In effetti, però, ho cercato di mostrare 
che le ragioni per le quali Rawls ritiene che verrebbe scelto tale principio 
rientrano, in realtà, nella sfera della semplice convenienza. Su questa base, 
infatti, Rawls ritiene che si avrebbe la possibilità di ottenere una fattiva 
collaborazione delle classi lavoratrici meno avvantaggiate, che verrebbero 
'emendate' delle connaturate tendenze alla conflittualità con le classi più 
agiate: si tratterebbe, insomma, di un intelligente prezzo da pagare per 
azzerare le tensioni sociali e di classe. Se tale rimedio sarebbe efficace o 
meno per lo scopo che si prefigge, Nozick non l'ha minimamente discusso, e 
perciò la sua confutazione è fuori bersaglio, giacché Rawls sa benissimo che, 
da un punto di vista morale, non ha prodotto argomenti validi a sostegno de 
suo principio.  
Nel paragrafo 3.4 – liberismo e favelas – ho cercato di mostrare con un 
esempio vivo come non ci sia tutta quella convenienza a condurre in miseria 
ampi strati di popolazione per difendere gli interessi delle classi più agiate: la 
povertà di quelli si può infatti drammaticamente tradurre in pericolo grave per 
queste.  
E veniamo finalmente alla definizione di quali siano per Nozick i veri diritti 
delle persone: sono solo quelli di natura privata, quelli cioè che si possono 
ricondurre alla tutela più rigida del diritto di proprietà. Nessun diritto 
generale “ad essere in una particolare condizione materiale” può esistere 
perché entrerebbe in conflitto  con “i singoli diritti sopra le cose” (vedi sopra, 
pag. 65-67)… Nessun’altra ragione è fornita: questo conflitto è di per sé 
sufficiente a stabilire quale delle due parti abbia diritto a vincere. 
Tralasciando le ovvie (quanto rilevanti) considerazioni circa il livello morale 
di tale asserzione, rilevata la potenziale aggressività della teoria del Titolo 
Valido, desidero mettere in rilievo il fatto che la cornice morale lockiana che 
Nozick ha scelto per il suo lavoro, non consente la restrizione dei diritti del 
singolo a puri diritti di proprietà.  
La domanda che sottende tutto il lavoro analitico del capitolo dedicato a 
Giuliano Pontara è, invece: «Sono tenute le popolazioni più abbienti a 
soccorrere quelle indigenti?» Se sì, «lo sono solamente sotto un punto di vista 
di caritatevole solidarietà o anche sotto un profilo di considerazioni di 
giustizia?». Dall'analisi del principio di rettificazione e della clausola 
limitativa lockiana, Pontara conclude, infatti, che tale soccorso è dovuto in 
base a considerazioni di giustizia. Il significato della clausola limitativa è reso 
molto bene dall'esempio di Nozick della pozza d'acqua nel deserto, che resta 
l'unica in grado di fornire ancora acqua quando le altre si sono prosciugate: il 
proprietario non può imporre il prezzo che giudica più opportuno, deve dar 
modo agli altri di approvvigionarsi. Nozick, però, sembra restringere la 
validità di questa clausola ai casi in cui chi è rimasto in possesso del bene in 
questione non può vantare alcun merito al riguardo, ma ho discusso 
ampiamente la questione giudicando tale atteggiamento restrittivo non 
consono allo spirito della clausola, per cui solo un diritto morale altrettanto 
forte dell'imminente morte per sete degli avventori, può validamente 
interporsi. La scarsità dei beni alimentari nel mondo, del tutto analoga, porta 
chiaramente ad una codificazione del diritto di sopravvivenza, se si accetta la 
 VII
clausola; e lo stesso avviene in ambito interstatale, visto l'esempio di Nozick 
stesso, una pozza di un deserto, dove, evidentemente, non ha nessun rilievo la 
nazionalità degli assetati. A livello di diritto internazionale, però, la clausola 
non riveste alcun ruolo, contrariamente al principio di rettificazione, in base 
al quale si può invece validamente ribadire il diritto dei paesi poveri a venir 
soccorsi, trattandosi di ex-colonie dei paesi europei, che hanno talora subito il 
sistematico saccheggio e la razzia plurisecolare dei loro individui più validi. 
Dal punto di vista di Nozick, è autorizzato il passaggio da crediti di giustizia 
di singoli a crediti di gruppi; dal punto di vista internazionale tale passaggio è 
implicito nell’odierna concezione dei rapporti tra stati. In ogni modo, stante la 
facilità con cui si può far coincidere il gruppo degli eredi delle popolazioni 
martoriate dallo schiavismo con le popolazioni che attualmente abitano i paesi 
corrispondenti (che ricalcano persino nei confini la configurazione che 
avevano come colonie), si può concludere che sussista un titolo valido ad un 
risarcimento dei danni subiti da parte di quelle nazioni, nei confronti delle 
rispettive ex-madrepatrie. Tutto questo, naturalmente, sottintende l'idea - 
peraltro generalmente condivisa - che le guerre coloniali siano annoverabili 
tra quelle assolutamente ingiuste.  
Affrontate alcune obiezioni interessanti, il lavoro è proseguito solo 
apparentemente cambiando argomento; infatti si propone la grande idea da cui 
nacque il New Deal: un'economia depressa per sovrapproduzione può 
riprendere fiato se lo Stato si impegna a sostenere l'occupazione assumendo in 
imprese di pubblica utilità quelli che hanno perso il lavoro; questi, così, 
avranno il denaro per acquistare i beni prodotti dalle imprese private, mentre 
il paese si dota di strutture più moderne che ne favoriscano la ripresa. 
Assistere, dunque, erogando lavoro utile. L'idea è che per i paesi europei, 
impegnarsi in una vera ristrutturazione delle ex colonie, potrebbe dar respiro 
alle loro economie in recessione mentre, nel lungo periodo, si aprirebbero 
immensi mercati, probabilmente particolarmente sensibili alle merci dei paesi 
non più colonizzatori ma “gemellati”.  
Nel paragrafo 3.6 ho offerto uno “zoom” all'interno dell'esempio storico, 
richiamando l'opera della TVA che aveva il compito di intervenire 
ristrutturando una delle zone agricole più depresse degli Stati Uniti negli anni 
'30: «Venne sviluppato un sistema che si basava su tre punti e che combinava 
le terre dei contadini, la conoscenza degli agronomi e degli esperti agricoli 
delle università, ed i fertilizzanti ed i fondi della TVA, per dimostrare ai 
contadini che esisteva la possibilità di effettuare dei cambiamenti proficui».  
E, in effetti, i cambiamenti ci furono, e molto notevoli, a testimonianza che il 
benessere deriva molto più da un sano e ponderato intervento statale  
nell'economia che da un atteggiamento di sterile astensione, per lasciare che 
le cose seguano il loro corso: quando si è lasciata l'economia a se stessa, i 
risultati sono sovente stati desolanti.  
Nel paragrafo 3.7 – “Sulla validità interstatale del principio di differenza” mi 
sono brevemente soffermato sulla possibilità di estendere l'ottimo II principio 
di A Theory of Justice ai rapporti internazionali. Scaturendo però tale 
principio da considerazioni di convenienza, non è possibile tale estensione, 
che sarebbe invece doverosa se Rawls avesse fondato l'argomentazione su 
considerazioni di carattere morale.  
Nei due paragrafi successivi mi sono occupato della trattazione del diritto di 
sopravvivenza che Pontara fa in positivo, proponendo un suo argomento, di 
stampo rawlsiano (si tratta di un esperimento mentale) con cui, attraverso la 
 VIII
nozione cardine di preferenze basilari, arriva a concludere che ogni buon 
padre sceglierebbe per suo figlio una società ove sia garantita la 
sopravvivenza, rispetto ad un'altra ove fossero solo assicurati i diritti 
negativi alla vita e alla salute e fosse - d'altro canto - possibile raggiungere 
un livello maggiore di ricchezza. Lo stesso argomento viene adattato alla 
scena internazionale: Pontara immagina che individui razionali abbiano da 
scegliere il nuovo assetto da dare al mondo attraverso una riedizione dei 
corretti rapporti di diritto internazionale: anche qui Pontara ritiene che la 
scelta cadrebbe su di una società che contemplasse il diritto di 
sopravvivenza, posto, naturalmente, che nessuno sia informato né su quale sia 
la nazione di cui farà parte, né quale posto occuperebbe nella società. Queste 
opzioni vengono sostenute, come ho detto, sulla scorta della nozione di 
preferenze basilari, che sono quelle preferenze che, essendo a fondamento di 
ogni altra scelta, non si può pensare che individui razionali non vorrebbero 
assicurare per primi (il che non esclude che, in concreto, qualcuno non le 
condivida o non sia consapevole di condividerle: quando in Filosofia Pratica 
si parla di individui razionali, così come in  A Theory of Justice, del resto, si 
intende individui razionali “tipo”). Tali preferenze consistono nel desiderare 
di essere in vita piuttosto che non, di essere in buona salute eccetera.  
Nell'ultimo paragrafo ho fornito un rapido excursus dei possibili “effetti 
boomerang” cui potrebbe andare soggetta la società occidentale qualora non si 
sentisse in dovere di soccorrere prontamente le nazioni del Terzo Mondo: si 
tratta di considerazioni tutto sommato personali, che non sono suffragate (né, 
forse, potrebbero esserlo) da alcun rigoroso procedimento scientifico. Credo, 
nondimeno, che, se prese singolarmente possano essere tutte discutibili, non si 
possa ragionevolmente negare che un qualche oscuro pericolo in certa misura 
imparentato con quelli di cui si può già leggere in questo lavoro del 1993, 
incomba ancora sinistramente sull'Occidente, anche dopo i già citati attentati 
che hanno tragicamente inaugurato il XXI secolo.  
 
 
 
Rapallo, 11 marzo 2007 
 IX