INTRODUZIONE
La scelta di perfezionare il mio curriculum formativo con gli studi nell’ambito della
didattica e della psicopedagogia per alunni con disturbo autistico si inserisce nel mio
cammino personale e professionale di ricerca di modalità sempre più attente per
avvicinarmi ad ogni allievo con delicatezza, rispetto e fiducia, per accompagnarlo alla
sua piena autorealizzazione e al suo personale benessere nel suo contesto di vita
quotidiana.
Sono infatti profondamente convinta che la scuola, quale importante contesto di vita e di
formazione, non possa avanzare richieste e fornire stimoli uguali per tutti, massificati e
livellanti, nè possa richiedere risposte omologate e uniformate, che non rispettano
l'identità e l'unicità di ogni persona a cui si rivolgono
Per questo cerco di migliorare la mia competenza nel leggere sia le potenzialità e le
risorse di ciascuno che i suoi punti di fragilità e le sue difficoltà, per predisporre
percorsi educativi e didattici di cui ognuno possa farsi attivo fautore e responsabile,
personalizzandoli e declinandoli secondo le proprie potenzialità e attitudini, adottando
un'impostazione metodologia di differenziazione didattica che possa essere la chiave per
una reale inclusione di tutti e di ciascuno nel gruppo classe, prima e in contesti sociali
via via più allargati, poi.
Da quando ho iniziato a lavorare, prima in campo educativo e poi in quello scolastico,
ormai tanti anni fa, ho portato avanti questa ricerca con viva passione, coniugando
l'esperienza sul campo con studi che le corrispondessero e mi aiutassero via via ad
affinare il mio sguardo e i miei strumenti per entrare in relazione autentica con ogni
singolo bambino. Credo, del resto, che in ambito educativo la formazione teorica sia
basilare per fornire gli strumenti e definire le finalità generali verso cui muoversi,
sebbene l’attenzione allo specifico contesto e alle dinamiche relazionali in atto sia
imprescindibile perché la pedagogia non rimanga sterile speculazione: “Si tratta,
indubbiamente, di un rapporto da concepire in chiave di unità dialettica: la teoria,
senza prassi, è vuota; così come la prassi, senza teoria, è cieca. In altre parole, una
teoria senza relazione con i problemi delle pratiche educative finisce per risultare
astratta ed inefficace; ma, al tempo stesso, una prassi che si esaurisce nel far fronte in
3
maniera immediata a tali problemi, senza lumi teorici, rischia di vagare nel buio, di
andare per tentativi.”
1
Questa interazione chiama però direttamente in causa l'insegnante, poichè necessita
dello sviluppo di un habitus mentale alla riflessione, alla ricerca, alla metacognizione,
all'autovalutazione che la svincoli da assunzioni precostituite, dia pieno valore
professionale al suo agire pedagogico e le faccia sentire viva la responsabilità di una
libertà di insegnamento "condizionata dalla possibilità di operare scelte e di variarle
quando non si sia più convinti della loro opportunità."
2
Il coinvolgimento personale, supportato da una significativa preparazione teorica e
prassica, è quindi il necessario completamento di un'intenzionalità pedagogica che
sappia riconoscere, accogliere e potenziare l'unicità dell'altro: questo è possibile solo in
una relazione di "amore pedagogico"
3
nella quale "l'amore è responsabilità di un io
verso un tu [del quale si coglie] l'esclusività."
4
Penso che questo sia vero a maggior ragione quando si esplorano territori di confine-
come possono essere quelli della disabilità, dove è più facile cadere in forme di cura
inautentica, o si interagsce con il particolarissimo funzionamento atipico dei soggetti
con disturbi dello spettro autistico.
In queste situazioni è fondamentale lasciarsi interrogare dall'alterità dell'altro, che ci
"pro-voca", ci "chiama fuori" da schemi precostituiti, oltre ogni etichetta diagnostica e
"pre-comprensione irrigidita",
5
chiedendoci di operare per assicurargli i massimi gradi
di autonomia e di autodeterminazione possibile, un proprio progetto di vita e una
congrua qualità della vita, per lui e per chi sta gli sta intorno.
Per far ciò, occorre innanzitutto cercare un equilibrio precario tra il porsi in distanza e
l'entrare in relazione, a partire da un'accurata valutazione multidimensionale e
dall'osservazione, perchè "si entra in punta di piedi alla porta dell’Altro, occorre
bussare alla sua porta. E se il nostro è uno sguardo appassionato, è probabile che
1 BALDACCI M., Teoria, prassi e “modello” in pedagogia. Un’interpretazione della prospettiva
problematicista, in " Education Sciences & Society” anno 1 n.1, 2010, pag. 65- 76.
2 Benedetto Vertecchi, (1944-), professore ordinario di Pedagogia sperimentale presso la Facoltà di
Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre.
3 FRANCHINI R., Disabilità, cura educativa e progetto di vita. Tra pedagogia e didattica speciale.
Erickson, Trento, 2007, pag. 58.
4 BUBER M., Il principio dialogico e altri saggi , San Paolo, Cinisello Balsamo, 2012, pag. 69.
5 FRANCHINI R.. Disabilità, cura educativa e progetto di vita, op. cit., pag. 61.
4
l’Altro apra la porta e si lasci incontrare",
6
se noi sappiamo cogliere la persona, oltre la
sua disabilità, ricercando innanzitutto le sue potenzialità, attitudini e desideri e ci
adoperiamo nella strutturazione dell'ambiente di vita quotidiano affinchè li sappia
valorizzare.
Serve poi predisporre una progettazione didattica ed educativa integrata, personalizzata
e continuamente monitorata, con interventi mirati, specifici, assolutamente calibrati sul
singolo individuo nel suo contesto di vita, per far sì che i suoi limiti e criticità
interferiscano nel modo minore possibile con la sua massima autorealizzazione e piena
partecipazione sociale.
Infine, è indispensabile "essere umile",
7
farsi da parte per restituire all'altro le
dimensioni profonde di autonomia e libertà e per lavorare in rete con un'estesa comunità
educante che impegni tutta la realtà scolastica e sociale per la promozione dell'altro.
Frequentando questo master intendevo affinare i miei strumenti di lavoro per operare in
modo sempre più inclusivo, proponendo esperienze gratificanti e dotate di significato,
insegnando ciò che è "utile e possibile"
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per quella singola e irripetibile persona, poichè,
sebbene consapevole che un'effettiva inclusione richiede ben più dell'impegno di un
singolo insegnante, nessuno può esimersi dall'impegno etico - prima ancora che
normativo - di lavorare per consentire l'autorealizzazione dell'altro.
«Cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta […]
Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo
è la trasformazione di me stesso».
BUBER M., Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon, Magnano, 1990, pag 45.
6 DURRANDE P., L' arte di educare alla vita, Editore Qiqajon, 2012.
7 KIERKEGAARD S., La malattia mortale, Newton Compton, Roma, 1990.
8 Dagli appunti delle lezioni del Prof. Parrino.
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CAPITOLO PRIMO
L’INCLUSIONE A SCUOLA
1. Una necessità etica: la cura come formazione e l’inclusione come strada verso il
ben-essere
Il 1948 costituisce una data importante nell'affermazione dell’uguaglianza di tutti gli
uomini e dei loro diritti fondamentali: a quell’anno, infatti, risalgono la Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo
1
e la Costituzione della Repubblica Italiana,
2
la quale
riconosce pari dignità sociale e uguaglianza a tutti gli uomini e assicura loro l’accesso
alla scuola pubblica, stabilendo l'obbligatorietà dell'istruzione primaria e il diritto
all’istruzione più elevata.
La scuola, del resto, costituisce uno degli ambienti di vita e di crescita principali e
“realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi [...] per il successo
scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie
forme di diversità, di disabilità o di svantaggio.”
3
L’impegno a fornire tale sostegno si è articolato in modi diversi nel corso della storia
della scuola italiana, a partire dall’iniziale istituzionalizzazione in scuole speciali, fino
all’attuale sistema di inclusione unidirezionale.
Le scuole speciali furono abolite solo con la legge 517 del 1977, che diede l’avvio
all’integrazione degli alunni disabili nelle classi comuni, con la possibilità di attuare
“attività scolastiche integrative, anche a carattere interdisciplinare, organizzate per
gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno”,
4
lasciandole però alla discrezionalità dei docenti “in possesso di particolari titoli di
specializzazione”,
5
senza prevedere alcuna corresponsabilità educativa né adeguamento
del contesto scolastico.
1 ONU, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 10 dicembre 1948.
2 Costituzione della Repubblica Italiana, 1 gennaio 1948.
3 C.M. n. 31 del 18 aprile 2012, Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e
del primo ciclo di istruzione, MIUR, pag. 9.
4 Legge n. 517 del 4 agosto 1977, “Norme sulla valutazione degli alunni e sull'abolizione degli
esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell'ordinamento scolastico" art. n. 7.
5 Ibidem.
6
Da quel momento, con tappe più o meno significative, quali l’emanazione della legge
104 del 1992,
6
si è giunti a declinare in modo via via più concreto le condizioni
necessarie per assicurare interventi sempre più qualificati e sistemici che garantissero
effettivamente ed efficacemente la piena realizzazione del diritto all’istruzione e
all’integrazione scolastica dei disabili.
Lo spirito ispiratore degli interventi, però, presuppone un’azione “riparativa” verso un
singolo “diverso”- il disabile - per consentirgli la maggior partecipazione possibile alla
vita scolastica degli “altri”, senza che l’istituzione accogliente modifichi le proprie
modalità di funzionamento: lo stesso significato etimologico del termine “integrazione”,
derivante dall’aggettivo latino intĕger, intĕgri, "intero", ossia "aggiungere qualcosa in
modo da rendere intero", conferma questa chiave di lettura.
Sul finire del secolo scorso, la scuola acquista autonomia funzionale:
7
le istituzioni
scolastiche, attuando opportune forme di flessibilità organizzativa, didattica e
curricolare, “concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla
realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni,
riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno
adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo”.
8
Ciò segna il passaggio verso una fase di “pluralità di integrazioni”,
9
rispetto alle
molteplici istanze e ai bisogni portati da tutti gli alunni e non solo da quelli disabili.
In seguito all’affermazione del modello bio-psico-sociale di approccio alla salute e alla
pubblicazione dell’ICF,
10
l’attenzione si sposta dalla specifica disabilità al
funzionamento di ognuno, come risultante dell’interazione tra aspetti biomedici e
psicologici della persona (funzioni e strutture corporee), aspetti sociali (attività e tipo di
6 Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate”, pubblicata in G.U. n. 39 del 17 febbraio 1992, suppl. ord..
7 Vedi in particolare Legge n. 59 del 15 marzo 1997, Delega al Governo per il conferimento di
funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e
per la semplificazione amministrativa, il D.P.R. n. 233 del 18 giugno 1998, Regolamento recante
norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli
organici funzionali dei singoli istituti, e soprattutto il D.P.R. n. 275 dell’8 marzo 1999,
Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche.
8 D.P.R. n. 275 dell’8 marzo 1999, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche, art. 4.
9 D'ALONZO L., Gestire le integrazioni a scuola, La Scuola, Brescia 2008, pag 16-17.
10 Organizzazione Mondiale della Sanità - OMS (2001), ICF . International classification of
functioning, disability and health, World Health Organization, Geneva (trad. it. ICF .
Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, Erickson,
Trento, 2002).
7
partecipazione svolte nella quotidianità) e fattori di contesto (fattori ambientali e
personali).
Questo cambiamento di prospettiva determina una grande responsabilità dei contesti di
vita nella costruzione dei livelli di partecipazione sociale e della qualità di vita dei
soggetti e segna il passaggio verso un approccio scolastico inclusivo, termine derivante
dall'inglese “to include”, “essere parte di qualcosa”.
Secondo tale modello, ad ognuno vengono riconosciute specificità proprie, intese come
“modi personali di porsi nelle relazioni di apprendimento”,
11
e potenziali “bisogni
educativi speciali”:
12
a fronte di ciò risulta necessario strutturare i contesti educativi in
modo tale che siano adeguati alla piena partecipazione di tutti, promuovendo un
adattamento dinamico, sistemico e reciproco tra il contesto stesso e i singoli
componenti, “attraverso l’incremento delle possibilità di partecipazione
all’apprendimento, alle culture e alle comunità e riducendo ed eliminando l’esclusione
e l’emarginazione dall’istruzione”,
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affinché “ognuno senta di essere apprezzato e che
la sua partecipazione è gradita.”
14
All’assunzione del modello bio-psico-sociale e della prospettiva inclusiva si affianca
quindi anche una spiccata preoccupazione per la cura delle persone nella loro totalità.
Intendendo il concetto di cura secondo l‘accezione esistenziale messa in luce dal
filosofo tedesco Martin Heidegger,
15
ossia come “struttura” fondamentale dell’Esser-ci,
il modo di essere proprio dell’uomo, che si realizza pienamente nell’ “aver cura” degli
altri uomini per promuovere “quella che noi chiamiamo formazione [ossia] il processo
attraverso cui un uomo assume una propria forma, un proprio modo di essere,
divenendo in qualche modo se stesso […] a partire dalle cure che gli altri gli
riservano,”
16
non possiamo che ravvisare nell’impegno inclusivo una necessità etica,
11 MEDEGHINI R., FORNASA W. (a cura di). L’educazione inclusiva. Culture e pratiche nei
contesti educativi e scolastici: una prospettiva psicopedagogica, Angeli Editore, Milano, 2011, pp.
95-127.
12 MIUR Direttiva del 27 dicembre 2012 "Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi
speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica".
13 UNESCO, Policy Guidelines on Inclusion in Education, Published by the United Nations
Educational, Scientific and Cultural Organization, Paris, 2009, pag. 8, pubblicato sul sito <
http://unesdoc.unesco.org/images/0017/001778/177849e.pdf >
14 DOVIGO F., L'Index per l'inclusione: una proposta per lo sviluppo inclusivo della scuola,
Erickson, Trento, 2008 p.13, ultima consultazione 1/10/18.
15 HEIDEGGER M., Essere e Tempo: traduzione di Pietro Chiodi condotta sull'undicesima edizione,
Longanesi, Milano, 1976.
16 PALMIERI C., La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell’educare, Franco
Angeli, Milano, 2000, pag 38.
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