Introduzione 
“Che cosa vorresti fare da grande?”  
È stata questa la domanda che il mio Relatore ha posto prima che cominciassimo a 
discutere sull’argomento di Tesi. Io avevo portato altre idee, avevo dei progetti che ora, 
come si suol dire “con il senno di poi” giudico tendenti all’eccesso, utopici in una Tesi di 
Laurea. È stato questo il motivo per cui il Professore mi ha indirizzata giustamente verso 
qualcosa che potesse essermi utile nel futuro. Mi ha proposto di approfondire un discorso 
attinente “a ciò che vorrei fare da grande”. 
Da queste premesse, grazie al mio Relatore ho contattato Walter Orioli ed ho iniziato la 
mia ricerca che si è poi concretizzata nel testo seguente. 
Terrei tuttavia a fare delle precisazioni sul testo, in particolare per quanto riguarda 
l’inserimento selettivo di soltanto alcune delle premesse teatrali dalle quali, a mio parere 
prende avvio la Teatroterapia.  
Sulla base degli studi effettuati sinora posso asserire che ha contribuito alla nascita di 
questa disciplina tutta una complessa situazione teatrale a cui, negli scritti da me analizzati 
esplicitamente sulla Teatroterapia, non viene mai fatto riferimento (in particolare  richiamo 
a realtà quali gli happenings, a compagnie quali L’Open Theatre, la San Francisco Mime 
Troupe, il Bread and Puppet e altre) che hanno contribuito alla formazione di un complesso 
definito da De Marinis “Nuovo Teatro”:  
 
Si potrebbe parlare, in questo secondo caso, di un  modo extrateatrale di produzione del teatro, 
caratterizzato dai seguenti elementi distintivi […]: 
- spostamento dell’accento dal prodotto alla produzione, dal risultato al processo; 
- superamento del teatro di rappresentazione e di interpretazione;  
- critica della regia come istanza estetica totalizzante; 
- ampliamento delle funzioni dell’attore ben oltre quella, riduttiva, di professionista della finzione; 
- negazione del pubblico come entità unitaria indifferenziata e come semplice fruitore passivo; 
 2
- ricerca del non-pubblico e tentativo di instaurare con esso dei rapporti non superficiali mediante 
contatti continuativi e prolungati, basati fra l’altro sulla pratica dello scambio, o baratto; 
- utilizzazione del teatro come valore d’uso, cioè come strumento (insieme ad altri) di animazione 
culturale, di intercomunicazione e di conoscenza reciproca, e anche, non secondariamente, come 
mezzo per l’ autosoddisfazione di bisogni sociali ed esistenziali (privati)
1
. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
1
 Marco De Marinis, Il Nuovo Teatro 1947-1970 , Milano, Bompiani Sonzogno Etas, 2005, p. 234-235 
 3
1.    Origini 
Premesse ed avvio della Teatroterapia. 
 
La differenza che c’è tra Teatroterapia e teatro di ricerca è che questo si ferma ad un certo punto, non fa 
terapia, mentre la Teatroterapia è finalizzata alla terapia stessa come processo di crescita personale
2
. 
 
 
 
1.1 “Prima” della Teatroterapia, secondo Orioli 
Breve panorama del teatro occidentale 
      Nell’esperienza di Walter Orioli, la Teatroterapia si sviluppa dal teatro di ricerca, 
definito come quel tipo di teatro che rivolge il proprio interesse all’attore e dunque al  suo 
ruolo. 
Per chiarire il passaggio avvenuto, come tale interesse possa essersi evoluto e rivolto 
all’attore, è dunque opportuno trattare ciò che il teatro è stato prima dell’ avvento del teatro 
di ricerca. 
      Esistono pochissime testimonianze materiali su cui fondare la ricostruzione delle 
origini del teatro: gli storici si sono dovuti basare su teorie, ipotesi e supposizioni. Una 
delle teorie più diffuse sulla genesi del teatro è quella che ne individua la nascita nel Rito. 
Alla ricerca di una sintesi tra vari tipi di miti e riti, Joseph Campbell sostiene che la 
maggior parte di essi è riconducibile ai seguenti temi: Piacere (cibo, casa, sesso e famiglia); 
Potere (voglia di conquistare, consumare, rendere più forti sé stessi o la tribù); Dovere (nei 
confronti della divinità e dei propri simili). 
                                                 
2
 v. qui oltre p. 100 
 4
È indubbio che il piacere accomuni Rito e teatro, ed è interessante rilevare come in 
entrambi possono essere utilizzati gli stessi elementi fondamentali: la musica, la danza, la 
parola, le maschere, il trucco, i costumi, gli attori, il pubblico ed il palcoscenico. 
Nel Rito spesso un gruppo di persone assume la funzione di controllo e coordinamento, che 
a teatro prende il regista. Anche l’utilizzo dello spazio è spesso analogo tra i due. 
      Secondo altri studiosi, la funzione del Rito e del teatro è la medesima, ovvero quella di 
oggettivare ansie e paure delle persone, in modo da riconoscerle, in altre parole ancora di 
realizzare i sogni dello spettatore. 
La Teatroterapia si ricollega parzialmente a questa concezione in quanto, secondo  Orioli 
ed i fondatori di questo metodo di autocura, il teatro ha indubbiamente origine dal Rito e in 
particolare da quelle cerimonie simili ai riti di iniziazione ancora comuni in Australia ed 
Africa, nelle quali, in un posto separato dalla comunità, dove i giovani arrivano cosparsi di 
argilla, lo stregone con la maschera sul viso e con tutta la sua autorità li incontra mettendoli 
al corrente circa le prove severe che dovranno superare; durante la cerimonia i giovani 
cadono fingendosi morti e quando si alzano non sono più giovani bensì adulti. 
      Alcuni studiosi dividono nettamente Rito e spettacolo, altri propongono l’accettazione 
del rito come una parte della storia del teatro. La considerazione di un evento come 
appartenente all’uno o all’altro ambito, varia dalla più o meno approfondita percezione 
dello spettatore. 
      Secondo i teatroterapeuti la divisione Rito-teatro è avvenuta nella civiltà Greca, quando 
secondo quanto sostenuto dalla Poetica di Aristotele, dal ditirambo cantato e danzato in 
onore di Dioniso, si sviluppa una composizione letteraria (c.625-585 a.C) con la 
conseguente nascita della Tragedia, a opera di Tespi, e successivamente della Commedia. Il 
teatro diventa così gradatamente uno strumento di diffusione della cultura ed è finanziato 
dallo Stato. Se analizziamo l’evoluzione del teatro nei suoi aspetti più peculiari, in Grecia 
nascono altre forme di teatro meno illustri: come il mimo e la farsa fliacica (che conteneva 
 5
parodie di miti), dalle quali poi si sviluppano alcune forme del teatro romano, come 
l’atellana, il fescennino e altre. Questi generi minori, in particolare quelli romani, miravano 
all’aspetto ludico, leggero, comico e d'intrattenimento del teatro. 
      Con l’avvento della religione Cristiana (editto di Costantino, 313 d.C.), queste 
rappresentazioni teatrali (che erano diventate le più frequenti) furono vietate poiché oscene: 
associate a festività pagane ed eretiche. Il teatro romano fu definitivamente travolto dalla 
caduta dell’Impero e l’ultima rappresentazione documentata è del 533, dopo poco il teatro 
occidentale ripiombò nell’oscurità. Nei territori orientali resistette fino alla conquista di 
Costantinopoli da parte dei Turchi (1453). Le festività pagane furono assorbite da quelle 
cristiane, e si formarono delle piccole compagnie di cantastorie-acrobati (osteggiati dalla 
Chiesa). 
      Le cerimonie rituali della Chiesa cristiana divennero di rimando sempre più complesse, 
fino a sfociare nelle Sacre Rappresentazioni medievali. 
 
Nella Sacra rappresentazione medievale si può rileggere tutta la storia del teatro, da quando faceva 
ancora parte della religione ed incarnava il mito della tribù, alla volontà  
di trascendere l’aspetto religioso profanandolo
3
. 
 
Oggi rimane il Carnevale, festa forse all’origine della Commedia dell’Arte. Tale tipo di 
rappresentazione prese origine dagli allestimenti di feste private, che avvenivano nelle 
Corti o nelle Accademie in occasioni particolari. Non vi sono certezze rispetto alle origini 
di questa forma teatrale: si ipotizza che possa essersi generata da una variante delle farse, 
nate nel 1550 in Italia. Questo genere di teatro, contrariamente ai luoghi comuni ha ben 
poco d'improvvisato, in quanto gli attori devono attenersi a un canovaccio, fatta eccezione 
                                                 
3
 Walter Orioli, Far teatro per capirsi e farsi capire, Monza, Edizioni Associazione Politeama, 2008 p. 36 
 
 6
soltanto per sporadiche battute d’attualità; ma è importante ai fini della ricerca teatrale, 
poiché è la prima forma di teatro che sposta l’attenzione da testo ad attore. 
Nel Settecento si affermano le compagnie di attori basate sul sistema dei ruoli e i testi sono 
organizzati di conseguenza. Con l’Ottocento, con il Teatro Borghese, viene promossa in 
tutto il mondo la figura del “grande attore italiano”. 
Bisogna attendere solo il Colonialismo della seconda metà dell’Ottocento, per aprire le 
porte a tutto quel mondo di conoscenza teatrale, che era cresciuto in Oriente. 
Gran parte delle ricerche innovative sull’arte della recitazione, che prendono piede nei 
primi anni del secolo in Europa, cercano conferma oltre oceano, facendo riferimento al 
percorso di alcuni tra i più noti registi-pedagoghi che si avvicinano al teatro tradizionale. 
      È difficile capire perché oggi, nonostante le comodità, la televisione ed il cinema, il 
teatro non sia ancora scomparso. Una possibile risposta è data dal fatto che a teatro si è in 
presenza di corpi reali, che agiscono dinnanzi a un pubblico. Pertanto queste due 
componenti creano quel determinato momento e da quel punto di vista, qualcosa di “unico, 
personalizzato”. 
Altra forte attrattiva del teatro è l’indeterminatezza del corpo. Gli spettatori a teatro 
rimangono “stupiti” da ciò che i corpi degli attori fanno davanti a loro. Questo fascino 
particolare del teatro ha origini lontane: come già detto, una delle ipotesi sull’origine del 
teatro è il suo sviluppo dal Rito. Gli spettacoli avevano la funzione di esorcizzare e tenere 
lontani gli spiriti: il teatro incarnava le fantasie peggiori per esorcizzarle. Il principale 
portatore di questo esorcismo era il corpo dell’attore. La “verità” che si trova nel teatro è la 
stessa di allora: è l’attimo in cui ci si emoziona nel vedere l’imprevisto e ci si rende conto 
di esistere. Questo attimo può realizzarsi solo attraverso dei corpi reali che si mettono in 
gioco, che “rischiano”. 
 
 7
se l’ imitazione è il vero scopo dell’ arte è evidente che la spontaneità e la creatività dell’artista sono 
fattori più disturbatori che costruttivi. Invece di descrivere le cose così come sono, si andrebbe a 
falsarle. […] la poesia e l’arte in genere non possono essere altro che una dilettosa falsità. […] Nel 
dramma viviamo le passioni sentendone tutta la violenza e la tensione, ma sul piano dell’ arte tragica 
viene meno il loro vincolo, la loro tirannia, la loro compulsione. […] Le stesse passioni si spogliano 
della loro greve materialità. Se ne sente, si, la vita e la forma, ma non l’oppressione. La serenità dell’ 
opera d’arte è, paradossalmente, una serenità non statica ma dinamica. […] Ma col potere della 
fantasia e con quello di animare ogni cosa ci si trova soltanto nel vestibolo dell’arte. L’artista non 
deve limitarsi a sentire il “ significato intimo” delle cose e la loro vita interiore ma deve anche 
esteriorizzare quel che sente
4
. 
 
In gran parte degli spettacoli del 900 il testo non c’è. Lo spettatore, se non vede un testo cui 
aggrapparsi, fa attenzione alle poche cose che riscopre, alle sue aspettative, a battute e 
movimenti che possono comunicargli qualcosa sulla base della sua esperienza. La pagina 
su cui si scrive lo spettacolo è il corpo dell’attore ed è sul suo corpo che i materiali si 
sedimentano. 
Alla fine dell’Ottocento disegnare, fare illusione o illusionismo non bastava più, lo sguardo 
delle persone diventa più scaltrito. Alcuni studiosi trovano il punto di svolta nel 
Naturalismo dei Maininger alla nuova concezione del teatro in Alfred Jarry, per Orioli 
invece, il primo regista-pedagogo di grande importanza per l’avvento del teatro di ricerca è 
K.Stanislavskij. 
    I fatti restano leggibili ai nostri occhi attraverso tutto il corpo sociale; dunque i segni 
della società, dell’educazione, degli affetti ecc. li portiamo sul nostro corpo, esso è una 
pagina di storia, noi siamo il nostro corpo. Essendo il corpo un mezzo che tutti gli uomini 
condividono, è la comunicazione del corpo l’unica vera comunicazione universale, 
attraverso cui è possibile avere una conoscenza pura.  
                                                 
4
 Ernst Cassirer, Saggio sull’ uomo (An Essay on Man), Roma, Armando Editore, 2004, p. 245-246-247-259-
267 
 8
Agli inizi dell’Ottocento prendono il via le prime riflessioni sullo schema corporeo 
(non sempre presente), dettate dall’esperienza integrata dal pensiero. La memoria 
meccanica e quella libidica condizionano l’uso che facciamo del nostro corpo. A partire 
dalle piccole cose, tutto ciò che è nella mia esperienza mi riguarda: il mio io è il mio corpo. 
Il teatro è l’esplorazione di un significato universale: quale cosa può esprimere meglio 
questo significato se non il corpo?  
 
Konstantin Stanislavskij 
      Konstantin Aleskeev Stanislavskij nasce nel 1863 in Russia. Nel 1897 avvia la propria 
sperimentazione assieme a Nemirovi č-Dan čenko: fonda il Teatro d’Arte di Mosca. Nel 
1904 il teatro è ben avviato, ma Stanislavskij, insoddisfatto dello stile troppo legato al 
realismo, inizia a fare degli esperimenti con dei nuovi testi simbolisti e fonda un laboratorio 
per sperimentare la messa in scena del dramma antirealista, affida la direzione a 
Mejerchol’d. Tali produzioni non erano soddisfacenti e Stanislavskij chiude l’esperimento. 
Nel 1912 viene fondato il Primo Studio per preparare gli attori secondo il Sistema di 
recitazione di Stanislavskij. Alcune parti del Sistema (già formulato, ma che va ancora 
definendosi) sono già state anticipate nell’autobiografia di Stanislavskij, ma l’autore 
pubblica  solo successivamente alcuni libri sull’argomento. 
Secondo il suo metodo, corpo e voce dell’attore vanno allenati duramente, affinché possano 
rispondere adeguatamente a qualsiasi esigenza scenica. L’attore deve recitare senza dar 
alcun segno di artificio e trovare una “giustificazione interiore” per ogni cosa stia 
compiendo sul palcoscenico: deve usare l’artificio “se fossi”, sgombrare la mente dalle 
distrazioni, per dare delle vere motivazioni e utilizzare nel processo la propria “memoria 
emotiva”, ricostruendo nella propria mente il vissuto di un’azione analoga appartenente alla 
propria esperienza ed impiegare il ricordo delle proprie emozioni nella ricostruzione della 
vicenda. 
 9
È altresì importante per l’attore essere conscio delle circostanze date dal testo e dal regista, 
dell’obbiettivo del suo personaggio, dell’effetto complessivo dell’opera; ma le 
caratteristiche affini al teatro, che porteranno l’attenzione all’attore, piuttosto che al testo o 
resa estetica, sono queste sulla “reviviscenza”. In seguito Stanislavskij rivede il proprio 
metodo per trovare il segreto del ritmo, di cui sospettava la diretta azione sul sentimento. 
È a partire da questo obbiettivo che Grotowski poi sviluppa la sua ricerca. 
      Per quanto riguarda lo sviluppo della Teatroterapia, le conclusioni a cui giunge 
Stanislavskij sono fondamentali. Egli suggerisce, infatti, ai propri attori di vivere e non di 
“rappresentare” il personaggio, di far nascere in se emozioni autentiche, sentimenti reali, 
“senza fingere ma mettendosi in gioco”
5
. Stanislavskij fa uso della memoria emotiva ed 
attraverso questo uso libera l’inconscio: compie delle azioni fisiche ed a partire da queste 
suscita in Sè emozioni. 
 
Vsevolod Mejerchol’d 
      Non appena termina la sua collaborazione con Stanislavskij, Mejerchol’d ha modo di 
sperimentare le proprie idee simboliste, dapprima con dei clamorosi insuccessi nella 
compagnia di Vera Kommissarževskaja e poi con dei sucessoni presso i Teatri Imperiali. 
Fra il 1910 e il 1914 nei suoi esperimenti comincia ad utilizzare le tecniche del circo, della 
Commedia dell’Arte, del teatro orientale, e tra il 1921 e il 1930 si dedica all’ideazione della 
Biomeccanica, ovvero di un metodo più consapevole e sistematico, che può realizzare di 
uno stile recitativo “adatto” alla nuova era. Addestra i suoi attori con complicati e difficili 
esercizi e acrobazie, in modo da renderli simili a macchine. Ottiene così degli attori-
automi, che grazie a determinati esercizi e quindi determinate attività muscolari organizzate 
                                                 
5
 Walter Orioli, Teatro come terapia, postfazione di Claudio Meldolesi, Diegaro di Cesena, Macro, 2001, p. 
16-17 
 
 
 10
in moduli cinetici, possono provocare particolari emozioni (un comando esterno per uno 
stimolo interno). Negli stessi anni si apre molto anche all’influenza del costruttivismo. 
È molto interessante rilevare come spesso negli esercizi della Teatroterapia accada la stessa 
cosa, che a suo tempo Mejerchol’d sperimentò. Spesso attraverso sequenze di movimenti 
ripetuti gli allievi della Scuola di Teatroterapia e, conseguentemente, i gruppi sottoposti a 
Teatroterapia, pescano inconsciamente un sentimento o un’emozione, che nel vissuto della 
loro esistenza sono stati determinanti o, se non lo sono stati, necessitano di essere vissuti, 
per giungere allo sblocco di un nodo interiore.
6
 
Bertoldt Brecht ed Erwin Piscator 
      Dopo aver studiato medicina ed essere stato infermiere Brecht si avvicina alla scrittura 
e compone progressivamente una certa quantità di drammi, nei quali sviluppa il suo 
interesse politico verso la prospettiva marxista: individua i problemi chiave per lo sviluppo 
della lotta di classe e li presenta in modo semplice e diretto. Una volta raggiunta la celebrità 
è costretto dall’avvento del Nazismo a condurre un’esistenza nomade in Europa, prima di 
stabilirsi dal 1941 al 1947 negli Stati Uniti. In questo periodo sviluppa la propria teoria 
teatrale (che appare poi nel suo Breviario di estetica teatrale). L’obbiettivo dell’ autore, 
teorico e regista è risistemare nei loro rapporti la rappresentazione teatrale e la società, e 
dunque la rappresentazione e il pubblico. Egli propone un abbandono della forma che 
definisce “aristotelica” o “drammatica”, in cui lo spettatore è completamente passivo 
davanti ad eventi fissi ed immutabili concatenati nel dramma. Vede in tale forma un’aura di 
stabilità negativa, specchio di valori tradizionali e modi di comportamento immutati ed 
immutabili,  nei confronti dei quali lo spettatore assume per forza di cose un atteggiamento 
di semplice osservatore passivo. Nel teatro socialmente impegnato di Brecht lo spettatore 
dovrebbe collegare ciò che vede alla propria vita e prendere una posizione critica. L’attore 
                                                 
6
  cfr. Laing Ronald D., /Nodi. Paradigmi di rapporti intrapsichici e interpersonali,/ cit. 
 
 11
utilizza delle tecniche particolari per stimolare nel pubblico questa posizione piuttosto che 
l’identificazione: il pubblico prova dunque straniamento di fronte agli attori, che non 
rivivono il personaggio ma “mostrano il comportamento di una persona di quel tipo in una 
determinata situazione”. 
Collabora con Brecht anche Erwin Piscator, primo esponente del teatro epico, se con questa 
concezione si definisce un teatro che interessi lo spettatore prima che la drammaturgia. 
La Teatroterapia si ispira ai principi di entrambi i teorici poiché oltre a fare del teatro con 
finalità di aiuto psicologico, lo fa con finalità sociali. Non si intende qui definire 
Teatroterapia come teatro orientato politicamente, ma socialmente impegnato.  
 
Una vera opera teatrale scuote il riposo dei sensi, libera l’inconscio compresso, spinge a una sorta di 
rivolta virtuale (che del resto conserva tutto il suo valore solo rimanendo virtuale), impone alla 
collettività radunata un atteggiamento eroico e difficile
7
. 
 
Dunque Brecht e Piscator, che intendono sviluppare la criticità e abolire la passività degli 
spettatori anticipano uno degli obiettivi della Teatroterapia. 
 
Antonin Artaud ed il Living Theatre 
      Artaud: è la figura forse più importante tra gli esponenti dell’avanguardia teatrale tra le 
due guerre. Fin dalle sue prime esperienze teatrali muove verso messe in scena 
programmaticamente antirealiste, scrivendo vari saggi teorici (il suo infatti può definirsi un 
teatro quasi esclusivamente teorico) raccolti in Il teatro e il suo doppio
8
 .  Secondo Artaud 
il teatro occidentale si era occupato sino da allora solo degli aspetti consci dell’individuo, 
                                                 
7
 Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio (Le Thèâtre et son double), a cura di Gian Renzo Morteo e Guido 
Neri, Torino, Einaudi, 2000, p. 146 
8
 Si tratta di una raccolta di saggi scritti da Artaud attraverso due momenti principali: l’ attività del Thèâtre 
Alfred Jarry ed idee e programmi sul Teatro della Crudeltà. Il libro è corredato anche da numerosi scritti di 
Artaud riguardanti progetti drammatici e di messe in scena, cronache,recensioni,articoli. 
 12
della sua psicologia e dei suoi problemi sociali sicuramente, ma senza mai toccare 
l’inconscio di odio, violenza e impulsi spesso distruttivi che si celano nell’uomo. 
Artaud auspica un fine “purgativo”, salvifico del teatro, affinché attraverso esso possa 
essere possibile manifestare i sentimenti peggiori, rivelare operando sui sensi ed abbattere 
le difese del pubblico. Artaud stesso autodefinisce il suo modello “Teatro della Crudeltà”
9
, 
per curare un mondo malato nel quale gli uomini, gli spettatori possano sanare se stessi 
solo se costretti a guardare dentro di sé, fino alle proprie radici, uscendo dal teatro 
emotivamente coinvolti al punto di essere spossati, sconvolti e cambiati. 
 
Non si può continuare a prostituire l’idea del teatro, poiché il suo valore risiede esclusivamente in un 
rapporto magico e atroce con la realtà e con il pericolo
10
. 
 
Per giungere a questa soluzione, le proposte di Artaud sono molte. Egli vuole sostituire agli 
spazi teatrali spazi “diversi”, collocare all’interno di questi delle azioni teatrali di fortissimo 
impatto, crude, precarie, quasi disumane. Cerca di raggiungere la realtà grazie ad una 
piccola magia, finge che le parole siano entità. In molte occasioni il suo pensiero viene 
declassato a causa della sua reale o presunta pazzia (spesso gli esercizi che sperimenta in 
manicomio, dove viene internato, fanno ritenere agli altri che sia sempre più pazzo).  
      Artaud muore nel 1948, poco dopo essere uscito dall’ospedale psichiatrico, ma il suo 
teatro trova ampia risposta ed apprezzamento dopo la Seconda Guerra Mondiale, in 
particolare all’interno del Living Theater. “Lo spettro di Artaud divenne il nostro motore”
 
11
 scrive Julian Beck, ed è realmente così per lui e Judith Malina che, poco più che 
adolescenti, nel 1951 fondano il gruppo del “Living Theatre” (il nome stesso allude alla 
parola vita. A quel tempo in America l’ unico teatro esistente è quello di  Broadway, al 
                                                 
9
 Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, (Le Thèâtre et son double), a cura di Gian Renzo Morteo e Guido 
Neri, Torino, Einaudi, 2000, p. 196 
10
 Ibidem p. 204 
11
 Beck, cit. in Walter Orioli, Teatro come terapia, Diegaro di Cesena, Macro, 2001, p. 169 
 13
massimo si rappresenta qualche classico. L’incontro di Julian e Judith dà inizio ad un teatro 
di poesia, di denuncia però nei confronti del sistema. Il secondo passo è portare in America 
dei testi già ben conosciuti in Europa, ma lo scatto vero e proprio che ha il Living è con 
The Connection nel 1959. In questo spettacolo i tempi sono convenuti ma lo stile pare 
teatralmente improvvisato. Gli attori agiscono con una verità tale che la stampa si 
scandalizza e riferisce di uno spettacolo realizzato da drogati veri. Questo scatto si deve 
alla lettura del libro Il teatro e il suo doppio di Artaud. 
 
Quello che c’era di così totale nella visione di Artaud era l’emergere della sofferenza umana nella 
sua estensione, come condizione universale, che non appartiene solo a chi si trova in determinate 
condizioni, in carcere o in ospedale ad esempio, ma a tutti,perché tutti soffrono e ognuno ha un modo 
personale di corazzarsi, evitando di esprimere ciò che prova realmente: una sofferenza che può 
essere fisica, o sessuale o dovuta alla frustrazione che deriva dal concepire sogni irrealizzabili, o alla 
considerazione della brevità della vita […]. 
 […] tutti noi abbiamo il desiderio di fare di più, di essere di più e questo ci angustia ed è fonte di 
sofferenza . 
Artaud si interessò molto alla sofferenza, alla sofferenza che ognuno prova e per nascondere la quale 
impieghiamo così tanta energia […]. Questa forma di repressione degli eccessi del sentimento dura 
tutta la vita. Ognuno la sperimenta. E coloro che manifestano con pienezza questi eccessi finiscono 
in ricoveri per alienati mentali
12
. 
 
E poi ancora riferendosi ad Artaud: “Ed ecco finalmente un artista che dice “Esprimilo!”.
13
Queste sono le parole di J.Malina: non è necessario spiegare altro. Per gli attori del Living 
Theater il teatro non deve essere il “trapianto” della vita vera sul palco, ma deve essere 
fatto da azioni reali, che si compiono in quel preciso istante mentre le si vedono: ciò che 
conferisce realtà è il rapporto tra ciò che si vive e le nostre aspettative. Il Living si fa 
                                                 
12
 Cristina Valenti, Storia del Living Theatre: conversazioni con Judith Malina, Pisa, Titivillus, 2008, p. 112-
113 
13
 Ibidem 
 
 14